ebook di Fulvio Romano

mercoledì 25 giugno 2014

Addio a "Bianca la rossa" ( Papuzzi)

LA STAMPA

Cultura

Addio a “Bianca la Rossa”

avvocato delle battaglie civili

È morta a 95 anni Bianca Guidetti Serra, personaggio

cruciale della Torino del dopoguerra e delle lotte operaie

Come titolo per la sua autobiografia (uscita da Einaudi nel 2009 con la collaborazione di Santina Mobiglia), aveva scelto un gioco di parole: Bianca la rossa. Il calenbour rispecchiava abbastanza fedelmente la doppia immagine di questa signora delle aule giudiziarie, dall’apparenza quasi diafana e fragile, con occhi azzurri carichi di ironia, in realtà capace di condurre aspre battaglie, sia processuali, sia politiche, scomparsa ieri, a 95 anni, nella sua Torino.

Veniva da una famiglia della borghesia alessandrina, ma già con un pizzico di anticonformismo, perché se il padre era un noto avvocato civilista, la madre apparteneva a una famiglia operaia e faceva la sarta. La morte del padre, quando lei faceva la maturità, la costrinse a cambiare progetti di vita: decise di andare a lavorare per aiutare la madre e una sorella più giovane (Carla che oggi vive a Roma). Venne assunta all’Unione Industriali, come assistente sociale di fabbrica. Si trattava di vagliare la condizione delle operaie, capire di che cosa avessero bisogno; magari il marito era al fronte e nelle officine si chiedeva di averne notizie.Quel lavoro divenne comunque il primo impatto con la realtà della fabbrica.

Alla maturità conosce Primo Levi, di cui sarà una grande amica. Oltre all’autore di Se questo è un uomo, conosce un suo compagno di scuola, Alberto Salmoni, l’uomo che poi avrebbe sposato. Queste amicizie si nutrivano dell’indignazione per le leggi razziali: «Mi hanno scossa direi passionalmente – confessò in una intervista - e questa è stata la ragione per cui mi sono schierata da una certa parte, il che ha saldato i rapporti con quel gruppo di amici ebrei che comprendeva Alberto e Primo».

La scelta antifascista non fu dunque né ideologica né politica, bensì emotiva, innanzi tutto come reazione alle persecuzioni antisemite. Se vogliamo era una questione di cultura. Ma poi era lei stessa a ricordare quando apparvero nelle strade di Torino manifesti antisemiti: allora lei, sua sorella, Alberto Salmoni, con il fratello Bruno e la cognata Lilla, e altri amici, per diverse sere andarono in giro a strapparli, sotto gli occhi sbalorditi dei torinesi. «Avrebbero potuto arrestarci. Non lo fecero, convinti che si trattasse di una ragazzata. In realtà per me e mia sorella l’azione era stata dettata da una prima consapevolezza politica».

Una volta gettato il seme, l’albero cominciò a prendere forma. Inserita nella rete clandestina degli antifascisti, Guidetti Serra dapprima si iscrive al partito comunista, in seguito contribuisce allo sviluppo di un movimento femminile resistenziale, che si costituisce nel 1943 sotto un titolo non proprio comodo: i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà. Come si vede, le donne continuavano a avere, anche nelle file partigiane, un ruolo subalterno, e questa sarà una delle più convinte battaglie politiche condotte da Guidetti Serra, innanzi tutto dentro la sinistra.

Nel 1947 comincia la sua carriera di avvocato penalista, che durerà fino al 2001. Coraggiosamente apre uno studio da sola, quando a Torino non c’erano più di 4-5 donne avvocato. Decisa, capace, preparatissima, appassionata, compare in cause di grande popolarità, come quella contro Piero Cavallero, Sante Notarnicola e Adriano Rovoletto. Ma in questa seconda parte della sua vita instancabile, la vicenda più rilevante,il grande caso giudiziario, è il cosiddetto processo delle schedature Fiat.

Come si sa, l’allora pretore Raffaele Guariniello scopre un archivio segreto in cui l’azienda tiene conto di tutti i dati dei dipendenti: non soltanto quelli materiali, ma anche quelli di natura ideologica, politica o sindacale. Sotto l’incedere delle gradi migrazioni, l’operazione s’inquadrava nel clima burrascoso che caratterizzava all’epoca i conflitti nelle fabbriche. Le schede erano oltre 254 mila. Ma le difese dei manager ottennero lo spostamento al Tribunale di Napoli, per legittima suspicione.

Il grande processo finì per sgonfiarsi, ma lei commentò che, nonostante tutto, era stata una vittoria per la democrazia: «Era una storia di abusi. Bisognava ribellarsi. Dopo di allora nessuno pensò più di trattare così gli operai».

Ma la confessione chiave, in cui si saldano scelta politica e impegno civile, fu quando le si chiese un bilancio della sua militanza nel partito comunista e in democrazia proletaria: «Sono contenta di essere stata sempre da quella parte. Sono contenta di aver fatto scelte che corrispondevano al mio sentimento nei confronti di chi ha bisogno d’aiuto».

Alberto Papuzzi


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