Cultura
I Balcani, anche
questa è Europa
Come un fiume in piena, l’ondata migratoria risale la penisola balcanica senza curarsi di barriere e bandiere. Travolge le prime, passa sotto le seconde.
Ignora le demarcazioni fra aree di libera circolazione (Shengen), Unione europea e Paesi candidati o aspiranti. In Grecia, sbarca nell’Ue; ne esce per entrare in Macedonia; vi rientra dopo aver attraversato la Serbia. L’Ungheria s’illude di fermarla con un nuovo muro. Quando il muro sarà completato o Budapest dovrà aprirvi dei varchi o i migranti troveranno deviazioni per aggirarlo. Proseguiranno la loro drammatica marcia – illustrata nel bel servizio sul campo in altre pagine di questo giornale – fino alla destinazione finale, spesso la richiesta d’asilo in Germania. Berlino attende quest’anno circa 700mila domande d’asilo.
L’immigrazione, o meglio la gestione di migranti e rifugiati (respingimenti compresi), è oggi la principale sfida dell’Unione. Chi ne dubiti farebbe bene a tastare gli umori del pubblico – e dei movimenti populisti che cinicamente li cavalcano. Ovunque nell’Unione. Di fronte a un problema di questa portata, senza solidarietà e ripartizione d’oneri fra tutti non c’è più Unione (lo stesso, beninteso, vale in ambito nazionale per Governatori e Sindaci). Intanto però la marcia balcanica sta mettendo a dura prova l’assioma dei confini esterni dell’Ue. Che, nei Balcani, sembrano fare nessuna o poca differenza ai migranti.
È la rivincita della geografia. Il grosso dei Balcani Occidentali, che comprendono l‘ex-Jugoslavia più Albania, è ancora fuori dall’Ue. Non per i migranti. Arrivati sul suolo balcanico sanno di essere in Europa. Lo sanno i trafficanti che ne fanno commercio. Sono gli europei dell’Unione a non accorgersene. La crisi migratoria è un brusco risveglio, ma sarebbe bastato uno sguardo all’atlante per vedere l’intera regione letteralmente incastrata nell’Ue.
In alcune capitali europee (e anche a Washington) si era cominciato a pensarci. Domani a Vienna si tiene il Vertice dei Balcani Occidentali, seguito del «processo di Berlino» lanciato lo scorso agosto da Angela Merkel, che vede al tavolo Austria, Germania, Francia, Italia e tutti Paesi della regione. Lo scopo è di metter a fuoco le condizioni per crescita e modernizzazione economica di tutta l’area, condizioni essenziali per l’ingresso nell’Ue. La partecipazione dell’Italia, rappresentata dal Ministro Gentiloni, è un quieto successo diplomatico (non eravamo stati invitati l’anno scorso). Alla politica estera dovrà però seguire il «sistema Italia»: lo sviluppo dei Balcani passa attraverso grandi infrastrutture. La regione ne è carente, soprattutto per comunicazioni e trasporti. La concorrenza sarà agguerrita.
Il processo di Berlino è psicologicamente importante per i paesi candidati all’Ue perché dà loro qualcosa di tangibile in attesa dell’adesione, specie dopo i segnali di rallentamento da parte di Bruxelles. L’Unione però resta l’obiettivo finale. Il movimento dei migranti non fa che mettere in risalto la stridente contraddizione fra geografia che unisce e politica che continua a separare. Allo stesso risultato conducono le considerazioni legate alla geopolitica, alla sicurezza, all’energia e all’ambiente. Solo due Paesi della ex-Jugoslavia, Slovenia e Croazia, fanno oggi parte dell’Unione. Troppo poco progresso in un quarto di secolo.
Sta a Bruxelles, nell’interesse dell’Unione, ridare fiducia ai candidati nel traguardo europeo: a loro portata, in tempi ragionevoli. Sta ai candidati meritarselo, nel proprio interesse. Si può, si deve, far presto, ma non esistono scorciatoie. Questo vale per l’economia che è al centro della Conferenza di Vienna. Vale per democrazia e legalità che sono al centro dell’identità europea. Nei Paesi candidati stato di diritto e genuina indipendenza della magistratura lasciano ancora a desiderare, prova ne siano tanto i piccoli episodi di vessazione da parte di polizie locali di cui sono talvolta vittime sfortunati turisti quanto le campagne stampa, montate a fini elettorali intorno a processi sensazionalisti.
La crisi migratoria ci ricorda che i Balcani sono in Europa. È tempo di trarne le conseguenze.
Stefano Stefanini