ebook di Fulvio Romano

venerdì 13 giugno 2014

La ministra Madia ( nota indefessa lavoratrice) obbligherà il vigile Scipioni a fare 100 km al giorno per conservare il posto?

LA STAMPAweb

Economia

“Un trasferimento

di 100 chilometri

costerebbe troppo”

Il vigile quarantenne: mi sposto solo in scooter, le spese diventerebbero impossibili

Lavorare a cento chilometri di distanza dal luogo attuale, senza la possibilità di opporsi, contestare, chiarire. È lo spettro che aleggia sui dipendenti pubblici da giorni, un fantasma che minaccia di distruggere vite, legami, equilibri. Ieri la ministra Marianna Madia - che alla riforma sta lavorando da mesi - ha fatto marcia indietro, assicurando di non aver mai immaginato né preso in considerazione l’ipotesi di una mobilità obbligatoria nel raggio di cento chilometri e di non voler stravolgere la vita delle famiglie. La verità la si conoscerà solo oggi quando in Consiglio dei ministri si discuterà la riforma. Una verità dura da digerire se dovesse passare la versione dei giorni scorsi.

Emiliano Scipioni ha 40 anni, è vigile urbano a Roma da oltre sette anni, preferisce non pensare nemmeno alla possibilità di essere costretto a lavorare cento chilometri più lontano. «Un sacrificio siamo disposti tutti a farlo di questi tempi ma questo è diverso, è troppo, e non è giustificato», spiega. Scipioni abita al confine tra Roma e i comuni di Montecompatri e Frascati. Non potrebbe mai permettersi una casa più centrale: l’ultima busta paga gli ha portato in tasca 1400 euro, la moglie lavora come precaria, hanno una bambina di due anni e mezzo. Lavora nel settimo municipio, vale a dire dalle parti di Cinecittà. In scooter impiega almeno mezz’ora. In auto nemmeno ci prova, in alcune ore il traffico da quelle parte è da centro commerciale nella prima domenica di saldi. Come vigile ha turni di sette ore che possono iniziare in momenti diversi della giornata. Può prendere servizio alle sette di mattina, alle 14, alle cinque di pomeriggio o a mezzanotte e andare avanti fino al mattino.

I turni non sono un dettaglio, nella vita di qualcuno che potrebbe ritrovarsi catapultato in un luogo di lavoro a cento chilometri di distanza. «Tutto dipende dalla destinazione e da come ci si arriverebbe, se ci sono collegamenti pubblici o per raggiungerla bisogna per forza usare mezzi propri. In ogni caso se ora per percorrere quindici chilometri impiego mezz’ora quanto dovrei impiegare per percorrerne cento? Conoscendo Roma e i dintorni e i collegamenti almeno due ore all’andata e altre due al ritorno».

Tre ore di vita in più rubate alla famiglia, ai suoi cari. «Vuol dire distruggere una famiglia», avverte. Soprattutto quando ci sono dei turni così diversi dai ritmi consueti. Trascorrerebbe intere giornate senza poter vedere la figlia e la moglie. Per non parlare dei costi da sostenere. «Ora vado al lavoro in scooter ma diventa improponibile farlo se lavorassi a cento chilometri di distanza, dovrei sostenere la spesa di un’auto e poi quelle per il carburante».

Lavorare diventerebbe un incubo. Continuerebbe? «Ho 40 anni, la licenza liceale e un posto di lavoro a tempo indeterminato. Ho sempre lavorato da quando avevo diciotto anni, ho fatto di tutto, sono stato istruttore di nuoto e a lungo in una società informatica. Mi metterei di sicuro a cercare un’altra occupazione ma prima di lasciare quello che ho ora avendo una famiglia da mantenere dovrei essere molto sicuro dell’alternativa. Temo che un trasferimento a cento chilometri di distanza finirebbe solo per distruggere la vita che con grandi sforzi sono riuscito a costruire».

FLAVIA AMABILE


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