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L’Uomo Albero
Alle sei della sera il coreografo e ballerino Erdem Gunduz è arrivato in piazza Taksim a Istanbul, si è fermato davanti al ritratto del padre della Turchia laica Atatürk ed è rimasto lì. Immobile e muto come un albero. La sua scelta silenziosa ha fatto un rumore pazzesco. Prima di mezzanotte intorno all’Uomo Albero era cresciuta una foresta. Giovani, adulti, vecchi, bambini: tutti immobili e muti, le braccia rilasciate lungo i fianchi ma lo sguardo alto, persino fiero, a testimoniare una resistenza che rifuggiva la violenza, anche quella verbale.
I poliziotti del governo sembravano spiazzati. Li avevano addestrati a combattere proteste fatte di urla e di pietre. Si ritrovavano in mezzo a una foresta di corpi silenziosi. Ma come si disperde una foresta, se non dandole fuoco? Quale reato commette chi si blocca in mezzo a una piazza, davanti a un ritratto, e rimane lì, immobile e muto come un albero? Qualche albero è stato preso e portato via con l’accusa di intralcio del traffico e adunata sediziosa. Ma altri ne spuntavano da ogni angolo, rispondendo al richiamo dell’emulazione che attraversava la città. Arrivavano in piazza di corsa e lì sì bloccavano. Immobili e muti. Quel silenzio diceva cose molto più grandi di quante ne possa contenere qualsiasi parola. E rendeva improvvisamente vecchio il rito stanco e sterile degli slogan ritmati, dell’indignazione a comando, della rabbia che attira solo altra rabbia. Finché, intorno a mezzanotte, a Erdem Gunduz è scappata la pipì. La natura vince sempre. La prossima notte tornerà in piazza, con Erdem e i suoi amici, immobili e muti: un ottimo modo, forse l’unico, per andare lontano e farsi sentire.
Massimo Gramellini