ebook di Fulvio Romano

mercoledì 21 maggio 2014

La paura dei mercati spinge lo spread...

LA STAMPA

Italia

Instabilità italiana e riforme in ritardo

La paura dei mercati spinge lo spread

Timori anche per un trionfo degli euroscettici in Francia e Olanda

«Se lei fosse qui ad ascoltare i miei colloqui di questi giorni con gli investitori istituzionali capirebbe che l’effetto della politica degli annunci di Renzi si è già esaurito». Forse l’uomo della grande banca che lavora sulla piazza di Londra è un po’ troppo tranchant, quando spiega come e perché gli investitori si stanno rapidamente spazientendo. Ma può valere la pena di ascoltarlo, soprattutto dopo la cavalcata di maggio dello spread. Due settimane fa il differenziale tra il rendimento dei Btp nostrani a 10 anni e quello dei Bund tedeschi era sotto i 150 punti base; ieri, spinto anche dai timori di instabilità politica, ha chiuso oltre quota 190 punti. Siamo lontanissimi dai picchi vertiginosi dell’inverno 2011, quello del lungo addio berlusconiano e dei berlusconiani sospetti di golpe, ma ci stiamo allontanando anche da quella zona di sicurezza che ancora a inizio mese - prima della doccia fredda del Pil in rallentamento, fenomeno spiegabile ma comunque negativo - vedeva i rendimenti dei titoli di Stato incamminati verso una strada in discesa.

Che cosa pensino davvero della situazione italiana questi inafferrabili ma onnipresenti «mercati», al di là dell’indicatore davvero molto sintetico dello spread, è compito arduo. Certo è che la congiuntura politica continentale non aiuta. Le elezioni per l’Europarlamento, in altre circostanze evento del tutto trascurabile per il fondo pensione Usa o l’hedge fund britannico, adesso sono viste come il luogo dove rischiano di detonare all’unisono i tanti antieuropeismi nazionali dalla miccia cortissima, con effetti in buona parte imprevedibili. Non a caso per illustrare la sua copertina sul tema l’Economist chiama in aiuto Hyeronimus Bosch e alle delizie che allietano la Le Pen e Grillo, il britannico Farage e l’olandese Wilders, contrappone i supplizi di Merkel, Cameron e Hollande, quest’ultimo perfidamente ritratto con casco per scappatelle extraconiugali a portata di mano. Più austere, le banche d’affari rifuggono dalle illustrazioni ma sfornano rapporti venati dai loro timori. «I risultati delle elezioni europee possono avere più implicazioni a livello nazionale, specie in quei Paesi dove è probabile che i partiti euroscettici vadano assai bene», commenta la giapponese Nomura. Bank of America Merrill Lynch parla di «Rebus politico europeo» e avverte che «è aumentato il rischio che la disaffezione politica aumenti la frammentazione» a Bruxelles, impedendo così «l’ulteriore integrazione» e il «senso della direzione» europea. «Alla fine - è il commento di un operatore che preferisce restare anonimo - si potrebbero avviare politiche economiche meno orientate al rigore di bilancio. un rigore che invece i mercati si aspettano».

Ma un effetto Grillo - in accelerazione nei sondaggi e al galoppo in quelle sedute di training autogeno che sono i suoi comizi - pesa anch’esso, e quanto pesa, sulla nuova prudenza degli operatori finanziari verso l’Italia? L’altra notte Davide Serra, finanziere con il suo fondo Algebris, ma anche renziano della prima ora, ha affidato a un tweet una valutazione partigiana: «Il dramma è che se Grillo fa bene nelle elezioni nessuno investirà più in Italia. 2 casi: a) Troika o b) Default/Uscita €. Game Over comunque». Che un successo di Grillo si traduca in un immediata fuga dei capitali non lo pensa invece il nostro interlocutore londinese: «I mercati hanno capito già dall’anno scorso che il voto di protesta in alcuni Paesi, Italia compresa, sarebbe stato forte. Non vedo ritracciamenti precipitosi». Quel che potrebbe avvenire, invece, è che con un Grillo trionfante, il centrosinistra renziano e un Berlusconi in difficoltà abbiano un incentivo a ricompattarsi. Ma se i grillini si rivelassero secondo partito e la strana maggioranza italiana dovesse diventare ancora più anomala ci sarebbe ancora spazio per fare davvero le riforme, prima fra tutte quella elettorale? Siamo al discorso iniziale: più di un Grillo che spaventa gli investitori come se fosse un venezuelano Chavez in salsa mediterranea, l’effetto Cinque Stelle potrebbe giocare di sponda, aumentando l’instabilità del quadro politico e spingendo le altre forze verso posizioni di arrocco. Se così fosse il giudizio arriverebbe di sicuro prima dai portafogli degli investitori che non dalle prossime elezioni italiane.

francesco manacorda


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