ebook di Fulvio Romano

lunedì 9 giugno 2014

Francesco, Simon Peres, Abu Mazen. Un gesto inedito, anche per i cristiani

«Ci sono dei gesti che mi vengono dal cuore, in quel momento...». Così Papa Francesco aveva risposto a chi due settimane fa gli chiedeva come fosse nato quell’omaggio con il bacio della mano ai sopravvissuti della Shoah nello Yad Vashem.

Ed è in questo modo che a Bergoglio era venuta l’idea di far ritrovare insieme per pregare i responsabili dei due popoli, israeliano e palestinese, durante il breve viaggio in Terra Santa dello scorso maggio. Il sogno non si era potuto realizzare in loco, ma il Papa non ci aveva rinunciato, e aveva così invitato a casa sua Shimon Peres e Abu Mazen.

L’invocazione a Dio perché doni la pace in Terra Santa che si è svolta ieri sera in Vaticano è un gesto nuovo e inedito. Giovanni Paolo II, dopo l’11 settembre, aveva invitato ad Assisi i leader delle religioni. Ma non aveva portato a pregare nello stesso luogo chi si combatte. Più che le parole, comunque significative, a colpire della cerimonia nel giardino triangolare con il Cupolone che si stagliava sullo sfondo, sono stati i silenzi, la partecipazione, le immagini. Qualcosa di veramente «potente», ha commentato a caldo il portavoce del presidente Peres. Una celebrazione curata in ogni dettaglio dal Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, con uguali spazi alle tre religioni professate da chi vive in Israele e Palestina. Tre preghiere distinte, senza confusioni, ma accompagnate da tanti credenti in tutto il mondo, tutti spiritualmente presenti accanto ai quattro vegliardi che con le pale di metallo blu hanno piantato un piccolo ulivo, simbolo della pace e pianta a suo modo emblematica: ci vogliono molti anni prima che possa portare frutto.

Un gesto inedito, quello di ieri sera, anche per i cristiani. Uniti nell’abbraccio tra Francesco e il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, entrambi al centro della scena al momento del saluto finale di pace. Una minoranza, quella cristiana, sempre più riconciliata al suo interno, che può giocare un ruolo chiave nella pacificazione di israeliani e palestinesi.

Francesco ha voluto gettare un sasso in un processo negoziale stagnante, interrotto dopo la decisione di Abu Mazen di dar vita a un governo di unità nazionale con esponenti di Hamas, alla quale ha fatto seguito l’annuncio da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu del via libera a migliaia di nuovi insediamenti di coloni in Cisgiordania. Il vescovo di Roma non ha agito da politico, ha portato i due presidenti a pregare, come uomini di fede, all’ombra del Cupolone di San Pietro. Le tensioni e i conflitti aperti rimangono tanti. Sia Peres che Abu Mazen hanno fatto riferimento nei loro interventi, all’unicità di Gerusalemme come città santa delle loro rispettive fedi. Ma il presidente israeliano, ormai prossimo alla scadenza del suo mandato, ha anche riconosciuto che la pace va costruita anche «se ciò richiede sacrifici o compromessi».

Francesco non ha fatto il diplomatico né il mediatore. Ha però detto parole chiarissime sui troppi figli vittime innocenti della guerra e della violenza: «È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano». «Per fare la pace - ha aggiunto - ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo».

E invocare Dio, alzare gli occhi al cielo, non significa affatto rinunciare all’impegno di costruire «artigianalmente», ogni giorno e con coraggio, la pace. Aver pregato nello stesso luogo, con rabbini, preti e imam, con i rappresentanti dei popoli israeliano e palestinese, nel giorno in cui i cristiani festeggiano la Pentecoste - festa dello Spirito Santo che «è armonia» come sempre ricorda Bergoglio - è un richiamo e una responsabilità. La spirale dell’odio e della violenza va spezzata «con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola - ha concluso Francesco - dobbiamo alzare tutti lo sguardo al cielo, e riconoscerci figli di un unico Padre».

ANDREA TORNIELLI


Level Triple-A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0           Copyright 2014 La Stampa           Bobby WorldWide Approved AAA