ebook di Fulvio Romano

giovedì 27 giugno 2013

F35, un aereo pieno di guai...

LA STAMPA

Italia

Pieno di guai ma difficile da eliminare

Il costo è cresciuto dell’80% rispetto alle stime iniziali. L’aereo è vulnerabile ai fulmini e l’elettronica dà problemi

Il Pentagono: jet più vecchi lo abbatterebbero. Ma l’Italia può permettersi di perdere contratti e tecnologie?

L’F35 è tante cose: un cacciabombardiere americano co-prodotto da altri otto Paesi fra cui l’Italia, un progetto tecnologico senza il quale l’Europa resterebbe tagliata fuori dagli sviluppi dell’aeronautica militare, ma anche un giocattolo costosissimo e forse con difetti tecnici. Per provare a mettere ordine (senza pretesa di sciogliere i nodi) bisogna partire da un minimo di storia.

Il «Lightining» (cioè «lampo») F35 è figlio imprevisto di un altri caccia, l’F22 «Raptor». Quest’aereo, l’F22, è invisibile al radar (o almeno furtivo, secondo la traduzione letterale di «stealth»). Avrebbe dovuto essere prodotto in 750 esemplari, ma poi il costo unitario elevato e forse anche problemi tecnici (peraltro mai ammessi ufficialmente) ne hanno ridotto gli ordinativi ad appena 183. Gli americani hanno deciso di riservare l’F22 al ruolo di caccia puro (intercettazione e combattimento aereo) e di affiancargli un aereo più semplice ed economico per le mansioni di cacciabombardiere, cioè l’attacco al suolo o in mare e l’appoggio tattico alle truppe a terra. Questo figlio (inizialmente non pianificato) dell’F22 è l’F35.

L’F35 ha tradito molte promesse. Costa meno dell’F22 ma molto più del previsto, addirittura l’80% in più; in particolare i 90 F35 italiani costerebbero 155,5 milioni al pezzo.

I problemi sono anche tecnici. L’F35 fruendo della tecnologia già sviluppata per l’F22 avrebbe dovuto crescere in fretta e invece ha avuto un sacco di problemi. Innanzitutto, ed è una beffa per un aereo che si chiama «Lightning», l’F35 è risultato vulnerabile ai fulmini. Poi nel marzo scorso un rapporto del Pentagono ha denunciato che sull’F35 il display nel casco di volo non fornisce un orizzonte artificiale analogo a quello reale, a volte l’immagine è troppo scura o scompare, e il radar in alcuni voli di collaudo si è mostrato incapace di avvistare e inquadrare bersagli, o addirittura si è spento. La quasi tragica considerazione finale del Pentagono è che in un futuro duello aereo l’F35 verrebbe abbattuto dai vecchi caccia americani F15, F16 e F18 (evoluzioni di modelli che volano da 30 o 40 anni), dal pan-europeo Typhoon e dal Sukhoi 30 russo e dal J-10 cinese. La Lockheed assicura che questi problemi saranno risolti. Comunque l’F35 è (di base) un monomotore più lento e meno potente di molti potenziali oppositori vecchi e nuovi, per la maggior parte bimotori; può superare l’handicap con la tecnologia superiore, ma non se questa tradisce le aspettative.

Ammettiamo per ipotesi che i problemi siano insolubili: che deve fare l’Italia, uscire dal programma? È una scelta possibile ma gravida di conseguenze. I 90 futuri F35 andranno a sostituire ben 253 vecchi aerei fra Tornado e Amx (cacciabombardieri dell’Aeronautica) e Harrier (caccia a decollo verticale delle portaerei italiane). Se non compriamo gli F35 restiamo con le forze aeree monche? Molti rispondono: sì, e ce ne faremo una ragione. Ma sul piano tecnico si potrebbe anche trovare un’alternativa. Il Typhoon pan-europeo è stato adattato dai britannici al ruolo di cacciabombardiere. Non sarebbe un ripiego: in un recente test di combattimento simulato in Alaska, il Typhoon ha sconfitto l’F22. Ma in ogni caso il Typhoon non può sostituire l’Harrier a decollo verticale. E Pietro Batacchi, analista militare e direttore di Rid - Rivista italiana difesa, ammonisce: «Su 30 anni il programma F35 si ripaga da sé. L’Italia ha ottenuto compensazioni industriali, la fabbrica di Cameri costruirà gli F35 non solo italiani e sarà il polo della manutenzione di tutti gli F35 europei e di quelli americani in Europa. Ci sono contratti per l’Alenia e per molte altre imprese italiane. Ma i nostri acquisti di F35 sono già scesi da 131 a 90 e se li tagliamo ancora tutto questo sarà a rischio».

Luigi Grassia


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