Cultura
Steve McCurry
Steve McCurry
Così l’Umbria
diventa un luogo
sensazionale
Steve McCurry è uno dei fotografi più noti del mondo e quanti non conoscono il suo nome possono stare tranquilli: avranno visto almeno una delle sue fotografie. Certamente quella che ritrae una ragazza afgana dagli occhi verdi come il muro dietro di lei, con la testa coperta da un velo rosso: un’icona, una delle poche immagini capaci ancora, sul finire del Novecento, di raccontare la guerra e soprattutto di farlo senza portarci direttamente dentro il dolore del conflitto. E’ proprio questa, infatti, la grande capacità di McCurry quella di raccontarci paesi e situazioni attraverso la vita di ogni giorno, senza spettacolarità che non sia affidata ai colori e alla composizione. Potete dunque immaginare quanto siano armoniosi e seducenti, gli scatti dedicati all’Umbria e riuniti in una doppia esposizione a Perugia: al Palazzo della Penna e nella sede dell’Ex Fatebenefratelli. La scelta allestita poi non fa che amplificare le qualità tipiche della sue fotografie con light box orizzontali posizionate sul pavimento in ambienti quasi bui, a lasciare emergere dunque con forza straordinaria proprio l’intensità delle luci e dei toni. Con una scelta poi piuttosto azzardata alcune immagini sono state messe a confronto con le celebri lavagne di Josef Beuys, preziose opere nella collezione perugina.
Comunque, invitato dalla Regione a raccontare il Genius loci, McCurry è andato a cercare nelle città più importanti e nei borghi più caratteristici, nei musei e nelle feste tradizionali, di scatto in scatto, un affresco della vita contemporanea molto idealizzata. Non c’è dubbio che il suo obiettivo restituisca del cuore della penisola, infatti, una visione in cui la forza delle tradizioni, della ritualità, dei legami secolari ha la meglio sulla brutalità dei tempi e la velocità dei cambiamenti. Cercando poi nella terra che ha contribuito alla nascita del Rinascimento, McCurry probabilmente aveva in mente i volti delle Madonne e la perfezione prospettica dei maestri studiati e tenuti con sè nel corso della propria ricerca. Non a caso l’immagine guida della mostra è proprio un ritratto: una ragazza con gli occhi azzurri, i capelli raccolti in un fazzoletto, uno sguardo molto difficile da dimenticare. Il suo è infatti un interesse profondo per l’umanità in ogni sua forma che emerge con prepotenza in questa mostra, dove ogni scatto è segnato dalla presenza della figura umana. Persino quando ad essere immortalato è un monumento simbolo come la Fontana Maggiore di Perugia o le stanze della Fondazione Burri a Città di Castello. Uomini e donne qualche volta fermati nell’attraversamento di una piazza, al bar, o più semplicemente al lavoro, nei campi, nella bottega di restauro, preparando una festa tradizionale. Ad emergere è, comunque, una dimensione corale dell’esistenza, fatta di incontri e parole. Chissà quali si scambiano i due frati vestiti di bianco nel Monastero di Sassovivo a Foligno o i convitati a tavola: è un’Italia che noi italiani crediamo ormai sparita con la proliferazione di centri commerciali e fast food, ma che a cercare bene, evidentemente, ancora si trova.
Elena del Drago