Da Huffington Post
Istat Rapporto Annuale 2014, l'austerity ci è costata 78 miliardi. Italia prima della classe negli anni della crisi
Altro che Italia alunno dispettoso d’Europa. Negli anni della crisi siamo stati i più bravi, abbiamo fatto gli sforzi maggiori, partendo da condizioni di finanza pubblica più difficili di tutti. Eppure questi sacrifici, penalizzando la crescita, ci hanno aiutato molto meno di quanto avrebbero dovuto. Anzi, ci sono costati molto cari. È questo il quadro tracciato in una lunga analisi condotta dall’Istat nel suo Rapporto Annuale 2014 sulla situazione del Paese, che riserva una sezione all’evoluzione dei conti pubblici europei negli anni della crisi.
“Il nostro – spiega l’Istituto di Statistica – è stato l’unico Paese della Uem (Unione Economica e Monetaria ndr) a non avere attuato politiche espansive , presentando effetti cumulati restrittivi per oltre 5 punti di pil”. Eccolo, il conto dell’austerity: 78 miliardi di euro prosciugati dal portafoglio Italia tra il 2008 e il 2012. Mentre, nello stesso periodo, le diverse ricette adottate dagli altri Paesi producevano effetti diametralmente opposti: 6 punti di Pil in Germania, 163 miliardi. 14 in Francia, circa 273 miliardi. E se si guarda al conto fatto dall'Istat delle manovra finanziarie degli ultimi tre anni il quadro è ancora più difficile. La dimensione complessiva degli interventi è stato di circa 180 miliardi ( -15 miliardi per il 2011, a -75 miliardi per il 2012 e a -92 miliardi per il 2013),
Sforzi non inutili, certo. Ma che hanno finito per azzoppare la nostra già non rigogliosa economia, innescando un perverso circolo vizioso. In altre parole siamo riusciti, con fatica, a migliorare la situazione dei conti pubblici ma l’assenza di crescita ha finito per neutralizzare in parte i nostri sacrifici. “È da sottolineare la posizione virtuosa dell’Italia – rileva l’Istat -, che tra i Paesi ad elevati debito iniziale è stato l’unico che ha conseguito un consistente avanzo primario. Francia e Germania, entrambe con un rapporto debito/Pil iniziale di poco superiore al 60 per cento, hanno adottato politiche fiscali divergenti, con un disavanzo prossimo del 3 per cento la prima e un avanzo primario superiore all’1 per cento la prima”.
Abbiamo fatto i compiti a casa più degli altri. Eppure, il risultato finale non ci ha premiato. Lo spiega lo stesso Istituto. “Anche dal confronto del saldo primario medio e tasso di crescita cumulato del Pil reale emerge solo in parte una relazione positiva che corrisponderebbe a caratteristiche di anticiclicità della poltica di bilancio(..). L’Italia si distingue come il Paese che, date le caratteristiche del ciclo, ha attuato il maggiore sforzo di consolidamento fiscale: un avanzo primario medio pari a circa 1,3 punti percentuali di Pil, a fronte di una recessione economica tra le più profonde d’Europa”. In estrema sintesi, abbiamo fatto tra i più pesanti sacrifici in Europa. Il risultato? Siamo tra i Paesi che sono cresciuti di meno.
I nostri sforzi, come detto, non sono stati vani. Senza l’azione energica condotta dai governi in questi anni il debito sarebbe probabilmente cresciuto ancora di più. Ancora un altro primato. Tra il 2007 e il 2012 l’Italia è stato l’unico Paese insieme all Finlandia in cui le politiche dei governi hanno contribuito ad una sensibile riduzione dell’indebitamento. Pari a 9,5 punti percentuali per il nostro Paese e 6 per la Finlandia. “L’Italia – spiega l’Istat – è stato l’unico Paese i cui, in un contesto di recessione economica la crescita del debiti pubblico è rimasta al di sotto della crescita del flusso degli interessi passivi. Ciò è avvenuto per effetto di significative manovre restrittive di bilancio”. Ma, prosegue ancora l’Istituto, “la bassa crescita ha però in parte vanificato lo sforzo delle politiche di contenimento della crescita del rapporto debito/Pil”.
E anche il mantra dei “conti a posto” per assicurarsi la fiducia dei mercati sembra in parte smentito dall’Istituto di statistica. “Ai fini della valutazione della sostenibilità fiscale di lungo periodo, la dinamica del rapporto debito/Pil, pur importante come indicatore di vulnerabilità, non rappresenta l’unico fattore significativo. Infatti, a parità di livello e dinamica di tale rapporto, altri fattori possono influire sulla capacità dei governi di onorare il pagamento degli interessi e rimborsare il debito nel futuro (o sulla percezione di tale capacità da parte dei mercati finanziari)”. Il principale elemento di rischio per la sostenibilità del debito pubblico – evidenza l’Istituto nella propria sintesi – risulta attualmente essere la bassa dinamica del Pil e il differenziale tra tassi di interesse e tasso di crescita reale dell’economia. Ne consegue l’opportunità di attuare politiche adeguate per favorire la crescita economica e di lungo periodo. Parole – quelle dell’Istat - che sembrano lasciare alle spalle gli anni duri dell’austerity e che si sovrappongono con straordinaria armonia con la ricetta invocata dal ministro Padoan già ai tempi del suo incarico all’Ocse. Peraltro, neanche sei mesi fa, a un passo da guidare proprio l’Istituto di statistica. Questa volta, solo una coincidenza.