ebook di Fulvio Romano

sabato 24 maggio 2014

Grillo, il giudice pregiudicato... Requiem per una metafora italiana ( da leggere prima del voto)

Il Processo da Pasolini a Casaleggio GRILLO GIUDICE PREGIUDICATO REQUIEM PER UNA METAFORA ITALIANA

Muore miseramente nel blog-cestino di Beppe Grillo la carriera di una delle più valorose metafore italiane, il Processo, sia quello politico che Pasolini voleva istruire contro il Palazzo sia quello sportivo che Sergio Zavoli celebrava ogni giorno alla tappa del Giro d’Italia. Mescolando Alcatraz con lo sputo in faccia, Grillo annette a sé anche il Processo del Lunedì di Biscardi, che fu il primo festival nazionale del libero insulto e divenne l’anello di congiunzione tra il bar e il tribunale. E ricorrendo sia agli anonimi accusatori incappucciati del web sia alle celle segrete del castello di Lerici già destinate a Napolitano, a Renzi e al giornalista Tal dei Tali, Grillo riproduce pure il Tribunale del popolo delle Brigate rosse che uccisero Aldo Moro.
Ebbene, l’esito comico della metafora pasoliniana, che riassume gli ultimi quarant’anni della cultura e della sottocultura italiane, gioiose, catartiche, popolaresche e sanguinarie, rende grottesco ma non divertente il Processo che ora Grillo ci promette. E’ vero che, chino sul plastico dove ha imprigionato i pupazzetti che riproducono in effigie i suoi nemici, più che ai terroristi che spararono alla nuca di Moro, Grillo fa pensare a certi bambini sadici che catturano e torturano le mosche e le lucertole. Ma è altrettanto vero che nella sua idea di processo non c’è traccia, neppure sotto forma di orecchiata parodia, del confronto civile e solenne che, regolato dalla legge penale, in democrazia accerta la verità: “Alla fine gli iscritti certificati al M5S potranno votare per la colpevolezza o l’innocenza” scrive travestendo di procedura il suo ghigno.
Insomma questo processo-burla di Grillo non è il cerchio di fuoco di Di Pietro che sognava il governo dei giudici, ma la goliardia del sorvegliare e punire, non il feticcio della legalità del giustizialismo ma il manifesto sciocco del tagliatore di teste da videogioco, la promessa di sostituire la civiltà del Diritto con l’allegra inciviltà dello scaracchio e del dileggio: “Il processo durerà il tempo necessario, almeno un anno, le liste saranno rese pubbliche quanto prima e l’ordine in cui saranno processati gli inquilini del castello sarà deciso in Rete”. E’ dunque garantito almeno un anno di bip, chip, play, pause, score, leaderboard, winner, loser, tie e si capisce che questa Procedura Penale è opera del Cordero di Settimo Vittone, il famoso giureconsulto informatico Gianroberto Casaleggio: cliccate, accusate, sparate, condannate, arrestate e vaffanculo.
Così il blog di Grillo somiglia a quel sinistro appartamento immaginato da Friedrich Dürrenmatt e messo in scena da Ettore Scola dove ogni sera una banda di pensionati frustrati processava qualcuno, e l’imputato innocente Alberto Sordi era convinto che fosse un divertente gioco, “la più bella serata della mia vita”, fino a quando una risata epica di tre minuti non lo accompagnò alla condanna.
Ammesso che quella di Grillo sia davvero arte comica diventata scienza politica, che ci siano dietro uno stile e una composizione da spettacolo iperbolico, di sicuro il contenuto delle sue immaginazioni è morale, e i commenti che le accompagnano traboccano indignazione etica contro i distruttori d’Italia, la casta, i giornalisti che disinformano, i ladri di Stato, i colpevoli di ogni genere: Grillo stana le serpi, scova le colpe e garantisce che il Processo “sarà uno sputo popolare”. E’ infatti lui il giudice di specchiata moralità che, come è noto, deve avere la fedina pulita, altrimenti non si è ammessi nella categoria, e Dio sa quanto ci piacerebbe applicare questo stesso principio ai politici. Una volta al giudice era richiesto anche il certificato di buona condotta, ma Grillo ne sarebbe comunque esentato per meriti rivoluzionari. Pure Robespierre e Danton non tennero una buona condotta, ma tutto si può dire tranne che non fossero all’altezza morale dell’appuntamento che la storia aveva preso con loro. Non è così per Grillo.
Come si sa è stato condannato per l’ omicidio colposo di tre persone che viaggiavano in auto con lui: Renzo Giberti, 45 anni, la moglie Rossana Quartapelle, 34, il figlio Francesco, 9. La Corte di Cassazione individuò “la colpa del Grillo nell’avere proseguito nella marcia, malgrado l’avvistamento della zona ghiacciata, mentre avrebbe avuto tutto lo spazio per arrestare la marcia, scendere, controllare o, quanto meno, proseguire da solo”. Nessuno pretende che a distanza di tanti anni Grillo si volti e si rivolti su quella colpa come su un letto di chiodi, ma la morte di tre persone causata da un comportamento colpevole può restare remota e vaga solo se l’omicida colposo non si avventa con furia sulle (presunte) colpe degli altri con annunzi squillanti e gloriosi di processi sommari. Come si sa, Grillo riuscì ad aprire la portiera e a lanciarsi fuori mentre la Chevrolet precipitava in un burrone. E’ un omicida colposo ma non un assassino, come dice invece Silvio Berlusconi che non si dà pace perché si specchia in Grillo e lo vede uguale a sé: un pregiudicato che diventa suo giudice dimenticando che la via dei processi è stretta, buia e sporca.
E non è finita. Secondo Lello Liguori, l’ottantenne ex proprietario del Covo di Nord Est di Santa Margherita Ligure, il comico, negli anni in cu si esibiva a pagamento, “si faceva dare 70 milioni: dieci in assegno e 60 in nero”. E Pippo Baudo ha aggiunto a Daria Bignardi che faceva la cresta anche alla Rai. Calunnie? Di sicuro farsi pagare in nero è una pratica diffusa nel mondo dello spettacolo: “così fan tutti” diceva Craxi. Ma solo Grillo promette “verifiche fiscali per tutti prima di mandarli affanculo” con tanti bei processi popolari, come se fossimo nell’Egitto di Mubarak, come se fossimo nella Romania di Ceaucescu. Siamo invece in Italia dove abbiamo rispettato con discrezione la colpa di Grillo perché la sensibilità è, come la giustizia, una bilancia che pesa anche i colori e la luce. Ma in democrazia anche colpe molto più piccole dovrebbero gravare come sassi nella coscienza e nella carriera di un “giudice” che manda gli altri a Processo.