ebook di Fulvio Romano

mercoledì 5 agosto 2015

Quei consiglieri ignari di tv fanno vincere la scelta M5S

LA STAMPA

Italia

Tolto il nome arrivato dai grillini, una lottizzazione con poco merito

In continuità con la grande tradizione della Rai, i nuovi membri del consiglio di amministrazione non sanno assolutamente nulla di tv. O almeno non più di quanto ne sappia chi abbia fatto zapping un paio di volte nella vita.

Con l’eccezione di Carlo Freccero (sessantotto anni compiuti oggi: che bel regalo!), quattro decenni tra Fininvest e Rai, dalla direzione di Italia Uno a quella di Raidue. L’idea di indicare per il cda della tv di Stato uno del ramo - idea che purtroppo agli altri non è venuta - consegna al Movimento cinque stelle il titolo di migliore in campo. E ci sarebbe poco da ridire, poiché si lottizza da sempre, e le competenze specifiche non erano richiestissime nemmeno nei cda precedenti, se non fosse che al diciassette dei cento punti della Leopolda renziana del 2011 si leggeva che «l’obiettivo è tenere i partiti fuori dalla gestione della televisione pubblica». E l’obiettivo è stato rilanciato dal governo fino a qualche ora fa: il merito, l’attinenza, lo scarto col passato. Obiettivo era e obiettivo rimane, però, e non soltanto perché si è proceduto alla nomina dei sette con la legge Gasparri, una di quelle leggi che fanno rabbrividire tutti ma nessuno cambia.

Forse non è un motivo sufficiente per essere pessimisti come lo era, sei anni fa, Franco Siddi (62 anni, da pochi mesi ex segretario del sindacato nazionale dei giornalisti, dove ha trascorso metà della vita) quando commentò il cda appena formato: «E’ inutile parlare delle persone nominate anche se i loro nomi sono quelli usciti da cene in case private. Le novità, cene o non cene, non potevano essere molte stante la legge attuale che consegna la Rai totalmente alla politica». Lo stesso Siddi, infatti, è oggi meno plumbeo: «Mi sento impegnato a dare una mano perché la Rai in questa fase sia proiettata verso il massimo del recupero dei valori di servizio pubblico e rappresentazione del Paese in tutte le sue espressioni territoriali e culturali». E nemmeno ritiene un ostacolo essere stato indicato dal Pd e nonostante un anno fa dicesse «sì a chi la Rai la vuole rivoluzionare davvero, partendo dall’eliminazione dell’invadenza dei partiti».

Così, a parte qualche ripensamento di Siddi, e con la già segnalata eccezione di Freccero, di notevole c’è l’estraneità del gruppo alla materia, e nonostante si stia parlando di professionisti su cui c’è nulla da dire. Arturo Diaconale, settant’anni, ha lavorato al Giornale con Indro Montanelli ed è direttore dell’Opinione, quotidiano liberale con qualche prossimità con Forza Italia che ha portato Diaconale a candidarsi in Campania alle ultime regionali con la lista delle Vittime della giustizia e del fisco, impresa sfortunata che però ha procurato a Diaconale la gratitudine di Berlusconi. Giancarlo Mazzuca, sessantotto anni, dirige il Giorno, ha diretto il Resto del Carlino, è stato anche lui alle dipendenze di Montanelli e inviato del Corriere, ha scritto ineccepibili saggi sul fascismo (e su altro), è stato parlamentare di Forza Italia. Della cinquantenne Rita Borioni - pure indicata dal Pd, e si dice per i buoni uffici del presidente Matteo Orfini - è già più difficile fare un profilo dettagliato: da anni contribuisce alla vita del Pd, fin dai tempi dei Ds, dove ha ricoperto il ruolo di consulente per la cultura; dal partito sostengono che è una pratica poiché si è occupata di trasmissioni a RedTv. Il piccino del gruppo è Paolo Messa, trentanove anni, uomo dalle mille attività e dalle mille relazioni, la più feconda delle quali è con Pierferdinando Casini, la cui inesauribile gestione del potere comincia ad assumere contorni misteriosi.

Ora arriviamo anche a Guelfo Guelfi, altro settantenne. E qui ci tocca l’annotazione antipatica, ma si sarà notata l’età media non bassissima di questo cda, tanto per capire come nella circostanza si siano modificati i criteri della rottamazione. Quanto a Guelfi, ci è ripiombato nelle pagine chissà da quale angolo: militava in Lotta continua, è stato un dei testimoni a discarico di Adriano Sofri nel processo per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Forse pensando a lui, a Guelfi, Matteo Renzi ha detto che il cda è composto dai «nomi migliori, si può dire tutto ma non che sono di stretta appartenenza al club renziano. Non sono nomi inventati tra Scandicci e Pontassieve». Appunto: Guelfi è di Pisa. Ed è un vecchio e tenace amico del babbo del premier. Per il figliolo ha curato la comunicazione nella campagna elettorale per il comune di Firenze del 2009 e quando ci furono le primarie, e Pierluigi Bersani propose lo slogan “Oltre”, Guelfi osservò che «un partito d’opposizione dovrebbe conquistare il governo, non andare oltre la siepe. Anche perché oltre la siepe si rischia sempre di pestare una merda». Un rischio che si corre anche stando al governo.

mattia feltri


Level Triple-A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0           Copyright 2015 La Stampa           Bobby WorldWide Approved AAA