Economia
Il gruppo teme di dover cambiare i servizi. Da Airbnb a Uber, gli altri casi a rischio
Il gruppo teme di dover cambiare i servizi. Da Airbnb a Uber, gli altri casi a rischio
C’era una volta la Google di una volta. Digita, cerca, clic sul risultato migliore. Il percorso di miliardi di persone al giorno è cambiato il 16 maggio 2007, quando la società fondata da Larry Page e Sergey Brin ha presentato «Universal». Digita, cerca, e leggi comodamente il risultato,anche direttamente su Google. Un’era fa: il primo iPhone sarebbe stato presentato il mese successivo.
La storia travolgente di Google e il rapporto complicato con l’Europa passa anche da quel cambiamento, che è al centro dell’indagine della Commissione europea. Nonostante negli scorsi anni, con la commissione Barroso, un’intesa pacifica sembrasse alla portata.
«Universal» aveva al centro l’idea di migliorare il servizio per l’utente, rendere la ricerca più semplice, togliere un clic inutile. Ma il sito web che contava su quel clic non lo riteneva così inutile, soprattutto quando l’utente «perduto» era in cerca di un acquisto. Anche a Mountain View si sono accorti del cambiamento, ma non hanno frenato.
Si discute, ci sono i numeri. I promotori del ricorso contestano le statistiche. La società americana risponde con i 20 miliardi di clic indirizzati gratuitamente agli attori dell’e-commerce. Ma c’è anche, soprattutto, una grande domanda, che Google sembra fare all’Europa con la posizione secca di ieri. Vanno tutelati i consumatori o le aziende già presenti in Europa? È vero, Google ha il 90% del mercato dei motori di ricerca in Europa, ma esistono altre opzioni. L’americana Federal Trade Commission ha risolto la questione concludendo che sì, in effetti Google potrebbe essere un monopolio, ma non sta facendo del male ai consumatori. Il britannico Centre for European Reform ha fatto una prova cercando i prezzi di 63 prodotti su Google Shopping e su altri siti, riscontrando che in media i prezzi sulla piattaforma di Google sono più bassi del 2,9%.
A Bruxelles gli avvocati di Google non avranno problemi a decifrare le richieste. Ma per un ingegnere americano abituato a pensare ai numeri, al prodotto, all’utente, le osservazioni europee ampliano la distanza transatlantica. Google non sembra temere la multa, che potrebbe arrivare ai 6,6 miliardi di euro (ma non ha mai superato il miliardo e 300 milioni). L’incubo è vedersi costretti a cambiare - in peggio - il prodotto per l’utente.
Il palcoscenico dove si svolge la contesa è un’Europa che non ha capito per tempo il digitale, investe poco, è stata scossa dalle rivelazioni del datagate, e ha scoperto un improvvisato nazionalismo continentale, impaurito dai colossi digitali degli Stati Uniti. Si è partiti da Google Shopping perché la torta dell’e-commerce è la più ricca, ma altri dossier d’indagine sono pronti, da Android alla ricerca delle immagini.
Il quadro si allarga. C’è la questione del fisco, ci sono le regole che verranno sulla sharing economy, da Airbnb a Uber, su cui la Commissione sta preparando una direttiva. Garantirà i tassisti o i cittadini?
La storia delle fatiche europee di Google è anche una storia di sottovalutazione. Dopo anni di dialogo più o meno riservato, Eric Schmidt era vicino all’accordo con l’ex commissario Joaquin Almunia. Le proteste, dall’editore tedesco Axel Springer agli inglesi di Foundem, hanno complicato le cose, costringendo al rinvio. Ora il nuovo numero uno dell’antitrust, Margrethe Vestager, non sembra disposta ad accontentarsi di qualche rinuncia. La grande domanda, per ora, non ha risposta.
@bpagliaro
Beniamino Pagliaro