Cultura
Alma Mater è il titolo dell’installazione multimediale di Yuval Avital alla Fabbrica del Vapore di Milano. È un viaggio ancestrale tra le voci delle nonne di tutto il mondo, tra le loro parole e le loro canzoni, le loro preghiere e i loro riti. È un luogo, o meglio - come dice l’autore – «è un quadro allegorico», cui hanno preso parte altre figure. Michelangelo Pistoletto, con un Terzo Paradiso centrale fatto di terra lombarda; Enzo Catellani con un’installazione luminosa fatta di dischi volanti dorati; le merlettaie di Cantù che realizzano merletti live, lo Studio Architettura Sonora, con uno speciale sound space, Liliana Cosi e Oriella Dorella che hanno danzato per il video.
Avital (Gerusalemme, 1977), musicista e compositore, collabora normalmente con scienziati, artisti, architetti, adottando una concezione plurale interdisciplinare. In Alma Mater coniuga l’aspetto industriale e artigianale di alcuni prodotti con un’installazione poetica piena di affetto.
Difficile dire cosa colpisca di più in questa foresta tecno-antropologica policentrica. Nella selva di voci, luci sincronizzate, videoproiezioni, segni, il lato più inaspettato è forse una donna, in carne e ossa, che sta seduta in disparte. È china sul tombolo ed è intenta a tessere un merletto che diventerà un Terzo Paradiso. La donna è una delle merlettaie di Cantù che si alternano a turno per l’intera durata della mostra. Alma Mater è uno spazio multisensoriale della memoria.
È un percorso dove ritrovare gruppi di voci che si annidano in vari punti nella penombra della sala. Per l’autore, l’opera è un omaggio al mondo materno. «Mia nonna, ebrea sefardita, – racconta Avital – che si chiamava Pressiade Dorit Bada Poni Avital aveva quattordici figli ed era una grande matriarca, nutriva tutti; mentre mio nonno era cabalista e aveva una vita più frivola». A partire dalla voce della nonna, «che sapeva parlare con Dio», l’artista ha raccolto registrazioni in bobina di donne dei primi novecento: canti balcanici, aborigeni, africani, nenie di ogni provenienza miste a suoni geologici di eruzioni vulcaniche, terremoti, acqua, vento. Il risultato è un «grande grembo a cui tornare, perché – dice l’autore – la nonna è come una doppia madre e supplisce una realtà oscena come la nostra che è priva di madri».
Il centro del Terzo Paradiso di terra bergamasca, fatto da Pistoletto, è una sorta di ventre che vuole generare una nuova forma di consapevolezza. Ci si sdraia all’interno e ci si lascia cullare dalle nonne.
Manuela Gandini