«La Cina non ha fatto altro che compensare la rivalutazione eccessiva dello yuan. È una mossa difensiva e non “offensiva”». Franco Bernabè, profondo conoscitore della Cina e per 14 anni unico occidentale nel consiglio del colosso statale Petrochina, non condivide l’allarme di molti sulla svalutazione dello yuan.
Dottor Bernabè, perché allora questa reazione dei mercati? «I mercati dovevano aspettarselo perché sapevano che lo yuan è sopravvalutato. È chiaro che in questo momento sono nervosi, ma il vero fattore d’incertezza è cosa accadrà quando la Fed alzerà i tassi americani, che sono rimasti troppo bassi e troppo a lungo». Cosa sta accadendo allora? «Quello che è successo è che lo yuan si è rivalutato costantemente per anni, per effetto dell’ancoraggio al dollaro. E questo politica dei tassi di cambio ha creato problemi che rischiano di diventare insostenibili se il dollaro si rafforzerà ancora in seguito al rialzo dei tassi Usa. In Cina, la vita è cara. I salari sono cresciuti e molti produttori che esportano verso Europa e Usa hanno iniziato a delocalizzare e produrre in paesi con un costo del lavoro ancora più basso, come il Sud-Est asiatico.La decisione di lasciar fluttuare lo yuan, sganciandolo dal dollaro è semplicemente una mossa difensiva. La verità è quello che è stato il modello di sviluppo cinese degli ultimi 15-20 anni è diventato insostenibile». Ha ragione dunque chi sostiene, come Mohamed El-Erian (l’ex numero uno di Pimco, attuale consulente di Obama) che la Cina non sarà più la locomotiva della crescita globale? «Certo, è così. Progressivamente la Cina sostituirà il suo modello di sviluppo con un modello basato non più sull’export ma sulla domanda interna. Si sta orientando su un modello diverso, questo è inevitabile e passa anche attraverso la decisione di lasciare progressivamente lo yuan libero di fluttuare». E quei gruppi industriali che hanno basato la propria crescita sulla domanda cinese, duramente penalizzati in questi giorni in Borsa, che prezzo pagheranno? «Capisco le difficoltà. Ci saranno degli assestamenti, ma molto dipende anche dalla politica di contrasto alla corruzione varata Xi JInping. Molti cinesi evitano di comprare beni di lusso per non essere oggetto dell’attenzione della commissione centrale di ispezione della disciplina e se proprio devono preferiscono comprarli a Milano o Parigi dove costano la metà rispetto alle boutique delle città cinesi». Quindi la svalutazione è solo una correzione, un salutare avvicinamento alle prassi del mercato? «Se il dollaro si apprezza, come accadrà se la Federal Reserve alza i tassi, la Cina deve per forza di cose lasciare oscillare lo yuan. Guardi che come ho già detto il problema vero non è che succede con lo yuan che si svaluta ma cosa accadrà quando la Fed alzerà i tassi d’interesse. Tassi bassi che hanno tenuto il dollaro debole per troppo tempo, causando problemi all’economia globale e alle imprese europee e italiane: provi a chiedere a qualche impresa che esportava in dollari che problemi ha avuto quando l’euro valeva 1,40 dollari. Perché ha lasciato il board di Petrochina? «Perché è cambiata la legge cinese e adesso c’è un limite di tre mandati nei consigli dei gruppi statali. Io ne avevo già fatti cinque. Anche questo è un segno di apertura verso il mercato e verso le prassi e le regole del resto del mondo». [g. pao.]