Economia
peroni, moretti e menabrea fanno da apripista, ma è boom dei produttori artigianali
peroni, moretti e menabrea fanno da apripista, ma è boom dei produttori artigianali
Birra e Prosecco da record
Gli inglesi bevono italiano
Il Regno Unito è il mercato in cui vendono più alcolici made in Italy
Il Regno Unito è il mercato in cui vendono più alcolici made in Italy
Volano le bollicine e le birre made in Italy, così buone da conquistare anche i pub inglesi. Per le bionde le esportazioni sono triplicate negli ultimi dieci anni - dai 74,9 milioni di chili del 2005 ai 213,15 dello scorso anno - con il Regno Unito al primo posto (43%), seguito da Cina (10%) e Stati Uniti (8%).
Se le apripista sono state le grandi marche come Peroni e Moretti, per citare le più celebri oltreconfine, si difendono bene anche i piccoli e la carica dei birrifici artigianali, che oggi in Italia sono più di 900 e rappresentano il 10% del totale delle esportazioni con una produzione stimata in poco meno di 30 milioni di litri.
Secondo i dati elaborati da Coldiretti, rispetto ai primi cinque mesi dello scorso anno le spedizioni per il Regno Unito segnano un più 27%. «Il grande traino per la birra è stato senza dubbio il made in Italy, che ha risvegliato in tutto il mondo la curiosità per il saper fare italiano - commenta Franco Thedy, amministratore delegato del birrificio biellese Menabrea -. Il nostro trend è in linea con i dati presentati da Coldiretti: dall’inizio dell’anno, anche grazie a un accordo stretto con il gruppo britannico produttore e distributore di alcolici C&C, registriamo un più 20% nelle esportazioni».
«Il segreto delle birre artigianali italiane è che non hanno una tradizione da rispettare: per questo sono innovative, ben fatte e tutte diverse», spiega Giovanni Campari, fondatore del Birrificio del Ducato, che esporta il 30% della produzione in diciotto Paesi, da sei mesi gestore di «The Italian job», il primo pub londinese dove si beve solo italiano. Inaugurare un locale con birra italiana artigianale nella patria morale delle pinte poteva sembrare un azzardo, ma si è rivelata una scommessa azzeccata. Il fenomeno delle craft beer nasce negli Stati Uniti negli anni Novanta per approdare una decina di anni fa anche in Italia. «Se le birre industriali si differenziamo poco l’una dall’altra per le loro qualità organolettiche - continua Campari -, quelle artigianali, non filtrate e non pastorizzate, vengono più apprezzate nei Paesi con una lunga tradizione birraia, come Regno Unito, Irlanda e Stati Uniti».
Secondo i dati del «Rapporto birra Italia 2015» quasi un birrificio artigianale su due dice di aver ormai saturato la capacità produttiva e di essere dunque intenzionato a ampliare l’attività, i piccoli iniziano a crescere anche per dimensioni, con un fatturato medio di oltre 100 mila euro l’anno. Oltre tre microbirrifici su dieci portano le loro eccellenze all’estero e la metà può contare su personale a tempo indeterminato.
Ma non ci sono solo le bionde, in Gran Bretagna anche il Prosecco va fortissimo: nell’ultimo anno la crescita è del 72% in valore, con un record di 338 milioni di sterline spese per le celebri bollicine italiane, e del 78% in volume per 37,3 milioni di litri.
Anche se la stampa britannica ha parlato di uno storico sorpasso a danno delle bollicine francesi, gli ultimi dati non fanno che confermare una tendenza: secondo i dati Iri, già nel 2014 il Prosecco ha totalizzato 21 milioni di litri venduti per 182 milioni di sterline, contro i 141 spesi per lo Champagne.
nadia ferrigo