La classe media chiede più cornicioni riparati e meno cornici istituzionali
Se uno ha il destino di nascere in Israele o in Palestina sa, come ci ricordano le cronache di queste ore, che la morte può arrivare prima della sua naturale scadenza. Ma se uno nasce a Napoli? Può uno pensare di morire, e non tra i vicoli a dominio camorrista, ma per la caduta di un cornicione, un (brutto) fregio ottocentesco del "salotto" napoletano, fra il San Carlo e il caffè Gambrinus?
Il 14enne morto due giorni fa non si sarà mai sentito certo in pericolo di vita, ma quel che è peggio è che l'ironia della sorte che lo ha reso vittima non pare aver scaldato gli animi di nessuno. Seppellito senza molte lagnanze nazionali (volete mettere la passione che circonda le riforme istituzionali?) aspettiamo ora solo a vedere quando e come ci sarà la seconda vittima. Perché questo è il punto - e, cari Napoletani, è inutile che vi rifugiate nell'amato gesto scaramantico - i cornicioni a Napoli continuano a cadere. Come documentano un po' di foto che qui pubblichiamo, i vecchi fasti della nobile Capitale di una volta, si staccano inesorabili. Il nuovo caso riguarda nientemeno, pezzi sul portone di entrata di Palazzo Reale.
Ora, io non voglio accusare il sindaco De Magistris - non sono della scuola "piove Governo ladro". Diciamo che non voglio accusare nessuno. Vorrei qui solo suggerire che la storia di un ragazzo napoletano e dei cornicioni cadenti ci facesse fermare a valutare la condizione dei posti in cui viviamo, e in cui concretamente diamo e riceviamo dallo Stato. Si tratta infatti qui non solo di sindaci ma dello Stato tutto.
Le vere fabbriche d'Italia oggi sono le città. È lì che davvero si sta mantenendo (per un pelo in verità) l'equilibrio economico del nostro paese. I tre governi che si sono avvicendati dal 2011, tutti non votati, incluso l'attuale, hanno saputo fare una sola cosa per tenere l'Italia al di qua dell'orlo del disastro: imporre tasse sull'unico "ente" pubblico che non può sfuggire alla tagliola - le famiglie. E, dovrei aggiungere, le famiglie della classe media e medio-bassa.
Da queste città così precarie noi tutti da anni sosteniamo lo Stato, con sacrifici sempre più alti, attraverso innanzitutto la più grande "patrimoniale" avvenuta in questi anni, le tasse sulla casa e sul territorio intorno, dalla spazzatura ai vari altri balzelli diretti e indiretti imposti alla vita delle famiglie, dalle accise sull'energia, alle evasioni fiscali del macellaio. Ma questo silenzioso sacrificio (ogni mese più difficile) degli onesti a favore dello Stato avviene senza alcuna rete di diritti e di difesa.
Le nostre grandi città - ma mi limito qui a citare Roma e Napoli che conosco meglio - sono piagate dalla sporcizia (nella Capitale è divenuta persino oggetto di artistica ironia da parte di Fuksas), dalla incuria, dalle buche nelle strade, dai crolli permanenti di mura ed edifici, dalla inefficienza e da una enorme ondata di criminalità quotidiana. Furti in casa, aggressività di finti parcheggiatori, mafia dei permessi dei negozi e delle licenze, e tutti i racket che inquinano il principale nostro business nazionale, il turismo e l'intrattenimento.
I marciapiedi e le piazze delle città italiane oggi sono luoghi di sporcizia, scorribande, lotte del controllo del mercato della droga e della prostituzione, invasioni di spazi e privacy di fronte a cui i cittadini (i più piccoli e i più vecchi per primi) sono del tutto indifesi. Questo stato di cose sta cambiando profondamente la vita di tutti: la classe media, come si diceva, si unifica agli strati più disagiati, peggiora la salute collettiva, la fiducia nel paese e non ultimo la percezione del futuro.
In merito, suggerisco una edificante lettura, il Rapporto Ocse pubblicato il 2 luglio. Vi si dice, ridotto in a due righe, che nei prossimi 50 anni la crescita del mondo si ridurrà a 2.7 per cento, ma che il mondo sarà comunque molto più ricco di oggi. Come mai? Elementare! Lo possiamo capire persino noi: "Inequality will rise by 30%". D'altra parte, aggiunge il rapporto, in tono pragmatico: "Se volete alta crescita, bisognerà accettare una maggiore diseguaglianza".
E tutto questo senza nemmeno mettere in conto la caduta dei cornicioni. Stiamo votando nelle rarefatte aule del Parlamento una riforma dello Stato che mette al centro il modello sindaco. Si parla intensamente oggi di elevare gli amministratori locali agli onori del ruolo di Senatori. Mai come ora, dunque, pare a me, gli attuali sindaci (o ex che siano) dovrebbero farsi emozionare almeno un po' dai terribili squarci sul futuro che si intravvedono oggi nelle nostre città.