Economia
Verso la riduzione degli incarichi nelle società dei Comuni
Verso la riduzione degli incarichi nelle società dei Comuni
Se c’è qualcosa che può convincere l’Europa a dare a Renzi quel che Renzi chiede, è una robusta dose di credibilità. La richiesta inoltrata a Bruxelles di un nuovo margine di deficit da cinque miliardi di euro non è da poco, ma non è da poco nemmeno l’entità dei tagli promessi nel 2016. Negli ultimi vent’anni non c’è governo che abbia deciso dieci miliardi di minori spese in un solo anno. Non Berlusconi, non Dini, Prodi, Monti o Letta. Se si esclude la manovra dell’anno scorso, in parte finanziata con tagli già previsti da precedenti decreti, una Finanziaria così carica di tagli - allora si superò i venti - non si vedeva dai tempi di Giuliano Amato, ed era il 1992. Ecco perché il dossier affidato agli economisti Yoram Gutgeld e Roberto Perotti è la madre di tutte le battaglie. Il premier deve passare da una strada stretta: da un lato non può permettersi scelte troppo impopolari e perdere altro consenso, dall’altra deve evitare passi falsi con l’Europa. Le carte sono sul suo tavolo, a settembre lo attendono decisioni difficili.
Le grandi voci della manovra saranno quattro: sanità, acquisti di beni e servizi, agevolazioni fiscali, ministeri. Nel 2016 la sanità dovrebbe contribuire con altri tre miliardi, oltre a quelli già previsti per quest’anno. In realtà si tratta della riduzione della «spesa tendenziale», ovvero di quanto il governo aveva pianificato di concedere in più l’anno prossimo. «In rapporto alla ricchezza prodotta negli ultimi venti-trent’anni il costo della sanità è aumentato meno che in Inghilterra, Francia e Stati Uniti», dice l’ex commissario Cottarelli. Quel che in Italia viaggia troppo velocemente è la spesa per beni e servizi, la montagna prodotta da oltre trentamila soggetti pubblici. C’è la volontà di ridurre le stazioni appaltanti a poco più di trenta, ma la strada è a dir poco lunga. Da quella voce l’anno prossimo si ipotizza di risparmiare 3,5 miliardi. Poi ci sono i due capitoli politicamente più scivolosi: i tagli ai ministeri e alle agevolazioni fiscali, entrambi cifrati fra 1,5 e 2 miliardi. La lista degli sconti fiscali da tagliare con più decisione somiglia a quella della Grecia di Tsipras: agricoltura, pesca, armatori, autotrasporto.
Dicevamo che sarà il premier, alla fine, a decidere cosa tagliare e cosa no. Così come dovrà essere Renzi a decidere il destino di altri due dossier, quelli sul trasporto pubblico locale e sulle società partecipate da Stato ed enti locali. Più che di tagli, qui si tratta di riforme che nell’arco di tre anni potrebbero dare senza scossoni risparmi da almeno un miliardo ciascuna. Ma in entrambi i casi si tratta di voci che interessano la potente lobby dei Comuni i quali dovranno fare già i conti con la promessa abolizione della tassa sulla prima casa. La riduzione delle partecipate ricorre in ogni manovra, finora senza risultati apprezzabili. È stato difficile persino mapparle, e stabilire quante fossero. La sovrapposizione di norme ha salvato la faccia ad alcuni, ma ha creato più danni di quanti non ne abbia risolti. Un punto però a Palazzo Chigi è chiaro: con un po’ di buona volontà il governo ha gli strumenti per costringere i Comuni a tagliare parecchi sprechi. Basterebbe ad esempio una legge che ponga fine al malcostume di istituire per ogni società pubblica un organo interno di vigilanza e un collegio sindacale: nell’ipotesi più prudente si tratta di ventimila poltrone che si potrebbero cancellare in una notte. O ancora il vizio di aprire una società per qualunque servizio comunale «in house». A che serve una controllata per la gestione dei cimiteri se non a distribuire gettoni ai consiglieri amici degli amici? Di società così ne esistono 1200.
C’è poi il tema degli stipendi, perché nonostante il tetto da 240.000 euro imposto da Renzi ai dipendenti pubblici in senso stretto, fra ministeri, Regioni, Comuni, Aziende sanitarie ci sono migliaia di dirigenti che continuano a guadagnare cifre a cinque zeri, anche in società molto piccole. Al Tesoro esiste un tetto per fasce che tiene conto delle dimensioni della controllata, ma si tratta dell’unico dicastero in cui la norma è stata varata ed applicata. Infine i trasporti: al tema si appassionò l’allora ministro Passera, ma durò troppo poco. Un documento dell’autorità per i Trasporti dice che il coefficiente di riempimento di bus e treni italiani è del 22 per cento, il più basso d’Europa: su cento posti a disposizione, viaggiano 22 persone. E il motivo per cui accade è semplice: le convenzioni vengono firmate sulla base del chilometraggio, non della quantità di passeggeri portati a bordo. Il governo partirà da qui.
Twitter @alexbarbera
alessandro barbera