Economia
Gli addetti in sciopero protestano contro impieghi in nero e regole aggirate
Gli addetti in sciopero protestano contro impieghi in nero e regole aggirate
La crisi fa scappare i call center
Oggi il telefono resterà muto
Non arrabbiatevi troppo se oggi formando un numero di un call center il servizio sarà ancora più lento del solito o non vi risponderà nessuno. Sono in sciopero anche loro, a migliaia arriveranno a Roma da tutt’Italia per far sentire in modo diverso la loro voce e far capire che le cose devono cambiare.
All’inizio il loro era un lavoro mordi e fuggi, ora nei call-center lavorano madri, padri, persone specializzate, che nei call-center restano se nessuno li manda via. Sono almeno 80 mila secondo le cifre ufficiali. Ma, come sottolinea, Michele Azzola, segretario nazionale della Slc-Cgil, «è molto probabile che siano di più considerando che in totale le aziende sono 2270 e soltanto le prime sei contano 30 mila dipendente».
Molto nero, molto sommerso, regole aggirate, leggi non rispettate, stipendi sempre più bassi, guadagni per le aziende sempre più elevati, e pazienza se qualcuno ci rimette il posto. Queste sono le uniche vere regole di questo settore dove tutto era possibile fino al 2006 , come ricorda un dossier della Slc-Cgil presentato pochi giorni fa. Nel 2007 arrivano 27 mila contratti a tempo indeterminato a provare a dare un segnale diverso ma «la crisi e la competizione tra le imprese determina una profonda trasformazione del settore: gare al massimo ribasso, rivisitazioni in calo delle tariffe dall’appalto, cambi di appalto continui determinano una spinta al ribasso delle condizioni di lavoro, al ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali e a delocalizzare parte di attività verso Paesi in cui il costo del lavoro risulta significativamente più basso», denuncia l’organizzazione sindacale.
Quello che in pochi sanno è quanto costa tutto questo allo Stato, 480 milioni in tre anni. «Un vero spreco, forse Renzi farebbe bene ad occuparsi di queste cifre invece di guardare solo a quello che accade in Rai. Quasi mezzo miliardo speso senza creare un solo posto di lavoro in più», denuncia Azzola.
Solo in Italia, infatti, esistono vuoti legislativi che permettono alle aziende di licenziare e riassumere senza vincoli. «C’è una delocalizzazione selvaggia a vantaggio esclusivo delle aziende e a carico delle casse dello Stato. L’Italia infatti, spende una prima volta quando gli operatori vengono licenziati e aiutati grazie agli ammortizzatori sociali. Spende poi una seconda volta quando prevede incentivi per nuove assunzioni che in realtà non sono nuove per nulla», spiega Azzola.
È il trionfo del lavoro cattivo, afferma il dossier. «Sul lavoro Inbound (quello degli operatori addetti a ricevere le telefonate) le gare e le trattative commerciali determinano un effetto perverso: le aziende che rispettano le regole perdono le commesse a favore di chi delocalizza le attività o adotta comportamenti illeciti nella gestione del personale». Ma non solo. «Vengono sottoscritti - continua il dossier - contratti a progetto da soggetti non rappresentativi del settore che aggirano le regole fissate dal contratto delle Tlc, permettendo pagamenti aleatori e nessuna garanzia per la continuità occupazionale».
In generale la pressione sui prezzi determina uno spostamento delle attività in Paesi esteri, un fenomeno che per il momento riguarda il 10% dei volumi di cui oltre la metà in Paesi extra Ue. Ma si tratta di un fenomeno in aumento.
In balia di un sistema che non offre alcuna garanzia, ci sono lavoratori che ormai hanno per oltre il 60% una laurea, che ormai sono a tutti gli effetti specializzati e qualificati. Lo stipendio? L’anno scorso gli outbound, quelli che per mestiere devono tempestare i futuri clienti di telefonate, hanno ottenuto un minimo fisso di 4,8 euro lordi ogni ora. Per essere riempiti di insulti.
Flavia Amabile