ebook di Fulvio Romano

martedì 18 agosto 2015

Un altro miliardario. Inquina la politica: Trump, il leghista d'America

LA STAMPA

Italia

E il leghista d’America Trump

divide il fronte repubblicano

In testa alle primarie, imbarazza anche nel suo partito

Promette un muro per fermare gli arrivi dal Messico


Ieri Donald Trump si è sottratto, almeno per qualche ora, al palcoscenico elettorale delle primarie repubblicane. Era in tribunale a Manhattan, chiamato come giurato in un processo, come accade per ogni altro cittadino americano. Eppure il candidato del Grand Old Party ha fatto parlare lo stesso di sè: i sondaggi lo danno come favorito tra i repubblicani, in veloce ascesa al cospetto degli inesorabili ridimensionamenti dei candidati più «pro-establishment», compreso Jeb Bush. A lanciare l’immobiliarista miliardario prestato alla politica sono proprio le sue posizioni in tema di immigrazione, provocatorie, radicali, talvolta irriverenti e irriguardose, che lo contrappongono in maniera netta alla correntona del suo partito, che da qualche tempo ha imboccato la strada del dialogo e dell’inclusione delle minoranze, anche per conquistare fette di elettorato che sino a qualche tempo fa confluivano di diritto sulla sponda democratica del Potomac.

Se all’inizio le affermazioni corsare di Trump gli erano costate critiche a 360 gradi e l’allontanamento dalla Nbc nella veste di mattatore dello show «Celebrity Apprentice», oggi il fatto di aver messo l’immigrazione al centro della sua campagna sembra pagare. «Il muro funzionerà», ha ribadito ieri davanti al tribunale, a Manhattan. Il muro è quello che ha promesso di costruire al confine col Messico, una volta che sarà eletto presidente degli Stati Uniti: bastione d’avanguardia per arginare i clandestini.

Un muro di «sicurezza nazionale» - finanziato dal governo messicano, viste le sue «ovvie» responsabilità - che è uno dei pilastri della dottrina Trump, assieme ai rimpatri forzati e all’annullamento di tutti i provvedimenti permessivi concessi da Barack Obama. E che si affianca al rifiuto della nazionalità statunitense ai figli dei clandestini nati in territorio americano - la negazione dello ius soli garantito dal 14 esimo emendamento della Costituzione Usa, introdotto nel 1868 - e al ritiro per quelli che l’hanno già ottenuta. Proposte al limite, che tuttavia hanno presa su una parte dell’elettorato, suggestionata dalle crisi migratorie che stanno travolgendo molte aree del Pianeta, dal Mediterraneo all’Ungheria, dall’Australia all’isola haitiano-domenicana. Ma soprattutto perché Trump promette di tutelare la classe media, «dilaniata da decenni di accordi commerciali e politiche sugli immigrati sbagliate», e che porta ancora aperte le ferite della crisi finanziaria.

francesco semprini


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