Cultura
Come
si costruisce
un Nemico
della Patria
Nell’opera che giovedì inaugura
la stagione della Scala
per la prima volta irrompe
sulla scena il Quarto Stato.
E risuona l’accusa che segnerà
tragicamente il Novecento
Nell’opera che giovedì inaugura
la stagione della Scala
per la prima volta irrompe
sulla scena il Quarto Stato.
E risuona l’accusa che segnerà
tragicamente il Novecento
Quando, nel Quadro Primo, Carlo Gérard, servo figlio di servi da sempre al servizio dei conti di Coigny, «appare alla testa di una folla di gente, stracciata e languente» e con voce «tonante», di fronte agli orripilati aristocratici che danzano una gavotta, declama «Sua grandezza la miseria!», per la prima volta il Quarto Stato irrompe da protagonista nella storia del melodramma. L’opera che giovedì inaugura la stagione della Scala possiede un aspetto di radicale novità: più nel libretto di Luigi Illica che nella musica di Umberto Giordano.
Andrea Chénier debutta il 28 marzo 1896. Illica ambienta la vicenda dapprima nel 1789, alla vigilia della Rivoluzione francese, poi nel 1794, durante il Terrore giacobino.
A fine ’800 un comune sentire circola tra molti artisti italiani. Dopo gli anni delle guerre risorgimentali e i tanti titoli operistici che fecero da volano all’entusiasmo unitario, quasi - secondo un’ardita ipotesi di Massimo Mila - sia stata la musica a costruire la nazione, è il verismo che si manifesta attento ai conflitti della nostra società. Giovanni Verga progetta un ciclo di romanzi inedito nella storia della letteratura itlaiana: I vinti; il primo volume, I Malavoglia, esce nel 1881. Nel 1891 Giuseppe Pellizza da Volpedo lavora a un bozzetto che chiama gli Ambasciatori della fame. È il primo spunto di quello che, dieci anni dopo, diventerà il suo quadro più celebre. Nel 1893 debutta al Carcano di Milano El nost Milan, di Carlo Bertolazzi, commedia - che sarà molto amata da Giorgio Strehler - divisa in due parti: «La povera gente» e «I sciòri». In quegli anni, i bambini delle elementari trovano nel Sillabario per la prima classe questa canzoncina: «Corriam con giubilo / dunque al lavoro. / Meglio che l’oro / vale il saper. [...] / Fatti adulti e di forze gagliardi / sorgeremo agguerrite coorti / pugneremo, Re Umberto, da forti / moriremo, bella Italia, per te». Nella Storia d’Italia Einaudi Valerio Castronovo delinea bene quel periodo: malessere delle plebi meridionali, durissime condizioni di lavoro nelle fabbriche del Nord, scioperi frequenti, insofferenza eversiva della piccola borghesia, sacrificio di tanti modesti risparmi.
Nel decennio 1890-1900 l’emigrazione raggiunge la media annua di 280.000 unità. Eravamo allora 30 milioni; in dieci anni emigra il 10% della popolazione. Tra le tante manifestazioni, spicca la «protesta dello stomaco» del maggio 1898 a Milano. Bava Beccaris ordina di sparare sulla folla: 80 morti, 450 feriti. La monarchia premia il generale con medaglia d’oro al valor militare, Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia, un seggio al Senato. Ha scritto Leonardo Pinzauti: «Non sembra pura coincidenza che la scelta dello Chénier sia maturata intorno al 1894, un anno dopo la trasformazione del partito dei lavoratori in Partito Socialista Italiano. [...] Vi sono nell’opera i motivi di un consenso che si basa anche su fatti non musicali, come il riscatto sociale, l’anticlericalismo nutrito di un perdurante sentimentalismo cristiano, l’avversione della borghesia imprenditoriale nei confronti di una nobiltà arroccata nei suoi privilegi, la retorica populista».
Quando scrive questo soggetto originale, che con molte libertà propone la vicenda del poeta girondino Andrea Chénier (1762-1794) mandato a morte durante il Terrore, Illica indaga un altro aspetto di quella e di tutte le Rivoluzioni. Gérard, diventato un esponente rivoluzionario, fabbrica le accuse contro Chénier: ma è la gelosia, non l’ideale politico, a muoverlo. I due uomini amano la stessa donna, Maddalena, che ha scelto Chénier.
Gérard riflette: come si fa a mandare a morte un oppositore? Basta classificarlo «Nemico della Patria». Questa «vecchia fiaba / che beatamente ancor la beve il popolo». Provando ribrezzo di sé stesso, fabbrica le accuse: traditore, straniero, «poeta». A morte! Illica qui schiude la traiettoria tragica del rapporto tra artista e potere nel ’900. Quanti Nemici della patria ha rinchiuso negli ospedali psichiatrici, nei Lager, o mandato a morte il XX secolo; quanti zelanti delatori hanno denunciato presunti Nemici della Patria. Quanti artisti sono stati ritenuti «degenerati», uccisi perché Nemici della Patria. Nell’Italia fascista del confino e delle leggi razziali, nella Germania del Terzo Reich, nell’Unione Sovietica degli anni del Terrore.
Con voluttà, quasi un Tristano e Isotta ai tempi del Terrore, raccontati con i più semplici mezzi espressivi di Giordano, Andrea e Maddalena saranno ghigliottinati assieme. Quella ghigliottina che il regista Mario Martone ha usato nel recente allestimento di La morte di Danton di Georg Büchner. Danton come Chénier: Nemici della Patria mandati al patibolo.
E Gérard? Il servo innamorato e accusatore, tardivamente pentito, assiste fuori scena agli ultimi istanti dei due amanti. Dice la didascalia: «Mentre s’allontana la carretta Gérard riappare. Tiene in mano il biglietto scritto da Robespierre per non vederlo: “Perfino Platone bandì i poeti dalla sua Repubblica”». A questa terribilmente esatta conclusione una regia attenta può restituire il rilievo che merita. Il verismo musicale non è stato un episodio trascurabile nella storia dell’arte italiana.
Sandro Cappelletto