Economia
Gli Usa esortano Pechino: serve l’intervento della Banca centrale
Gli Usa esortano Pechino: serve l’intervento della Banca centrale
Neanche la pausa del fine settimana è stata sufficiente, per i mercati finanziari, a riprendere fiato e serrare le fila dopo la «black week» che ha trascinato al ribasso i listini del Pianeta a causa della débâcle cinese, con 5 mila miliardi di dollari bruciati a livello globale. Ieri mattina, alla riapertura delle Borse, la situazione è apparsa la stessa di 48 ore prima, con il crollo in avvio della piazza di Shanghai, e Pechino che, per fermare l’ennesima emorragia di capitali, dava il via libera ai fondi pensione statali ad acquistare sul comparto azionario. A nulla è servito, secondo gli analisti, convinti che solo un deciso e massiccio intervento della People’s Bank of China favorirebbe un’inversione di tendenza, mentre agli occhi degli esperti la Banca centrale cinese ha dato sino ad oggi risposte frammentate, come se non sapesse cosa fare. Ed ecco l’ennesimo effetto domino sulle Borse, con Tokyo che chiude a -4,61%, Shanghai (-8,49%), Shenzhen (-7,83%), Mosca (-5%) e Mumbai (-5,94 peggior valore dal 2009), seguite da tutti gli Emergenti le cui valute sono in caduta libera, trascinate anche dal nuovo ribasso del barile di crude, sceso a 38 dollari. L’onda d’urto cinese ha travolto quindi il Vecchio continente dove già in apertura gli indici di Borsa sono stati dominati dalle vendite con lo Stoxx 600 che metteva a segno il peggior calo dal 2008, pari al 7 per cento. Sui singoli listini va alla Francia la maglia nera con un calo del Cac 40 pari del 5,35%, seguita da Milano (-5,96%), Francoforte (-4,70%) e Londra in calo del 4,67% per cento. Così le piazze europee hanno polverizzato 411 miliardi di euro di capitalizzazione di mercato. Questo proprio mentre, dall’altra parte dell’Atlantico, il Dow Jones andava sotto di mille punti nel corso delle prime battute della sessione di scambi. L’effetto panico è endemico come dimostrano i cali degli altri listini di Wall Street, ed ecco allora che i gestori dei mercati sono intervenuti d’imperio annunciando che il Nyse avrebbe sospeso gli scambi se lo S&P 500 fosse sceso del 7% - per 15 minuti - entro una certa ora, o a -13% entro un’altra ora, mentre se si fosse toccata quota -20% gli scambi sarebbero stati sospesi per il resto della giornata. Il Nyse ha inoltre invocato la «Rule 48», che prevede che non sia necessario comunicare indicazioni sui prezzi prima dell’apertura per facilitare l’avvio degli scambi. Alla fine delle contrattazioni il Dow Jones perde il 3,55%, il Nasdaq cede il 3,82%. I timori sulla debolezza del Dragone preoccupano tutti tanto che il «Wall Street Journal» rivela come i Big dell’auto stiano riducendo la produzione in Cina dalla massima capacità mantenuta finora. «L’economia americana è più resistente oggi di quanto lo fosse nel passato, e siamo fiduciosi sul fatto che questa tendenza durerà. Ma il Tesoro Usa è vigile e monitora da vicino la situazione dei mercati finanziari», avverte la Casa Bianca che esorta di nuovo Pechino a garantire una maggiore flessibilità dei cambi. Il punto è che la tempesta proveniente dall’Estremo Oriente ha effetti più ampi e duraturi di quanto si pensasse anche sulle due sponde dell’Atlantico, e questo da una parte impone una riflessione sul futuro della crescita in Europa, dall’altra sull’opportunità del rialzo dei Fed Funds in Usa, che, secondo l’ultimo rapporto di Barclays, non avverrà prima del marzo 2016.
francesco semprini