Italia
“Sì al premio di maggioranza alla lista”
Il M5S offre un sentiero al rottamatore
La strategia: “Mettiamo sul piatto una legge simile a quella dei sindaci”
La strategia: “Mettiamo sul piatto una legge simile a quella dei sindaci”
«Alla fine la legge che proponiamo al Pd non è la nostra, somiglia alla legge dei sindaci! Quella con cui Renzi è stato eletto a Firenze. Il ballottaggio, e un premio di maggioranza alla lista». Questo dicono, a sera, nel gruppetto-guida del M5S. Quanto siano credibili, toccherà a Renzi verificarlo.
Perché ci sono enormi incomprensioni e diffidenze (eufemismo) nel confronto tra Pd e M5S sulla legge elettorale, dovute a un incrocio di fattori e a tante cattive volontà incrociate (attuali o del passato recente). Ma non è possibile dire che il tavolo sia chiuso del tutto (anche perché la tenuta di Forza Italia, dall’altra parte, resta da verificare, e la legge non è ancora in porto). Tutto dipenderà da come vorranno (e sapranno) giocarlo i giocatori principali. Che per il Pd è Renzi (non Moretti, non Speranza, non Serracchiani), e per il M5S è il gruppo di Milano, di cui Di Maio è solo il frontman.
La prima ragione è evidente, ovvia: ieri in sequenza c’erano state due dichiarazioni dal Pd, di Alessandra Moretti e Roberto Speranza, molto poco incoraggianti per il dialogo; e a quelle era seguita la risposta di Grillo, che faceva Grillo all’ennesima potenza: deluso, iracondo, insultante, e totalmente masochistico dal punto di vista politico, tornava a chiamare Renzi «ebetone», diceva di «averlo sottovalutato», e chiamava il Pd «sbruffoni della democrazia». Era ovvio leggere la cosa come una chiusura, come poteva essere altrimenti? Ma - e qui la prima cosa incredibile - subito dopo s’è assistito a una delle più clamorose precisazioni-retromarcia della pur variopinta storia della comunicazione politica recente. «Per chi non ha capito, o non ha voluto capire - scriveva direttamente Grillo - tra il mio intervento di oggi e la conferenza stampa di Di Maio e Toninelli non vi sono contraddizioni, le porte per una discussione sulla legge elettorale per il M5S sono sempre aperte, nè mai le ha chiuse nonostante continue provocazioni». Incredibile, ma così era. C’era stata una mezza rivolta contro quel video del fondatore. Ci si può fidare di queste svolte repentine? Domanda chiave che si fa Renzi.
Eppure proprio la precisazione dice che mai come oggi il M5S a quel tavolo vuole starci e, se ne fosse estromesso, pagherebbe un prezzo interno altissimo, un autentico rischio faide. Altrimenti - come tante volte - avrebbe approfittato dello scontro di ieri per dire, in fretta: è colpa del Pd, noi ci abbiamo provato, è impossibile. Il punto è: il M5s si tiene aggrappato al tavolo per fare cosa?
La risposta - scritta - è arrivata ieri sera sul blog. Dieci sì (le uniche vere obiezioni sono sul Senato, ma anche lì con tono dialogante). Ma la questione dei dieci punti proposti dal Pd è abbastanza di facciata; qui si è in grado invece di dire invece che «si ragionerebbe», tra Pd e M5s, se la discussione si incardinasse su tre punti chiave: doppio turno, preferenze e premio di maggioranza alla lista. Tre punti del genere sarebbero una base di ragionamento non impossibile, per il Pd.
Dal gruppo (molto criticato anche all’interno) che lavora con Di Maio in serata spiegano: «Noi abbiamo aperto a 360 gradi». Toninelli aveva detto: «Il Movimento è disposto ad accettare un doppio turno di lista, in modo che ci sia un vincitore ma non si porti dietro un’ammucchiata di partiti». Il gruppetto della Casaleggio ripete così: «Il punto decisivo è un premio di maggioranza alla lista, non alla coalizione».
Insomma, una sentiero realistico è strettissimo - sui tre punti che abbiamo detto; ma non si può dire che Verdini e Berlusconi dischiudano autostrade democratiche. Pd e M5S devono superare miliardi di diffidenze, e avranno a che fare con tante altre dichiarazioni di colonnelli democratici antigrillini, e invettive fuori luogo di Grillo.
jacopo iacoboni