ebook di Fulvio Romano

Visualizzazione post con etichetta Mostra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mostra. Mostra tutti i post

sabato 28 giugno 2014

L'Umbria di Steve McCurry

LA STAMPA

Cultura

Steve McCurry

Così l’Umbria

diventa un luogo

sensazionale

Steve McCurry è uno dei fotografi più noti del mondo e quanti non conoscono il suo nome possono stare tranquilli: avranno visto almeno una delle sue fotografie. Certamente quella che ritrae una ragazza afgana dagli occhi verdi come il muro dietro di lei, con la testa coperta da un velo rosso: un’icona, una delle poche immagini capaci ancora, sul finire del Novecento, di raccontare la guerra e soprattutto di farlo senza portarci direttamente dentro il dolore del conflitto. E’ proprio questa, infatti, la grande capacità di McCurry quella di raccontarci paesi e situazioni attraverso la vita di ogni giorno, senza spettacolarità che non sia affidata ai colori e alla composizione. Potete dunque immaginare quanto siano armoniosi e seducenti, gli scatti dedicati all’Umbria e riuniti in una doppia esposizione a Perugia: al Palazzo della Penna e nella sede dell’Ex Fatebenefratelli. La scelta allestita poi non fa che amplificare le qualità tipiche della sue fotografie con light box orizzontali posizionate sul pavimento in ambienti quasi bui, a lasciare emergere dunque con forza straordinaria proprio l’intensità delle luci e dei toni. Con una scelta poi piuttosto azzardata alcune immagini sono state messe a confronto con le celebri lavagne di Josef Beuys, preziose opere nella collezione perugina.

Comunque, invitato dalla Regione a raccontare il Genius loci, McCurry è andato a cercare nelle città più importanti e nei borghi più caratteristici, nei musei e nelle feste tradizionali, di scatto in scatto, un affresco della vita contemporanea molto idealizzata. Non c’è dubbio che il suo obiettivo restituisca del cuore della penisola, infatti, una visione in cui la forza delle tradizioni, della ritualità, dei legami secolari ha la meglio sulla brutalità dei tempi e la velocità dei cambiamenti. Cercando poi nella terra che ha contribuito alla nascita del Rinascimento, McCurry probabilmente aveva in mente i volti delle Madonne e la perfezione prospettica dei maestri studiati e tenuti con sè nel corso della propria ricerca. Non a caso l’immagine guida della mostra è proprio un ritratto: una ragazza con gli occhi azzurri, i capelli raccolti in un fazzoletto, uno sguardo molto difficile da dimenticare. Il suo è infatti un interesse profondo per l’umanità in ogni sua forma che emerge con prepotenza in questa mostra, dove ogni scatto è segnato dalla presenza della figura umana. Persino quando ad essere immortalato è un monumento simbolo come la Fontana Maggiore di Perugia o le stanze della Fondazione Burri a Città di Castello. Uomini e donne qualche volta fermati nell’attraversamento di una piazza, al bar, o più semplicemente al lavoro, nei campi, nella bottega di restauro, preparando una festa tradizionale. Ad emergere è, comunque, una dimensione corale dell’esistenza, fatta di incontri e parole. Chissà quali si scambiano i due frati vestiti di bianco nel Monastero di Sassovivo a Foligno o i convitati a tavola: è un’Italia che noi italiani crediamo ormai sparita con la proliferazione di centri commerciali e fast food, ma che a cercare bene, evidentemente, ancora si trova.

Elena del Drago




venerdì 6 giugno 2014

Mostra a Venezia: Dora Maar, la musa ribelle di Picasso

LA STAMPA

Cultura

Le vite di Dora Maar

musa ribelle di Picasso

Mostra a Venezia sulla fotografa che denunciò la povertà

degli Anni Trenta. Immortalò la lavorazione di Guernica

Far dialogare gli scatti fotografici di Henriette Theodora Markovic con i tanti prodotti della «fabbrica» di Mario Fortuny y Madrazo, è la chiave della bella mostra veneziana («Non solo Picasso», a Palazzo Fortuny, appunto), la prima in Italia, dedicata alla fotografa, meglio conosciuta con il nome d’arte di Dora Maar. Era nata a Parigi, da padre croato e madre francese, nel 1907: l’anno in cui Pablo Picasso realizzava Les demoiselles d’Avignon, venduta al Moma di New York, per ben 24.000 dollari, trent’anni dopo. Era il 1937, l’anno in cui Picasso in un paio di mesi di lavoro matto e disperatissimo, dipinse l’immensa tela dedicata a Guernica, la città sacra dei Baschi, appena distrutta dall’aviazione tedesca e italiana. La gestazione e la realizzazione dell’opera vennero registrate dall’obiettivo di Dora momento per momento, in una simbiosi assoluta fra i due: prezioso documento che smentisce le insinuazioni che accusano Picasso di aver rivenduto alla Repubblica spagnola, già in difficoltà, una tela dipinta per la morte di un torero, anni prima. Ma quel quadro è di per sé anche la testimonianza di una delle più intense storie d’amore vissute dal grande artista. Si erano conosciuti nel ’35, grazie a Paul Éluard, uno dei migliori amici di Pablo, al caffè parigino Les Deux Magots: lei indossava guanti neri guarniti di fiorellini rosa. Tolti i guanti aveva estratto un piccolo coltello dalla lama affilata, e aveva incominciato a piantarlo fra un dito e l’altro, sempre più velocemente. Il sangue tinse di rosso le dita affusolate: Pablo la guardava rapito, e le chiese in dono i guanti che avrebbe conservato per sempre, in una teca di vetro.

Non era un esempio di bellezza canonica, Dora, col suo volto irregolare, ma aveva fascino da vendere: «C’era nei suoi occhi una luce, uno sguardo straordinariamente luminoso, limpido come il cielo di primavera», raccontò chi la conobbe. Prima del fatale incontro, divenuto l’anno dopo una relazione tempestosa con quel genio possente e dominatore, che la amava e la tiranneggiava, Dora aveva già vissuto molte vite, a dispetto della giovane età. Fotografa, certo, ma anche pittrice, giornalista e soprattutto militante rivoluzionaria, che aveva assegnato alla fotografia un ruolo di provocazione culturale e di azione politica. Nello studio aperto fin dal 1930 con Pierre Kéfer, aveva condiviso la camera oscura con l’ungherese-parigino Brassaï, «l’occhio di Parigi», secondo la definizione di Henry Miller. Fu lui, Brassaï (di cui a Parigi si è da poco chiusa una bella personale), ad avvicinarla al movimento surrealista, sotto la cui influenza realizzò foto, spesso di composizione, che esposte a Venezia, ci appaiono, a distanza di decenni, e con tutto il materiale visivo a cui siamo avvezzi, di assoluta provocazione: uno schiaffo al perbenismo. Ma amò i poveri e i derelitti, e se ne prese cura, diventando testimone della loro condizione, tra Parigi, Barcellona, Londra: la crisi del ’29 mordeva in Europa, a distanza di qualche anno dall’America. I bambini cenciosi e denutriti di Waterloo Road, l’ex combattente mutilato costretto all’elemosina accanto al modellino di una nave, i gentlemen caduti in miseria che vendono calzini in strada o chiedono lavoro, i cortili abbandonati nel cuore delle città, la donna al finestrino di una roulotte di fortuna, il ragazzo seminudo che si riposa dalla fatica su una panca davanti a una saracinesca abbassata… Altrettante istantanee di un momento storico che oggi ci sembra talvolta di rivivere.

Il suo obiettivo fotografico era ormai l’occhio di una aderente alla sinistra estrema, nella drammatica stagione dello scontro sordo tra fascismo e antifascismo, comunismo e nazionalismo, ma anche delle lotte intestine allo stesso campo socialista, anarchico, comunista, come la Guerra di Spagna avrebbe tragicamente mostrato. Dora entrò in vari gruppi che lavoravano, da posizioni eversive, nei più diversi ambiti dell’arte, della fotografia, del teatro; ma finì anche per giocare consapevolmente il ruolo della grande seduttrice, stabilendo relazioni con personaggi come André Breton o George Bataille, il quale ebbe su lei una profonda influenza: Bataille teorico fra i massimi dell’erotismo, fa capolino, in effetti, nelle più azzardate foto di Dora, esposte in mostra.

Poi, il fatale incontro con Picasso, che la ritrasse in tele sempre più angosciose: è lei la «femme pleurante» che conosciamo in innumerevoli variazioni: da quel rapporto uscì provata, nel ’43, al punto da finire in casa di cura, salvata (nientemeno da Jacques Lacan) dalla tortura degli elettrochoc. Ma la contropartita della salvezza fu la perdita della creatività e un’ascesi misticheggiante («Dopo Picasso solo Dio», ebbe a dire). Visse fino ai novant’anni, spegnendosi nel 1997. «Non solo Picasso», certamente; ma Picasso fu l’acme dell’esperienza artistica e biografica di questa donna, una delle prime, rare intellettuali militanti del ’900 europeo.

Angelo d’Orsi


Level Triple-A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0           Copyright 2014 La Stampa           Bobby WorldWide Approved AAA

domenica 8 settembre 2013

Venezia, dopo 15 anni torna un Leone italiano...

LA STAMPA

Spettacoli

“Sacro GRA”, dopo 15 anni torna un Leone italiano

Trionfa il documentario di Rosi, Coppa Volpi all’attrice di Emma Dante

Miglior regia e miglior attore per il film greco “Miss Violence”

L’umanità invisibile che vive ai margini della metropoli snaturata, quella che ogni giorno s’inventa l’esistenza, legata a un passato che non torna, sospesa su un futuro impossibile. Alla Mostra, dopo 15 anni di bocca asciutta e recriminazioni, il cinema italiano per una volta brilla, ritrovando il prestigio dei tempi andati.

L’Italia si aggiudica infatti il Leone d’oro (al documentario di Gianfranco Rosi Sacro GRA ); la Coppa Volpi a Elena Cotta, migliore attrice nei panni di Samira, in Via Castellana Bandiera , regina di testardaggine in una Palermo sull’orlo dell’autodistruzione; e il premio Orizzonti (per la migliore regia) a Still life di Uberto Pasolini. La novità è che la realtà vince sulla finzione. Nessuno sceneggiatore avrebbe potuto immaginare le storie dei tipi strani che abitano sull’orlo del Grande Raccordo Anulare di Roma, nessun attore sarebbe stato in grado di interpretarli, senza sprecare nemmeno un briciolo di quella loro stupefacente vitalità: «Non mi aspettavo di ricevere un premio così importante - confessa Rosi ancora incredulo -, lo dedico ai miei personaggi, ho trascorso con loro tre anni, scoprendone l’immensa generosità. Il documentario è cinema, non dobbiamo avere paura di questa parola. Solo un maestro rivoluzionario come Bertolucci poteva prendere una decisione del genere». Il direttore Barbera è soddisfatto: «La scommessa è vinta, il documentario non è più il parente povero del cinema di finzione». Se Elena Cotta, raggiante, dedica il premio al marito con cui ha appena festeggiato 60 anni di matrimonio, Rosi fa la stessa cosa rivolgendosi all’ex-moglie Anna, presente in sala con la figlia Emma, perchè la spinta a realizzare il progetto di Sacro GRA , concepito dal paesaggista urbanista Nicolò Bassetti, è venuta da lei. Magari pensava che, una volta tanto, il regista, cosmopolita per natura, nato ad Asmara, residente a New York dove ha studiato cinema, sarebbe rimasto fermo in Italia per un po’. Se la realtà fa premio su tutto, è anche vero che la differenza la fa il modo con cui la si racconta. Lo dimostra il Leone d’oro, ma lo dimostra pure The unknown known , regia di Errol Morris, protagonista Donald Rumsfeld, altro, stupefacente, pezzo di realtà in gara.

Scelte temerarie, linguaggi estremi, come quello di Miss Violence del greco Alexandros Avranas che, dopo aver sferrato uno dei più terribili pugni nello stomaco del pubblico, porta a casa due premi, il Leone d’Argento e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Themis Panou. Nel film è il nonno orco, violentatore della figlia e delle nipoti, lo si odia a tal punto che, vedendolo ieri sera, mentre ritirava il premio dalle mani della giurata Virginie Ledoyen, si faceva fatica ad applaudire. Avranas non dice una parola, ma il direttore della Mostra che ha voluto il suo film in concorso, spiega perchè era importante avere un’opera così dura, ai limiti dell’umana sopportazione: «Le cose che leggiamo tutti i giorni sono altrettanto terribili. Il film, quindi, mette in scena episodi autentici , prendendo atto di tutta la loro drammaticità e descrivendoli attraverso una costruzione piena di rigore e di sorprendente tensione». Si è discusso in giuria, fa sapere Barbera, il Leone non è stato dato all’unanimità, l’altro titolo in ballo era Jiaoyou (Cani randagi) del maestro Tsai Ming-liang, una sfida alla pazienza dello spettatore fatta di inquadrature senza tagli lunghe anche 18 minuti: «Il mio film è molto difficile - ammette l’autore -, e molto lento, quindi ringrazio la giuria che si è fermata a guardarlo e tutto il pubblico di Venezia che ha rallentato il passo per poterlo seguire».

Al tedesco Philip Groning, tra i favoriti dei pronostici, va il Premio Speciale della Giuria. Anche nel suo La moglie del poliziotto violenza domestica e tempi dilatati: «Ringrazio chi mi ha aiutato a fare il film, ma soprattutto chi ha il coraggio di parlare di questi argomenti, raccontando ciò che ha subito». L’attore emergente che si aggiudica il premio Marcello Mastroianni è Tye Sheridan, ragazzino sfortunato nella storia di riscatto di Joe , con Nicolas Cage mattatore. Il cinema americano, come è ormai tradizione dei festival, sconta la sua potenza mondiale con la scarsa attenzione delle giurie impegnate a promuovere pellicole che più difficilmente possono arrivare all’attenzione del pubblico. All’applauditissimo Philomena di Stephen Frears, con la divina Judi Dench, va il contentino della sceneggiatura, premio riduttivo per un film che non ha nessuna colpa tranne quella di essere destinato a un vigoroso successo al botteghino. Alla fine il presidente Baratta ringrazia Barbera per il «lavoro di ricerca, per il coraggio nelle scelte, per l’autonomia intellettuale». Con l’aria sollevata di chi è arrivato al traguardo, il direttore parla di «verdetto equilibrato, che tiene insieme il cinema per il grande pubblico e quello più radicale». L’Italia, per una volta, fa festa, ma la lezione offerta del documentario dovrà essere appresa, metabolizzata e interpretata per capire in che modo può migliorare il nostro cinema di finzione.

Fulvia Caprara


Level Triple-A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0           Copyright 2013 La Stampa           Bobby WorldWide Approved AAA