ebook di Fulvio Romano

martedì 18 agosto 2015

Con l'Italicum il ballottaggio tra i primi due partiti verrebbe deciso dal terzo partito...

LA STAMPA

Cultura

l’Italicum

va corretto.

senza fretta

è oramai patrimonio comune affermare che una buona legge elettorale deve al tempo stesso assicurare adeguata rappresentanza e sufficiente governabilità. In questa luce l’Italicum, prevedendo una soglia di sbarramento al 3% e un forte premio di maggioranza alla lista che consegua almeno il 40% del voto o vinca il ballottaggio tra le prime due, appare a prima vista soddisfare entrambi i suddetti requisiti.

In realtà, pensato in una situazione sistemica sostanzialmente bipolare, l’Italicum presenta invece vari problemi se applicato ad una situazione come quella italiana oramai tripolare. Nell’ipotesi, assai probabile, che nessuna lista consegua il 40% dei voti, il ballottaggio tra le prime due verrebbe infatti deciso dagli elettori del terzo partito. In queste condizioni il risultato sarebbe frutto di quel negoziato tra partiti che proprio l’Italicum voleva abolire, conducendo con quasi certezza a governi di coalizione disomogenei e quindi instabili. Paradossalmente, l’Italicum rischia così di contribuire oggi a negare alla radice qualsiasi ipotesi di un reale bipolarismo e il mantra del «governo deciso dai cittadini fin dalla sera delle elezioni». Ripensare l’Italicum, come vengono chiedendo le opposizioni esterne al governo e interne al Pd, specie in connessione con il progetto di riforma costituzionale, non è dunque negare la politica delle riforme, ma porsi il problema di una loro attuazione coerente con gli obiettivi di una democrazia parlamentare orientata a superare in senso maggioritario i difetti di un eccessivo proporzionalismo.

La principale modifica che viene oggi richiesta dai critici dell’Italicum è tuttavia un rimedio peggiore del male: l’obiettivo comune alle opposizioni interne ed esterne al Pd di attribuire il premio di maggioranza ad una coalizione di partiti anziché ad una lista di partito va infatti decisamente respinto, pena il tornare alle pletoriche e paralizzate coalizioni degli ultimi governi Prodi e Berlusconi. Parimenti va evitato - attraverso una riforma dei regolamenti parlamentari che per un congruo periodo di tempo dopo il voto obblighi gli eletti a restare nel gruppo corrispondente alla lista che li ha espressi - che il premio di maggioranza attribuito ad una «lista» non necessariamente composta da un solo «partito» permetta la sopravvivenza di forze inferiori al 3%, la cui utilità marginale potrebbe essere essenziale alle forze maggiori per conseguire il premio di maggioranza.

Altre sono le modifiche all’Italicum che sarebbero necessarie, ma esse ne imporrebbero un più radicale ripensamento oggi impossibile nel breve termine. L’introduzione del collegio uninominale, o di piccoli collegi plurinominali, ad esempio, si tradurrebbe nell’introduzione di un premio di maggioranza implicito che farebbe venir meno i rischi su indicati. Tuttavia, se si concorda che il punto debole dell’Italicum ancor più che nei capilista bloccati sta nel rischio di reintrodurre surrettiziamente governi di coalizione disomogenei e quella frammentazione partitica che si voleva eliminare, allora un suo ripensamento potrebbe aiutare anche il varo di una corretta riforma costituzionale. Un trade off Pd-Forza Italia, basato sullo scambio «premio di maggioranza alla coalizione - approvazione della riforma del Senato nell’attuale testo», non è nella convenienza né del Pd né del Paese: è probabile infatti che con un premio di maggioranza alla coalizione la competizione elettorale vedrebbe al secondo turno un Pd alleato con le poche altre forze filo-europeiste contrapposto ad uno schieramento di forze anti-europeiste; assisteremmo così ad una radicalizzazione estrema e ad un confronto dall’esito incerto e rovinoso se le seconde dovessero prevalere.

Il premier Renzi e il ministro Boschi hanno oggi la forza politica e la visione necessarie per comprendere che le premesse di un crescente bipolarismo del sistema non si sono realizzate, e per ritardare - anche se solo di qualche mese - l’iter delle riforme istituzionali. Ciò permetterebbe di far decantare le attuali tensioni e di ricercare una più solida maggioranza al Senato, rinunciando ad operazioni trasformistiche incapaci di conseguire il vero obiettivo della democrazia dell’alternanza: governi stabili e omogenei, fine della frammentazione partitica e una più adeguata selezione della classe politica. Talora il tempo è buon consigliere, e comunque solo il prendere atto degli avvenuti mutamenti strutturali del sistema può assicurare il conseguimento del risultato ultimo che si intende raggiungere.

Stefano Passigli


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