Da Huffington Post
Si va dal "ma non scherziamo", al "Tutto è possibile, anche lo scioglimento del Movimento". Il tonfo del Movimento 5 stelle è talmente fragoroso che le voci sulle dimissioni di Beppe Grillo impazzano. E le poche che si riescono a raccogliere quando i venti punti percentuali dal Pd si stanno ormai consolidando sono spaesate, e non riescono a dare il polso della situazione.
Da Milano, dove Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno seguito lo spoglio, è partito l'ordine: "Non commentate i risultati, aspettiamo il video di Beppe". Sarà l'ex comico a dare la linea via blog, con un messaggio registrato che andrà oggi online.
Sono ore di sofferenza. Raccontano che alterni momenti di rabbia con la profonda delusione: "Se vogliono Renzi se lo tengano - sarebbe sbottato - si vede che è questo che desiderano. Io con la politica chiudo". Forse solo una reazione a caldo, forse l'embrione di qualcosa di enorme che potrebbe maturare nelle prossime ore.
Così al mesto comitato elettorale alla periferia di Roma, per evitare parole in libertà, compaiono pochissimi parlamentari. Sono i fedelissimi Roberta Lombardi e Nicola Morra a chiudersi in una saletta, cellulare attaccato all'orecchio. Verso le 2.00, quando i dati reali del Viminale riportano già il 40% dei seggi scrutinati, si siedono dietro un tavolo e si trincerano dietro un lessico che di rivoluzionario ha davvero ben poco: "Sono dati ancora troppo disomogenei, aspettiamo almeno l'80%, ci vediamo domani".
"Grillo è andato a dormire", chiude la questione Lombardi. Poi si alzano e se ne vanno. Tutta un'altra storia rispetto a un anno fa, quando un Alessandro Di Battista ancora sconosciuto girava come una trottola davanti alle telecamere e Marta Grande, con lui a festeggiare la trionfale chiusura dello Tsunami Tour, era una presente in pectore della Camera dei deputati.
La consegna del silenzio è rispettata alla lettera. A microfoni spenti spiegano che i due leader stellati sono lontani dalle braccia di Morfeo: "Pensavamo veramente di arrivare vicini al 30%, Beppe e Gianroberto stanno discutendo su cosa fare adesso". La delusione è tanta, e nessuno se la sente di fare previsioni: "Lo sapete com'è Beppe - spiegano dallo staff - per noi non cambia nulla, è una battaglia persa, ma lui è imprevedibile".
Stando a quanto detto lui stesso, la decisione dovrebbe essere scontata."Se perdo le europee me ne vado", proclamò stentoreo lo scorso 28 ottobre calcando i corridoi del Senato, "se perdiamo queste elezioni non ho più voglia di continuare". Grillo ha perso, inequivocabilmente. E sarà nell'elaborazione della sconfitta nel bunker di Milano che si giocherà molto del futuro del M5s.
Sui rovesci stellati ha pesato una campagna elettorale giocata tutta sull'alzare l'asticella fino alla vittoria, al voto in più rispetto ai rivali Democratici. Con queste premesse, un distacco di venti punti percentuali non può che risuonare come un sonoro schiaffone. Una battaglia campale persa su tutta la linea. Circa il 5% in meno rispetto a un anno fa, più di tre milioni di voti persi per strada.
Il rovescio della medaglia sono i segnali di radicamento di un progetto politico la cui tenuta era tutt'altro che assicurata, che più di tanti altri rischiava di subire il contraccolpo di un elettorato volatile, che li aveva alzati sugli scudi in forza di un generico "vaffanculo". A distanza di dodici mesi si possono iniziare a cogliere segnali di trasformazione di quello che poteva essere un meteoritico fenomeno di costume in un elemento non secondario nella dialettica politica.
Ma è proprio la logica della contrapposizione, del "vaffa", l'incapacità di cambiare registro semantico, orizzonte prospettico, ad aver penalizzato il Movimento. Grillo aveva colto segnali di spaesamento, aveva provato a calibrare l'ultima settimana di campagna elettorale su toni più morbidi, mettendo da parte la rabbia e rispolverando un fiducioso ottimismo. I sondaggi interni allo staff continuavano a segnalare costantemente un gap dai quattro agli otto punti rispetto al partito di Matteo Renzi, e l'istrionico leader aveva intuito che forse la bussola del paese era orientata sulla speranza più che dalla volontà di rovesciare il tavolo.
Cambiamento di rotta tardivo, anche per limitare i danni. Su facebook i parlamentari si dividonotra chi si dota di un'inaspettata dose di autoironia come Francesco D'Uva, che riprende l'hashtag al vetriolo #vinciamopoi, a chi si scaglia contro "uno stato di coglioni", come fa Emanuele Cozzolino. In mezzo Alessandro Di Battista e Carlo Sibilia, che parlano di "momenti duri, che fanno male". Quanto, lo dirà Grillo nelle prossime ore. Dal blog, ovviamente.