ebook di Fulvio Romano

domenica 23 giugno 2013

Il mare, ultimo Eden...

LA STAMPA

Italia

Non distruggiamo l’unico eden rimasto

Nel Paradiso Terrestre, l’Eden, Adamo ed Eva hanno la Natura a disposizione. Devono solo allungare una mano e cogliere i suoi frutti. Ma c’è un albero che non deve essere toccato. Il suo frutto è proibito. Certo, è l’albero della conoscenza del bene e del male. Ma mi piace pensare che quel frutto rappresenti anche un limite che il Creatore ha posto all’uso delle risorse. L’uomo ha colto il frutto proibito, ed è stato cacciato dall’Eden. La condanna è stata il lavoro: guadagnarsi il cibo con il sudore della fronte. La cacciata dall’Eden è il passaggio da cacciatori - raccoglitori ad agricoltori. Perché siamo passati all’agricoltura? Perché abbiamo distrutto, sovrasfruttato, tutte le popolazioni naturali di vegetali e animali terrestri. La Natura non riuscì più a sfamarci e, da allora, abbiamo dovuto forzarla, spremerla, per ottenere quello di cui abbiamo bisogno. Oggi, nessuna popolazione naturale di piante e animali terrestri è in grado di fornirci alcunché: tutto, ma proprio tutto, viene dall’agricoltura e dall’allevamento del bestiame.

In mare no. In mare siamo ancora cacciatori e raccoglitori, e traiamo risorse da popolazioni naturali. Sto parlando dei pesci, e della pesca. Anche in mare, però, stiamo passando all’agricoltura: si chiama acquacoltura. Perché coltiviamo i pesci? Semplice, perché il mare non è più in grado di soddisfare i nostri bisogni, lo abbiamo sovrasfruttato e non ce la fa più a rinnovarsi. Preleviamo le sue risorse più velocemente di quanto sia in grado di rinnovarle, e allora lo dobbiamo forzare.

Le specie che alleviamo in mare, però, sono diverse dalle specie terrestri. A terra alleviamo erbivori (mucche, pecore, capre) o tutt’al più onnivore (come i maiali) ma non ci sogniamo neppure di allevare carnivori. Non avrebbe senso. Per fare un chilo di lupo ci vogliono dieci chili di pecora. Non ne vale la pena. In mare alleviamo carnivori. Le orate, i branzini, e le altre specie oggetto di allevamento, non sono erbivore. Cosa usiamo come cibo? Mangimi, direte voi. Già, mangimi. Ma a base di che? Di farine di pesce. E le farine di pesce si fanno con pesci pescati. Pesci più piccoli, che hanno meno valore commerciale di quelli che poi alleviamo. Ma sono gli ultimi rimasti in grande quantità. Sono quello che è rimasto sul fondo del barile. Dopo aver tolto i pesci grandi, ora stiamo togliendo quelli piccoli per darli da mangiare a quelli grandi che, visto che non sono più presenti in natura, sono ora oggetto di allevamento. Una follia ecologica.

Il mare è l’ultimo Eden. I pescatori sono gli ultimi umani, nella nostra società, che vivano ancora a contatto con la natura, attingendo direttamente da essa, senza intermediazioni agricole. Ma noi, forse, siamo l’ultima generazione che mangerà pesce selvatico. I nostri figli, quasi con certezza i nostri nipoti, non sapranno cosa significhi mangiare un pesce «di mare».

È una situazione reversibile? Sì, lo è. Il mare si rinnova molto più rapidamente della terra, e i pesci hanno tassi riproduttivi prodigiosi. Dobbiamo solo lasciarli crescere. E dobbiamo smettere di distruggere i loro habitat con pratiche di pesca dissennate. È il problema dei beni comuni. I pesci sono un bene comune, non sono di nessuno anzi: sono di chi li prende. E i pescatori fanno a gara, se li contendono cercando di prenderli prima dei loro competitori, gli altri pescatori. Così prendono pesci che potrebbero diventare grandi, prima che lo diventino. Un chilo di pesci piccoli potrebbe diventare cento chili di pesci grandi, a saper aspettare. Ci guadagnano di più i pescatori, ci guadagna la natura, e ci guadagniamo anche noi, perché mangiamo pesce di mare, e non di acquacoltura. Ma se non lo prendo io lo prende lui, e quindi è meglio se lo prendo io. È una cultura suicida! Le Aree Marine Protette servono proprio a proteggere il mare dal dissennato sfruttamento dell’uomo. Ma non bastano. Bisogna creare le reti di Aree Marine Protette, per allargare la cultura di un uso assennato del nostro ultimo Eden, in modo da poter continuare ad essere cacciatori e raccoglitori quanto più a lungo possibile. Ma questo implica un mutamento radicale nella nostra cultura. Ne parleremo ancora, perché ci stiamo lavorando e, forse, ci stiamo persino riuscendo.

Ferdinando Boero*


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