ebook di Fulvio Romano

sabato 22 agosto 2015

Crisi Borse. Deaglio: La dolorosa via per raggiungere un nuovo ordine

LA STAMPA

Cultura


Una settimana fa pensavamo che la caduta delle Borse fosse un fatto soltanto cinese, ora sta investendo il mondo. In una settimana - mentre Hong Kong e Shanghai continuavano a cadere - la Borsa di New York ha perso oltre il 4 per cento, Londra il 5,5 per cento, Francoforte il 7,8 per cento. Nel suo piccolo, Milano si è difesa relativamente bene, con un calo intorno al 4 per cento. Perché sta succedendo tutto questo? E dobbiamo preoccuparci?

A domande chiare e nette non sempre è possibile rispondere in maniera chiara e netta, ma occorre per lo meno provarci, ben sapendo di trovarci di fronte a un intreccio di cause economiche, finanziarie e politiche. E la risposta sintetica è che è in atto un processo di disgregazione del sistema economico globale sorto sulle ceneri della Guerra Fredda. In luogo di un primato americano, universalmente riconosciuto, sono in corso tentativi di organizzazione autonoma di grandi regioni economiche; è finita la concertazione delle banche centrali.

Il commercio internazionale, apparentemente libero, è in realtà ostacolato da un ginepraio di accordi preferenziali; il sistema della finanza internazionale è stato intaccato dagli scandali.

Può sembrare un quadro apocalittico ma non è necessariamente così. Non si può passare senza scosse da un vecchio ordine che ha fatto il suo tempo a un nuovo ordine che nessuno conosce ancora. Viviamo in un tempo post-globale, caratterizzato necessariamente da confusione e incertezza, in un periodo di «distruzione creatrice» per usare i termini di Schumpeter. L’innovazione è un processo doloroso: non si può, per citare un proverbio inglese, fare una frittata senza rompere le uova.

Non si può negare che le Borse abbiano dato una spinta decisiva all’ordine globale attuale, abbiano sostenuto lo sviluppo delle innovazioni che hanno modellato la nostra vita (Google, Apple, Microsoft, tanto per fare qualche nome, sono nate come piccole imprese che le Borse hanno saputo valutare bene). Il vero interrogativo è se possono essere anche lo strumento adatto per governare l’economia nuova che comincia a profilarsi e che inevitabilmente porterà a gigantesche riorganizzazioni basate sulle reti elettroniche, destinate a rivoluzionare in tempi abbastanza brevi (10-15 anni al massimo) servizi come l’istruzione, la sanità, la gestione del traffico.

La risposta è: solo in parte. Senza l’apporto di un quadro politico chiaro, interno e internazionale, le imprese non sanno bene quanto investire e in che cosa investire. Alle incertezze delle imprese fa da contrappunto la confusione dei consumatori-risparmiatori, combattuti tra impieghi a tassi bassissimi e una nuova, incerta spinta ai consumi. Le basi della domanda di nuovi capitali e dell’offerta di risparmi sono meno chiaramente definite di 20-30 anni fa. Un vuoto di idee e di programmi da quelli delle famiglie e delle imprese a quelli delle forze politiche, dall’Europa al Giappone, che costituisce il vero motivo dell’incertezza delle Borse. Le cadute dei listini, accidentalmente verificatisi in questi giorni, hanno avuto una lunga preparazione dietro di sé.

L’uscita dalla crisi delle Borse e dalla fase di debolezza delle economie non sarà automatica. Non ci potrà essere una Borsa dai movimenti chiari in una società con le idee confuse; non si può delegare totalmente alle Borse, come se fossero dotate di poteri magici, una serie di scelte che i politici non sembrano più in grado di proporre agli elettori. Pur riconoscendo i meriti del meccanismo del mercato, i politici non possono aspettarsi che la politica industriale venga fatta dai listini, così come non possono illudersi di ridurla a una sorta di lista dei desideri come se i listini, con i loro vincoli economici, non esistessero.

Il «compito», non solo per politici è uomini di governo, ma anche per i «comuni cittadini» è abbastanza chiaro: torniamo tutti a pensare, a progettare il futuro. Dal nostro livello individuale a quello di interi Paesi o gruppi di Paesi. Se sapremo fare programmi, le Borse ne potranno essere in parte lo specchio. In caso contrario si trasformeranno in un una forma molto sofisticata di gioco d’azzardo, con scarsa aderenza ai problemi del mondo.

Mario Deaglio


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