Cultura
Rassegnati
alla soluzione
minimale
Emersa prima del consiglio dei ministri, la straordinaria ansia di Renzi per il Giubileo, che di qui a cento giorni potrebbe far detonare la polveriera romana - nell’anno di Mafia Capitale e degli sfarzosi funerali del boss Casamonica -, ha prodotto a sorpresa una soluzione assolutamente ordinaria per la preparazione dell’evento che tra il Colosseo e il portone di bronzo del Vaticano dovrebbe attirare da quindici a trenta milioni di pellegrini.
Il Giubileo non sarà, quindi, com’era già avvenuto in passato, l’ultima nel ’98, occasione per un ammodernamento infrastrutturale di Roma - strade, trasporti, ricettività - e per una spinta alla stagnante economia italiana grazie a un piano di opere pubbliche. In un lasso di tempo così stretto, parlare di scavi, asfalti, pavimentazioni, sarebbe una follia, senza mettere in conto quel che - adesso si sa - ha accompagnato finora appalti grandi e piccoli all’ombra del Cupolone. Come ha suggerito l’ex-sindaco Rutelli, uomo-cardine del Giubileo di diciassette anni fa, stavolta è più prudente rassegnarsi a una ripulitura: energica, si spera, data la sozzeria della Capitale, ridotta a un uniforme mondezzaio dalle periferie al centro affollato di preziose testimonianze artistiche di una storia millenaria.
Per far sì che i milioni di pellegrini, e quelli di loro che approfitteranno dell’occasione del Giubileo per visitare Roma, non rischino di inciampare nei cumuli di rifiuti abbandonati dappertutto, o di soffocare per l’odore di putrefazione ventilato dagli ultimi refoli di ponentino, occorrerà rivoluzionare il servizio di spazzatura, dotarlo di mezzi adeguati, raddoppiando i turni e in qualche caso triplicandoli, tarandolo sulla marea di fedeli che sta per invadere i Sette Colli.
E già solo per questo il Campidoglio, guidato dal sindaco Marino, aveva messo a punto un piano che prevedeva il fabbisogno di fondi per 400 milioni di euro. Niente di fantasmagorico, se solo si considera che per il Giubileo del ’98 Rutelli aveva ottenuto (e ben speso, va detto) un miliardo e 750 milioni delle vecchie lire: cioè, mal contato, il doppio di quanto aveva chiesto Marino. Ma a fronte di questa pretesa, il governo, ieri, ha confermato lo stanziamento di soli 50 milioni, rinviando più avanti un nuovo accantonamento di altri 30, vale a dire meno della decima parte di quanto era stato speso l’ultima volta.
La ragione di tanta oculatezza, chiamiamola così - pur condivisa a parole da tutti gli attori in campo, da Renzi allo stesso Marino -, non può essere trovata solo nello stato di endemica difficoltà in cui versano le casse dello Stato. Le cause sono altre, e da tempo sono sotto gli occhi di tutti. La principale è il corpo a corpo scatenatosi pubblicamente da mesi tra il premier e il primo cittadino di Roma. Pur non essendo Marino in alcun modo coinvolto nella corruzione frammista a criminalità organizzata che dominavano il Comune di Roma - eredità della vecchia amministrazione di centrodestra, messa a frutto da buona parte di quella di centrosinistra -, Renzi, da ex-sindaco, pensa che il capo dell’amministrazione avrebbe dovuto accorgersene e lanciare l’allarme, prima che la Procura di Roma scoprisse il prosperare di malaffare e mafia nei corridoi del Campidoglio. Il candore rivendicato da Marino, tra l’altro impegnato nella scrittura di un libro in sua difesa, per il presidente del Consiglio è stata in realtà una chiara prova d’incapacità. A mezze parole, e via via con toni sempre più duri, il premier ha invitato il primo cittadino a farsi da parte, ma poi ha dovuto arrendersi alla sua testardaggine e alla volontà - legittima - di non dimettersi sull’onda del fango che tracimava dalle stanze del Comune. I sei mesi trascorsi dell’annuncio del Giubileo da parte di Papa Francesco sono stati persi così, con questo inutile braccio di ferro sfociato nel doppio compromesso del rimpasto della giunta e dello scioglimento per mafia del Comune di Ostia, dato che quello di Roma non si poteva, senza destabilizzare ulteriormente l’immagine della Capitale nel mondo. Per questo non è rimasto altro tempo, se non per spazzare le strade.
L’altra conclusione che si ricava da questa storia al momento s’intravede sottotraccia, ma non tarderà a rendersi evidente. La soluzione minimalista per il nuovo Giubileo cade in un momento particolare: in più di mezzo secolo di storia repubblicana i rapporti tra il Vaticano e lo Stato italiano hanno sì conosciuto alti e bassi, ma sempre lasciando intatto il filo d’attenzione reciproca legato alla presenza del partitone democristiano, che pure rivendicava la propria laicità. Ma un’incomunicabilità, per non dire di peggio, come quella attuale, forse non s’era mai vista: sul tema dell’immigrazione, non solo c’è rottura tra Salvini, ormai il vero capo dell’opposizione, e i vescovi; ma anche la più completa incomprensione con il governo guidato nuovamente dopo anni da un leader cattolico. Per non dire delle unioni civili, sulle quali Renzi ha giustamente rivendicato il diritto di decidere in libertà, malgrado le pressioni dichiarate della gerarchia. Nella gran confusione italiana, tutto questo rappresenta una novità inattesa e foriera, tanto per cambiare, di effetti imprevedibili.
Marcello Sorgi