ebook di Fulvio Romano

mercoledì 12 giugno 2013

Un altro referendum tradito... Politici e tecnici mettono le mani sull'acqua


Michele Sasso e Francesca Sironi per "l'Espresso"

Quanto valgono 26 milioni di voti in Italia? Niente. E non servono nemmeno sit-in, proteste, denunce. Sono passati esattamente due anni dal referendum sull'acqua pubblica con cui più di metà degli elettori ha chiesto di togliere il profitto dai servizi idrici, e poco o nulla è cambiato. Anzi, politici e tecnici non fanno che approvare decreti controcorrente.

AcquaACQUA

Altro che buttare fuori i privati: a Ferrara il comune, per far cassa, sta vendendo un pacchetto di azioni Hera, la società che riscuote le bollette di buona parte dell'Emilia Romagna e del Nord, da 8 milioni di euro. In Campania la giunta regionale si prepara a scontare di 157 milioni di euro il debito accumulato nei suoi confronti da Gori, un'azienda del gruppo Acea: un regalo.

E da Roma arrivano provvedimenti ancora meno in linea. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha imposto un nuovo modello per le tariffe con il quale, denunciano i comitati, ai gestori saranno garantiti i proventi di un tempo, calcolati come prima ma nascosti sotto un altro nome. E l'impegno a sottrarre spazi ai privati, riportando l'acqua in mani pubbliche, sbandierato all'indomani dello storico risultato? Lettera morta. Lo hanno fatto solo quattro sindaci su 8 mila: a Napoli, l'esempio più citato, Vicenza, Palermo e Reggio Emilia. Nel resto del Paese tutto è come prima. Tra faide politiche, bilanci disastrosi e trasparenza zero.

AcquaACQUA

VOTO TRADITO. La beffa, per gli italiani che sono andati a votare a giugno del 2011, è arrivata due mesi dopo i festeggiamenti. A Ferragosto infatti il governo Berlusconi, con la Finanziaria bis, riammise i privati nella gestione dei servizi locali. Poco dopo anche Mario Monti manovrò in direzione contraria al "fronte dei sì" nel decreto sulle liberalizzazioni. Ma a luglio dell'anno scorso la Corte Costituzionale ha bocciato entrambe le iniziative. E con il niet della Consulta la situazione è tornata a vent'anni fa, ovvero a prima della legge Galli, con cui nel 1994 era iniziata la compravendita delle risorse naturali come beni di mercato.

acqua soldiACQUA SOLDI

Oggi gli enti locali non possono che applicare le uniche norme disponibili: quelle europee. Visto che una legge post referendum ancora non c'è, nessuno obbliga gli ambiti territoriali (municipi raggruppati a seconda del bacino idrico) a cambiare qualcosa e, in tutta Italia, i gestori sono rimasti gli stessi di prima: «Scegliere se seguire l'esito della consultazione o no dipende ora dai politici», spiega Paolo Carsetti, del Forum acqua bene comune.

BOLLETTE D'ORO . Il vero schiaffo ai referendari però non è arrivato dai politici, quanto da un organo tecnico incaricato nel 2011 del controllo sui servizi idrici del Paese: l'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Il voto aveva sancito infatti l'abolizione definitiva della «adeguata remunerazione del capitale investito» dei gestori.

Francesco Gaetano CaltagironeFRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE

Chiedeva cioè di eliminare i profitti: con le bollette si sarebbero dovuti coprire i costi, non distribuire dividendi. Il 28 dicembre del 2012 però l'Autorità ha pubblicato un nuovo modello tariffario, in cui è previsto il rimborso degli "oneri finanziari". Una cifra che finisce, ovviamente, nelle bollette. Secondo i comitati si tratta di una «truffa», che fa rientrare dalla finestra gli utili per i gestori. L'Autorità replica: «Il metodo si basa sul criterio europeo del pieno riconoscimento dei costi. Perché se vogliamo che l'acqua sia effettivamente un bene pubblico i costi devono essere coperti».

La delibera dell'Authority guidata da Guido Bortoni, super manager pubblico con uno stipendio da 298 mila euro all'anno (400 mila fino al 2011), ha sollevato altri vespai. L'associazione nazionale degli enti d'ambito (Anea) ha calcolato, in un rapporto appena presentato, che per effetto del nuovo modello potremmo subire aumenti del prezzo dell'acqua del 10 per cento, con picchi superiori al 40. Non solo. Grazie a un cavillo inserito nella delibera i gestori potranno mettere a bilancio, oltre ai loro investimenti, anche quelli finanziati con fondi pubblici.