ebook di Fulvio Romano

giovedì 15 agosto 2013

Al Cairo anche farsi la barba era diventato pericoloso...

LA STAMPA

Cultura

Al Cairo anche farsi la barba era diventato un gesto pericoloso

Ch e le cose si stessero mettendo male mi è chiaro dal momento in cui scorgo - pochi giorni prima di ciò che poi fu da molti definito un golpe – il volto senza barba del mio collega al Cairo.

«Il barbiere era furibondo», racconta. «Era sicuro fossi un Fratello Musulmano e non è certo ciò che vuoi si pensi di te in Egitto. E poi quella lama sul collo mentre un barbiere inquisitore ti fa domande le cui risposte potrebbero essere decisive del tuo futuro...».

Un gesto del tutto insignificante come radersi ha risvolti complessi oggi in Egitto. Barba e baffi non sono accessori più o meno alla moda, bensì dichiarazioni politiche con precise conseguenze.

La polarizzazione è diventata viscerale e pericolosa. Una polarizzazione fomentata da paranoie di complotti che hanno la meglio su una società che si sta schierando su posizioni estreme e contrapposte. «Non si tratta più di competizione. E’ guerra», racconta un giornalista egiziano che vuole rimanere anonimo. «Se non sei d’accordo, sei accusato di essere un agente: dell’America. Del Qatar. O di non essere egiziano».

Affermare che chi protesta o sostiene l’esercito è pro-America mentre chi è un Fratello Musulmano è accusato di essere pro-Qatar, sarebbe semplificare le cose. Basta ascoltare ciò che dice la gente per strada: un mondo impregnato di complotti di cui tutti sono avidi consumatori e creatori.

L’America è prima nella lista dei più chiacchierati. Nulla d’inusuale. Ciò che è invece sorprendente è quanto il sentimento anti-americano unisca tutti. Anche coloro che si odiano. Che ne è del proverbio il nemico del mio nemico è mio amico?

Il titolo di un articolo pubblicato su un quotidiano pro-americano risuona nelle mie orecchie: «Al Cairo ovunque ti volti, golpisti o Fratelli, tutti dicono: “Fuck America”». Garantisco che non si tratta di sensazionalismo giornalistico: gli egiziani sono ossessionati dal Grande Fratello e di tutto ciò che è firmato Usa. Un esempio? La Cnn. Gli egiziani non vogliono vederne l’ombra: basti pensare a Ben Wedeman, la cui presenza era malvista dalla popolazione e off-limits per i militari.

«Obama sostiene il terrorismo!» era uno dei motti in Piazza Tahrir dove la gente opposta ai Fratelli ha iniziato a ricorrere al termine Terroristi nel descrivere il gruppo islamico e i suoi sponsor. L’ambasciatrice Anne Patterson – accusata non solo di non aver fatto nulla per arginare Morsi ma di averne favoreggiato il Governo - è stata al centro di una feroce polemica. I suoi incontri con esponenti del movimento - tra cui la Guida Suprema Muhammed el Badie e l’indiscusso magnate Khairat el Shater – erano motivo di rabbia.

I Fratelli Musulmani non potevano non passare al contrattacco. Infedele è diventato il termine con cui si rivolgono a chiunque si opponga a loro. Perché dovrebbero accettare la rimozione del loro leader da parte degli stessi generali che – in una solo anno - hanno ricevuto oltre un miliardo di dollari da Washington D.C.?

Se l’America offre uno spunto di riflessione per i motivi di cui sopra, è il Qatar ad avere il primato per il suo effetto polarizzatore e per la violenza che riesce a scatenare. Affermazioni quali «i Fratelli Musulmani sono agenti del Qatar, falsi egiziani, e di conseguenza l’esercito dovrebbe eliminarli» non rappresentano il punto di vista di un estremista isolato, ma pervadono i mormorii popolari. Una retorica violenta che caratterizza persino eventi conviviali e pacifici quali gli Iftars dove famiglie e amici si riuniscono a festeggiare la fine del digiuno. Anche se non tutte le affermazioni sono così cruente, le voci sono indicative dell’odio contro il Qatar. «C’è uno scherzo tra noi ragazzi egiziani», racconta Khaled, che studia all’Università del Cairo. «Siamo invidiosi degli studenti del Qatar per i quali memorizzare la storia del proprio Paese si riduce a tre frasi: al massimo!».

La retorica takfiri dei Fratelli Musulmani infiammata e polarizza. «Ascoltami bene Al Sisi! Hai creato dei nuovi taleban e una nuova al Qaeda in Egitto. Le masse che vedi qui riunite si divideranno in plotoni di esecuzione che, con attentati suicida, distruggeranno te e l’intero Paese», minaccia un Fratello Musulmano a telecamere accese durante una manifestazione.

«C’è una cosa che voglio dire ai voi cristiani: siete nostri vicini e vi daremo fuoco», aggiunge una donna che, coperta da un mantello nero, dichiara di «non far parte dei Fratelli o ad altri gruppi, ma di credere in Allah». Minacce come queste sono la causa della chiusura forzata di radio e tv islamiche.

L’effetto polarizzante delle varie teorie di cospirazione ha assunto connotati drammatici. Il chiacchiericcio non è più da considerarsi tale e sta creando la base per altra violenza. Che l’esercito si stesse preparando per gli eventi del 30 giugno non è un pettegolezzo irrealistico. Ne sono la prova – secondo molti – sia lo schieramento anticipato delle forze armate in punti strategici della capitale, sia la scarsità improvvisa quanto rara di energia elettrica e di gasolio. «Accuse insensate», afferma Omar, un giovane attivista. «La mancanza di corrente era il risultato di scarsità di gas naturale. Un fatto riconosciuto dai Fratelli Musulmani prima che li mandassimo a casa. E la crisi del gasolio è il risultato di una diminuzione delle importazioni: difficoltà economiche causate dall’inefficienza del governo precedente. Nulla a che fare con l’esercito e i suoi complotti!».

Affermazioni come queste infiammano ulteriormente l’opposizione. «Credi realmente che la crisi del gasolio sia stata causata da noi egiziani che – terrorizzati da ciò che poteva accaderci il 30 giugno – ne abbiamo fatto incetta? Il Paese è ancora in subbuglio: come ti spieghi che dal golpe in poi elettricità e diesel non sono più un problema?».

E’ interessante notare come in Egitto la parola golpe venga esclusivamente usata dai seguaci di Morsi. Rivoluzione popolare, continuazione della Rivoluzione sono invece i termini usati per descrivere ciò che è accaduto il 30 giugno, anche se i media occidentali non sembrano voler riflettere sulla cosa. Ancora una volta, comunque, il dibattito sembra polarizzare gli egiziani. «Non era un golpe!» dice Salma. «Mio marito era alla guida di uno dei carri diretti al Palazzo Reale», prosegue. «QUELLO era un golpe, mentre ciò che sta avvenendo ora viene dalla gente!». Il marito di Salma era un ufficiale di Nasser che partecipò al golpe del 1952.

«Che cosa pensate di questo golpe militare?» è la domanda che Muhammed el Badie pone alla folla durante la manifestazione del 5 luglio. La risposta ripetuta a ritornello -. «E’ nullo e senza valore! E’ nullo e senza valore!» - non necessita spiegazione.

Anche i media riflettono questo pericoloso processo di polarizzazione, amplificando pettegolezzi e complotti. La Cbc - una delle maggiori televisioni liberali - sbandiera da qualche tempo lo slogan «Contro il Terrorismo»; reporter egiziani cacciano – a suon di «Out! Out!» - colleghi di Al Jazeera durante una conferenza stampa. Tutti i canali televisivi islamici sono stati silenziati. Questo, assieme al fatto che i leader carismatici del movimento islamico sono dietro alle sbarre, non potrà che risultare in un lento abbandono delle piazze. Non risolverà però il problema su chi – in questa fase in cui la voce liberale ha preso il sopravvento - guiderà i Fratelli Musulmani più intransigenti: uomini e donne che vogliono tornare allo status quo pre-30 giugno. Altrimenti «le masse faranno saltare in aria l’Egitto».

*Principal dell a think thank americana

CaerusAssociates, che fa risk assessment

per il governo Usa nelle zone calde del mondo

Anna Prouse*


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