Esteri
Svolta storica, un computer supera
il test di Turing sull’intelligenza
Un software si presenta come essere umano, la Royal Society non riesce a smascherarlo
Un software si presenta come essere umano, la Royal Society non riesce a smascherarlo
Si chiama Eugene Goostman, ha tredici anni e vive a San Pietroburgo. Questo almeno è quello che hanno creduto i giudici della Royal Society: in realtà a rispondere alle loro domande era un computer.
Così per la prima volta un calcolatore ha passato il test di Turing, un esperimento ideato per distinguere l’intelligenza umana da quella artificiale. Il computer deve rispondere a domande specifiche, che vengono rivolte contemporaneamente anche a un uomo: i membri della giuria devono ogni volta cercare di capire chi dei due è il loro interlocutore. Se il computer riesce a ingannarli per oltre il 30 per cento delle risposte, il test si considera superato. È quello che è successo sabato scorso a Londra, dove Eugene ha sbaragliato gli altri quattro calcolatori e convinto il 33 per cento dei giudici di essere umano nel corso di 150 conversazioni. In realtà, più che un oggetto fisico, Eugene è un programma: un software ideato da Vladimir Veselov ed Eugene Demchenko, che già altre volte aveva partecipato al test piazzandosi sempre ai primi posti.
L’idea che un cervello di silicio potesse pensare, ragionare, sentire come quello di un uomo circola da decenni (l’elenco è lunghissimo: da AI di Spielberg a Lei di Spike Jonze, e per la letteratura moderna parte da Samuel Butler, passa per Asimov e arriva a William Gibson). Un tema ricco di implicazioni sociali ed etiche, visto che una caratteristica fondamentale dell’intelligenza artificiale è quella di crescere e svilupparsi autonomamente. Per questo la convivenza tra uomo e macchina, già oggi non sempre facile, nei film e nei libri diventa a volte scontro aperto, rivolta, rivoluzione.
Prima di Eugene, era arrivata Eliza, un chatbot, ossia un robot programmato per chiacchierare: e non come una persona qualsiasi, ma come uno psicanalista lacaniano che risponde alle domande (spesso con altre domande). Aveva debuttato nel 1966 e ancora oggi, a cercare su internet, la si può trovare in qualche sito di curiosità per fanatici della tecnologia vintage. Un altro tentativo di imitare l’intelligenza umana fu quello di Ibm, con le sfide a scacchi tra uomo e computer. Oggi Watson, l’ultimo erede di Deep Blue, è in grado di rispondere a domande complesse e comprendere il contesto relativo a un argomento, ma anche di analizzare dati presi da internet ed elaborare una teoria senza nessun intervento umano. Molti però hanno già in tasca un barlume di intelligenza artificiale, con gli assistenti vocali degli smartphone: Siri sull’iPhone, Google Now o Cortana, appena arrivato su Windows Phone.
Nel 1950, quando Turing elaborò il suo test, i computer occupavano intere stanze, non gli spazi minuscoli dei chip attuali, ed erano soprattutto usati in ambito militare. E quello che oggi è famoso come uno dei padri dell’informatica, è anche l’inventore di Enigma, una macchina per decrittare il codice usato dai tedeschi per le comunicazioni cifrate nella Seconda Guerra Mondiale. Matematico e scienziato, diede un contributo fondamentale alla fine della conflitto e lavorò al servizio del governo britannico per tutta la vita.
Aveva previsto che un giorno o l’altro un computer avrebbe superato il suo test, ma il criterio con cui una macchina viene equiparata a un essere umano non lusinga né l’una né l’altro: l’intelligenza artificiale è la capacità di ingannare gli uomini, di far credere di essere diversi da quello che si è. Turing scelse un’altra strada, e pagò il prezzo più caro. Nel 1952 fu arrestato e portato in tribunale con l’accusa di essere omosessuale; non negò nulla, non tentò di ingannare i giudici. Fu condannato e per un anno venne sottoposto a iniezioni di estrogeni che devastarono la sua mente e il suo corpo. L’8 giugno del 1954 fu ritrovato suicida nella sua stanza, avvelenato da una mela intrisa di cianuro. Solo sei mesi fa la Regina Elisabetta ha perdonato il suo reato.
Twitter@BrunoRuffilli
Bruno Ruffilli