ebook di Fulvio Romano

giovedì 12 giugno 2014

Alessandria: come ti avveleno una delle falde acquifere più ricche del Piemonte

LA STAMPA

Alessandria

assise. INIZIATA LA REQUISITORIA CONTRO I DIRIGENTI Del polo chimico

“Una gigantesca contaminazione”

Il pm: avvelenata una delle falde più ricche del Piemonte, raccontando anche molte bugie

«Questo processo è relativamente semplice»: l’esordio del pubblico ministero Riccardo Ghio ha un tono rassicurante soprattutto a beneficio dei giudici popolari della Corte d’Assise chiamata a giudicare 8 dirigenti di Ausimont e di Solvay, accusati di avvelenamento doloso della falda da cui si attinge acqua destinata a scopi alimentari. Il pm ha davanti un malloppo di centinaia di pagine scritte fitte e che rappresentano solo una parte della requisitoria che proseguirà mercoledì prossimo (salvo una possibile causa di forza maggiore che imponga il rinvio di una settimana); ma nelle quasi sette ore che seguono, sotto la tortura dell’anticiclone africano arrivato in questi giorni, Ghio prosegue lungo una chiara e semplice sequenza logica, pur non tralasciando indispensabili riferimenti tecnici. Dunque, è semplice, basta rispondere a poche domande: l’acqua è avvelenata? pericolosa per la salute? dipende dal comportamento degli imputati? la procedura di bonifica, finora, ha dato risultati o è stata una perdita di tempo?

L’avvelenamento (ossia quando si immettono - o non si impedisce che si diffondano - veleni - cioè sostanze che nuocciono alla salute, senza necessariamente causare la morte - nelle acque destinate, anche solo potenzialmente, a scopi alimentari) secondo il dottor Ghio «era notissimo già dagli anni ’40. E il management del polo chimico di Spinetta per decenni lo ha tenuto nascosto, mistificando i dati sia per vanificare le attività di controllo da parte degli enti (che, forse, fino a un certo punto non furono fatte con l’incisività con cui dovevano essere fatte) sia per sottrarsi alle azioni che avrebbero dovuto fermare o contenere la contaminazione». Perché la falda, il pm non ha dubbi, è contaminata: una «gigantesca contaminazione», basta esaminare le montagne di documenti con i valori di decine di veleni nei pozzi a monte, ma soprattutto sotto lo stabilimento e anche a valle e fuori dal perimetro della fabbrica. Un dato esemplificativo? Il cloroformio 77 mila volte i limiti!

Il fatto è che questa falda così dannatamente inquinata di cromo 6, cloroformio, arsenico, tricloroetilene, tetracloruro di carbonio, ddt e ben altro ancora, è uno dei quattro «bacini acquiferi prioritari per uso idro-potabile» individuati in Piemonte dalla Regione, ricorda Ghio evocando la dichiarazione del direttore dell’Arpa, Alberto Maffiotti. «È una falda ricchissima - insiste il pm -: lì pesca la maggior parte dei pozzi che alimentano l’acquedotto di Alessandria, più molti pozzi privati e, specie d’estate, attraverso le condutture che passano da Predosa, rifornisce Acqui in tempi di crisi idrica». Questa risorsa ricca, imponente e primaria è stata gravemente compromessa, anzi «sottratta all’uso umano».

Il pubblico ministero ha anche indicato qual è stata, a suo parere, la causa di contaminazione: «L’enorme massa di rifiuti accumulati nello stabilimento, sia nelle discariche (autorizzate per rifiuti speciali, ma riempite con tossico-nocivi) sia sparsi ovunque, su un’area che per l’85% non è pavimentata». Il pm sbotta: «Manco un po’ di pavimentazione sono stati capaci a fare per evitare la percolazione dei veleni nel terreno e quindi in falda! Questo la dice lunga sulla sensibilità ambientale dei dirigenti di Ausimont e poi Solvay». Perché il dottor Ghio ne è convinto: le responsabilità sono di entrambi i management. «Nell’autodenuncia della contaminazione, obbligata per legge, del 2001, Ausimont molto ha taciuto, ma così è stato anche dopo il 7 maggio 2002. È la data spartiacque della gestione, non solo un cambio societario: da quel momento Solvay piazza i suoi uomini al comando». Ma il vizio non cambia: permane con pervicacia «quella gran voglia di dire bugie agli enti!», anche quando si aprono le procedure per le bonifiche che si protraggono per tempi lunghissimi tra «studi studi studi». Montagne «di carte» più che azioni incisive. E a tutt’ora la situazione non è confortante se, solo il 19 maggio scorso, in Conferenza dei servizi, il direttore della Solvay ha prodotto un documento in cui, nonostante gli sbandierati interventi in atto, il valore del cromo 6 è quasi doppio rispetto a quello rilevato allo scoppio dell’emergenza 2008 e se i recenti campionamenti di Arpa evidenziano diversi sforamenti dei limiti.

SILVANA MOSSANO