Italia
La Liguria dipende dal Piemonte
ma ora Torino vuole l’ecotassa
Venti euro in più a tonnellata. La giunta Toti studia una nuova filiera
Venti euro in più a tonnellata. La giunta Toti studia una nuova filiera
La Liguria è un cliente fisso del Piemonte dal 2014: nei mesi scorsi si è fatta viva anche la Valle d’Aosta. La Lombardia si è prestata a dare una mano alla Liguria, che ha chiesto aiuto anche ad Emilia e Toscana, solo per il tempo necessario a gestire gli effetti dell’ultima alluvione. Si potrebbe continuare.
In Italia, e dall’Italia all’estero, è un andirivieni di rifiuti, prevalentemente su gomma: prodotti da regioni che non sono in grado di smaltirli, del tutto o in parte, e da queste girati a quelle che dispongono di inceneritori e/o discariche e/o impianti di trattamento. Una scelta obbligata per le prime, un business per le seconde. Più in generale, la fotografia di un Paese a due velocità al quale il governo intende rimediare con il decreto “Sblocca Italia”: prevede l’aumento della capacità di produzione di energia (quindi di smaltimento) degli inceneritori già operativi e la costruzione di una nuova rete di impianti. Tra le resistenze di chi non li vuole, ovviamente. Non solo comitati di cittadini: la Regione Piemonte, nella persona dell’assessore all’Ambiente Alberto Valmaggia, ha già avvertito che l’inceneritore torinese del Gerbido e il cementificio Buzzi a Robilante, nel Cuneese, soddisfano il fabbisogno («Lo dimostreremo con i numeri»). Claudia Maria Terzi, assessore all’Ambiente nella giunta Maroni, ricorda che la Lombardia ha impugnato l’articolo 35 del decreto: «Siamo contrari ad accogliere i rifiuti di altre Regioni».
Non è il caso del Piemonte. Nel 2014 la Liguria - orfana della discarica di Scarpino, a corto di volumetrie nelle altre discariche, priva di inceneritori e di impianti di trattamento dell’organico, con una raccolta differenziata che viaggia su una media minimale del 33% - ha conferito al Piemonte 50 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati. Quest’anno ne porterà 149 mila al prezzo di 110 euro a tonnellata, più il costo del trasporto: quasi 86 mila tonnellate sono già state trasferite nel primo semestre. Un fiume di denaro per i bilanci delle aziende piemontesi della filiera dei rifiuti. Da settembre anche per quello della Regione Piemonte, orientata ad applicare l’ecotassa - sulla falsariga della Lombardia - per la quota di pattume che finisce all’inceneritore del Gerbido: «Si può arrivare a 20 euro a tonnellata – calcola Roberto Ronco, funzionario dell’assessorato all’Ambiente -, soldi per investimenti in campo ambientale».
Ne sa qualcosa Giacomo Giampedrone, assessore all’Ambiente della giunta guidata da Giovanni Toti, costretto a pagare per smaltire i rifiuti liguri nel vicino Piemonte: parte finiscono al Gerbido, parte nelle discariche subalpine. «Per noi il Piemonte è l’interlocutore quasi unico, purtroppo sono soldi che togliamo ai nostri cittadini - spiega l’assessore -. Tra l’altro, esportiamo rifiuti indifferenziati: quindi di pessima qualità». Come se ne esce? «Dobbiamo partire praticamente da zero. La discarica di Scarpino, di vecchia concezione, non riaprirà a breve. L’obiettivo, entro il 2017, si articola in tre fasi: imporre ai Comuni sotto i 15 mila abitanti una raccolta differenziata spinta, al 65%; aprire un impianto di trattamento dell’organico in ogni provincia, così da abbattere del 50% la produzione; trovare un partner regionale per le eccedenze». Obiettivo non da poco, dato che un impianto di trattamento costa tra 5 e 8 milioni.
La panoramica fornita da Legambiente - convinta che il problema, a livello nazionale, si risolva non con un’iniezione di inceneritori ma puntando sulla raccolta differenziata e su una rete capillare di impianti di trattamento dell’organico - allarga il perimetro del traffico del pattume. «Le difficoltà della Liguria e persino della Valle d’Aosta dimostrano che c’è un Sud anche al Nord – spiega Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente -. Ma la Liguria non è un’eccezione. Roma, dove da due anni ha chiuso la discarica di Malagrotta e con una differenziata al 40%, smaltisce rifiuti indifferenziati in provincia di Forlì. Non solo. Ogni giorno dalla capitale partono 160 camion carichi di organico diretti agli impianti di digestione anaerobica di Este e Maniago, in provincia di Padova e Pordenone. La Campania, dal 2002 priva anche delle discariche di Tufino e di Parapoti, convoglia tutto quello che può nell’inceneritore di Acerra. Per il resto, si appoggia prevalentemente alle discariche della Puglia e, per l’organico differenziato, agli impianti di Salerno e del Nord Italia». Quanto alla Calabria, «quello che eccede rispetto alla capacità di smaltimento dell’inceneritore di Gioia Tauro prende la strada degli impianti di trattamento di Toscana e Campania».
Un business per le Regioni e per le aziende delle Regioni che ospitano i rifiuti altrui, ma anche per chi li trasporta. «Parliamo di un comparto che da anni campa su questi trasferimenti, con le luci e le ombre del caso – conclude Ciafani -. Ci sono tutte le condizioni per cui a molti convenga che le cose vadano avanti così».
alessandro mondo