ebook di Fulvio Romano

giovedì 31 luglio 2014

Cuneo Ventimiglia, più treni anche d'inverno

LA STAMPA

Imperia

valle roja balocco: «pur nella ristrettezza di bilancio, stiamo lavorando per sostenere il collegamento»

Linea Cuneo-Ventimiglia

più treni anche d’inverno

Ieri il vertice tra gli assessori ai Trasporti di Liguria, Piemonte e Paca

Il Piemonte si impegna a replicare l’iniziativa «Ferrovia Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza je t’aime» che prevede due treni aggiuntivi per il fine settimana durante il periodo estivo anche per la stagione invernale. L’annuncio è stato fatto ieri a Ventimiglia dall’assessore regionale ai Trasporti piemontese Francesco Balocco durante l’incontro con i colleghi ligure Enrico Vesco e francese della Regione Paca Jean Yves Petit. Una riunione voluta da tutti gli amministratori, e richiesta a gran voce anche dal Comune di Ventimiglia che ha ospitato il tavolo di lavoro, per discutere del futuro della ferrovia della Val Roja e cercare di trovare gli strumenti per rilanciare la tratta.

Afferma Vesco: «Ritrovarsi dopo il convegno Uncem di giugno conferma il cambio di rotta della Regione Piemonte e la volontà di confrontarsi dopo anni di incomprensioni e isolamento». Per Petit, «E’ necessario operare su più fronti, locale, nazionale, tramite il coinvolgimento dei rispettivi Governi, e europeo, per portare a Bruxelles la voce dei tanti che considerano strategica la linea, non solo per finalità turistiche, ma per mettere in collegamento i tre territori. Dobbiamo partire dalla rinegoziazione della Convenzione intergovernativa del 1970, che attribuisce all’Italia gli oneri per la manutenzione ordinaria e straordinaria di questa ferrovia». «Da parte nostra - ha ribadito l’assessore piemontese Balocco - pur nella ristrettezza di bilancio, stiamo lavorando per sostenere il collegamento, come testimonia la coppia di treni aggiunti nei fine settimana per il periodo estivo, e che occorre replicare in inverno, cercando le risorse per poterlo fare. Vigileremo sulla promessa più volte ribadita del ministro Lupi di assegnare i 29 milioni previsti nel Decreto del Fare, per realizzare gli interventi più urgenti di messa in sicurezza della linea ed eliminare le limitazioni di velocità imposte sul versante francese che dilatano i tempi di percorrenza».

Il consigliere regionale Sergio Scibilia ha sottolineato come sia  necessario coinvolgere anche soggetti privati per reperire risorse utili alla gestione della linea, soprattutto pensando all’inverno, con l’attivazione dei treni della neve dalla Liguria e dalla Francia verso Limone. Il prossimo incontro fra i tre assessori a Breil il 24 settembre.

lorenza rapini



USA tornano a correre in consumi e investimenti

LA STAMPA

Economia

la fed lascia i tassi invariati e taglia di altri 10 miliardi gli stimoli all’economia

Ripartono consumi e investimenti

Gli Stati Uniti tornano a correre

L’economia americana torna a crescere a ritmo sostenuto smentendo le più pessimistiche previsioni che davano il Paese condannato a una ripresa sofferente e molto più lenta di quanto sperato, dopo la contrazione del primo trimestre. Da aprile a giugno il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti ha registrato un incremento del 4%, superando le attese degli analisti. Un balzo alimentato in particolare dai consumi - la componente che incide per il 70% sul calcolo del Pil - che salgono del 2,5%. Bene anche le spese delle aziende, aumentate del 5,9%, le esportazioni sono invece salite del 9,5% e le importazioni dell’11,7 per cento. Il dipartimento del Commercio, ha inoltre rivisto il dato del primo trimestre durante il quale il Pil è calato del 2,1% invece del -2,9% stimato in precedenza. Un cambio di rotta che depone a favore dell’amministrazione alla ricerca di un consolidamento della ripresa e del mercato del lavoro ancora alle prese con qualche difficoltà. «Questo dimostra che le nostre decisioni in merito al sostegno dell’economia stanno ripagando. - spiega Barack Obama - Abbiamo ricominciato a camminare sulle nostre gambe, l’industria manifatturiera e quella dell’auto sono tornate». Secondo il presidente americano «le imprese stanno investendo, e l’energia, la tecnologia e l’auto stanno sperimentando un boom». Il punto tuttavia, sostiene Obama è che l’economia deve funzionare e girare per tutti. Questo significa più lavoro, anche se il tasso di disoccupazione «è sceso ai minimi dal settembre 2008», ovvero dal collasso di Lehman Brothers. Le previsioni tuttavia sembrano offrire una sponda alla Casa Bianca visto che la previsione sul dato di venerdì stima una crescita di 230 mila posti di lavoro con un tasso di disoccupazione al 6,1 per cento. Il ritrovato ottimismo sembra spazzare via i timori paventati dalle cassandre di Wall Street, secondo cui i fondamentali non sono così forti come si riteneva all’inizio dell’anno. A conferma del buono stato di salute dell’economia americana - nonostante la sessione in altalena di ieri di Wall Street - la Federal Reserve prosegue sulla strada della riduzione delle misure non convenzionali a sostegno della crescita. Il Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, ha incrementato il «tapering» di altri 10 miliardi di dollari, portando il Qe a soli 25 miliardi, di cui 15 miliardi di Treasury e 10 miliardi di titoli legati ai mutui. I tassi di riferimento rimangono fermi alla forbice compresa tra lo 0 e lo 0,25% e «resteranno bassi a lungo - assicura la Banca centrale Usa - dal momento che una politica monetaria accomodante resta appropriata». Nessun segnale quindi di un ritocco a breve del costo del denaro, visto che «le aspettative inflazionistiche di lungo termine restano stabili», anche se le chance di un’inflazione persistente sotto il 2% sono diminuite. E forte del sostegno di Pil e Fed, Obama rilancia la sua crociata sul «patriottismo economico»: «Premiare le aziende che vanno all’estero per pagare meno tasse». Le multinazionali sono avvertite.

francesco semprini



Chauvet, la grotta dove 37 mila anni fa nacque l'arte e finora non visitabile...

Il 18 dicembre 1994 Jean-Marie Chauvet e due suoi colleghi speleologi, Eliette Brunel e Christian Hillaire, scoprono sull’altopiano calcareo dell’Ardèche, nel Sud-Est della Francia, una spettacolare grotta dipinta: la più antica fino a oggi mai rinvenuta in Europa.

«La prima volta che sono entrato nella caverna, pochi giorni dopo il rinvenimento», ricorda Jean-Michel Geneste, specialista di arte rupestre, direttore del Centro nazionale francese della Preistoria e responsabile dell’équipe che studia il celebre antro preistorico, iscritto da pochi mesi nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, «ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a una replica della perfezione di Lascaux, considerata fino ad allora l’apogeo artistico della creatività preistorica. Ma tutte le certezze riguardo all’arte di quel periodo, il Paleolitico superiore, sono andate in frantumi quando si è constatato che i capolavori immortalati sulle pareti della grotta Chauvet sono più antichi rispetto a quelli di Lascaux di una buona ventina di millenni, essendo stati dipinti 37 mila anni fa».

Si scopre così che i nostri antenati diretti, gli Aurignaziani, erano capaci di astrazione intellettuale. Che dominavano perfettamente tecniche molto complesse, come quelle dello sfumato e della prospettiva, in grado di dare volume alle rappresentazioni, ma anche di raffigurare un autentico dinamismo. «Soprattutto», sottolinea Geneste, «ci si rende conto che d’ora in poi l’arte non potrà più essere letta come un movimento storico lineare, bensì come un susseguirsi di apogei e di declini». E Chauvet rappresenterebbe appunto un picco di straordinaria riuscita tecnica ed estetica.

Ermeticamente chiusa circa 22 mila anni fa da una frana, che l’ha sigillata e fatta pervenire fino a noi in condizioni pressoché perfette, la cavità sotterranea poggia su un suolo coperto di ossa, crani e impronte di orso, lasciati dagli enormi erbivori che l’abitavano. Tracce di carbone di legno, usato per dar luce alle torce, possono dare un’idea delle condizioni di misteriosa oscurità nelle quali l’artista concepiva i suoi disegni, mai disposti a caso.

Mammut, leoni, rinoceronti, cavalli, bisonti, cervidi sembrano sorgere dalla roccia, dalle incavature e dai rilievi. L’atmosfera è densa di riferimenti sessuali. Così, una coppia di leoni assorti nei preliminari dell’accoppiamento si confronta con un’altra, di concezione più complessa, formata da un bisonte dalle braccia umane, disegnato in sovrapposizione a un corpo di donna visto di fronte, con gambe, triangolo pubico e vulva, ma terminante con fattezze di leone. Un animale che doveva affascinare gli Aurignaziani, e con il quale i nostri antenati condividevano una preoccupazione fondamentale: l’accesso all’alimentazione carnea, ossia la predazione. Infatti secondo alcuni antropologi le scene di caccia rappresentate sulle pareti della grotta potrebbero essere, più che un reportage naturalistico, un’allegorica identificazione dell’uomo cacciatore con il leone delle caverne, simbolo per eccellenza della virilità.

Stiamo parlando di un’era glaciale con temperature massime di cinque gradi. Gli esseri umani sull’intero pianeta non arrivavano a un milione, avevano la pelle scura, un cervello esattamente come il nostro, ma vivevano in simbiosi con gli animali, infinitamente più numerosi e più forti. Nella lotta per la sopravvivenza, grazie al suo cervello l’uomo ha saputo avere la meglio, come dimostra il fatto, fa notare Geneste, che ancora oggi noi siamo qui.

Da oltre cento anni, cioè da quando viene riconosciuta l’esistenza di un’arte rupestre, le ragioni che hanno dato vita a questi affreschi in periodi così antichi alimentano vivi dibattiti. Oggi la figura centrale dell’animale e il suo ruolo non chiaramente definito rispetto alle varie immagini - racconti figurati avvicinabili a una vera e propria scrittura - sono al centro della riflessione scientifica.

La grotta, ribattezzata «La caverne orneé du Pont-d’Arc, dite Grotte Chauvet», non è mai stata data in pasto al pubblico per evitare le disastrose conseguenze imputabili all’afflusso dei visitatori, che hanno già portato alla chiusura della magnifica Lascaux. Gli appassionati di preistoria dovranno accontentarsi di visitarne il facsimile, in corso di costruzione: una replica perfetta in scala reale, realizzata con le tecniche più sofisticate, capace di restituire emozioni, sensazioni uditive, umidità, luce e odori, come se fosse vera. L’apertura al pubblico è prevista per il 25 aprile 2015.

Daniela Fuganti


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Camilleri: scrivendo scrivendo mi allungo la vita...

LA STAMPA

Cultura

Andrea Camilleri

Scrivendo scrivendo

mi allungo la vita

“Tre ore tutti i giorni, per mantenermi in esercizio”

I segreti dello scrittore fenomeno dell’ultimo ventennio

Camilleri, ma si rende conto? Se avesse sempre mantenuto il ritmo degli ultimi vent’anni, forse avrebbe battuto il record del suo amato Simenon. Invece, prima, soltanto quattro titoli: dal 1959, quando, trentaquattrenne, pubblicò un seriosissimo studio su I teatri stabili in Italia 1898-1918, ai tre romanzi usciti tra il ’78 e l’84. Poi, nel ’92, La stagione della caccia, e da allora l’esplosione: perché così tardi?

«Perché è solo dal ’92 che mi sono dedicato esclusivamente alla scrittura. Prima mi occupavo anche di teatro, televisione, radio, insegnavo al Centro Sperimentale di Cinematografia, all’Accademia d’Arte Drammatica…».

Ecco, appunto: era distratto. E tra le occupazioni che lo distraevano c’era proprio (anche) il Maigret di Simenon, il commissario della Sûreté parigina di cui curava le sceneggiature per la serie con Gino Cervi nella tv in bianco e nero degli anni 60. Come se lo stesso scrittore belga, autore di 224 romanzi lunghi (di cui solo un terzo polizieschi) e circa 450 tra romanzi brevi e racconti, avesse presentito l’insidia, si fosse voluto cautelare.

E ora che Camilleri di anni ne ha quasi 89, la stessa età raggiunta dal papà di Maigret, e ha anche lui un suo commissario noto ai lettori come al più vasto pubblico televisivo, è il momento di fare due conti: 22 romanzi della serie Montalbano e 23 di quella cosiddetta storica e civile pubblicati con Sellerio (che gongola: 18 milioni di copie vendute, diritti ceduti in 35 Paesi), a cui bisogna aggiungere le innumerevoli raccolte di racconti e i romanzi e i saggi di varia natura, che spaziano dall’Otto-Novecento (ma anche molto più indietro) ai giorni nostri, dalla critica alla linguistica all’arte all’attualità. Senza che la quantità nuoccia mai alla qualità. Un vero Stakanov della produzione letteraria, con una media di quattro titoli nuovi ogni anno (ma punte anche di otto-nove, includendo gli scritti occasionali), per un totale di un centinaio di volumi.

«Sì, sì…», riconosce lui.

E oltre ai libri ci sono gli articoli per giornali e riviste, le prefazioni, e naturalmente la collaborazione all’adattamento televisivo di Montalbano, e le prese di posizione e gli interventi nel dibattito politico da intellettuale naturaliter impegnato a sinistra. Ma è soprattutto quella cifra che fa impressione…

Cento libri in 22 anni, è mostruoso: Camilleri, un po’ non è spaventato? «Sì, dicono tutti che io scrivo troppo, però non so che farci. Nel momento in cui smetterò di scrivere credo che avrò poco da fare su questa terra. Cerco di allungarmi la vita scrivendo».

Andrea Camilleri parla nello studio lungo e stretto della sua casa romana vicina alla Rai, dove ha lavorato per una vita, nell’altra sua vita. La voce è quella cavernosa di sempre, come nella famosa imitazione di Fiorello («No, non ho smesso di fumare, ormai i medici si sono stancati. Solo al whisky ho rinunciato, è l’unica concessione che gli ho fatto»). È in partenza per la montagna, dove passerà l’estate: scrivendo. Intorno ci sono quadri e sculture (Canevari, Messina, Greco, Attardi: i suoi amici), fotografie e poster, i suoi cd di jazz, scaffali rigurgitanti volumi. È qui che nascono, in gran parte, i suoi libri.

Ma com’è: nella vita di prima queste storie non le urgevano dentro? Oppure non le venivano proprio le idee? «Le idee mi venivano, ma non mi piacciono le interferenze mentre faccio un’altra cosa. Siccome sono un uomo ordinato, le mettevo accuratamente da parte. E ogni tanto le utilizzavo. Infatti capita spesso che gli ex allievi dell’Accademia mi dicano: queste storie le abbiamo già sentite, Andrea. Perché me ne servivo per fare esercizi di recitazione. Ma non le mettevo per iscritto: erano storie che avevo nella mia memoria». E poi le ha ritirate fuori quando ha cominciato con i romanzi. «Soprattutto nel caso dei primi due, Il corso delle cose Un filo di fumo: sono i libri che ho maturato più a lungo dentro di me. Ne raccontavo episodi, pezzetti. Tessere di un mosaico, che poi quando ho cominciato a scrivere ho messo assieme». Quindi i suoi libri sono tutti scritti sul momento, non è che sta svuotando i cassetti. «Tutti freschi di giornata, come le uova! Nessun cassetto da svuotare. Casomai, per ragioni di opportunità editoriale, può accadere che si rimandi la pubblicazione di un libro di uno o due anni». Come si fa a scrivere così tanto? Quanto tempo le occorre per completare un romanzo? «In realtà quello della scrittura è una sorta di momento conclusivo, perché nel corso della giornata, anche se sono impegnato in altre faccende di poca importanza, continuo a pensare al romanzo che ho in mente. Quindi va a finire che quando mi siedo davanti al computer io in realtà metto in bella alcune idee che sono andato via via pensando il giorno avanti. Questo, insieme con una sistematicità di orario, quasi da impiegato, dalle 7 e mezzo-otto fino alle 11 del mattino, mi consente di scrivere tanto. Una volta finito il romanzo, però, io lo lascio “decantare”, lo lascio per un mesetto, poi ci rimetto mano, me lo rileggo tutto, lo correggo… La durata di scrittura di un Montalbano è in media tre mesi». La prima stesura, prima della decantazione, quanto tempo porta via? «Parecchio. Vede, succede così: io scrivo al computer una pagina. Dopodiché questa pagina la stampo e me la leggo e rileggo ad alta voce – la lettura ad alta voce per me è fondamentale, perché sento il ritmo del racconto, e dove c’è un intoppo, un ingorgo, mi rimetto al computer e cerco di sciogliere, di correggere, finché non sono soddisfatto. Diciamo che una pagina viene riscritta minimo tre o quattro volte». Ci sono periodi dell’anno più produttivi? «No no, io scrivo tutti i giorni. Anche se non ho niente da raccontare: scrivo a un signore che ho incontrato per caso a un’edicola che comprava dei giornali diversi dai miei…, gli scrivo una lettera, che poi naturalmente cancello. Ritengo assolutamente indispensabile mantenersi in esercizio. Come un pianista». Luoghi preferiti? «Naturalmente quando sono qui a Roma scrivo nel mio studio, ma posso scrivere dovunque, non ho preferenze o rituali particolari. Per esempio nei giorni scorsi sono stato in campagna da mia figlia, e lì ho lavorato col portatile». Come nascono le sue storie? «Io sono assolutamente incapace di inventarmi una storia ex novo, credo che non mi sia accaduto più di tre o quattro volte. Per ciò che riguarda la serie di Montalbano mi servo di vecchie notizie che poi rielaboro fino renderle irriconoscibili. Nel caso degli altri romanzi parto da pagine e frasi lette in qualche saggio storico, che mi sono rimaste particolarmente impresse e mi hanno “eccitato” la voglia di ricamarci sopra». Quanti libri già pronti giacciono da Sellerio, in attesa di essere pubblicati? «I Montalbano saranno… aspetti… uno, due… cinque, mi pare». Quindi si può dire che l’editore non riesce a stare dietro al suo ritmo di scrittura. «Beh sì, certo, anche lui deve spaziare. Mica può fare una casa editrice soltanto per me». C’è un romanzo che giace da molto tempo? «L’ultimo Montalbano, che ho scritto nel 2005, quando ho fatto 80 anni. Mi era balenata l’idea di come far finire la serie, e temendo la vecchiaia l’ho concluso subito e mandato a Elvira Sellerio, che era ancora viva, perché lo pubblicasse quando avrei smesso di scrivere sul commissario. Nel finale c’è una contrapposizione tra il personaggio letterario e quello televisivo, ma Montalbano non va in pensione e non muore: sparisce come personaggio, e quindi non c’è possibilità poi di riprenderlo, come è successo a Sherlock Holmes e altri». E in questo 2014, in cui siamo già a cinque titoli nuovi tra romanzi e raccolte di scritti, che cosa possiamo ancora aspettarci? «A settembre uscirà per Rizzoli un libro intitolato Donne, a fine ottobre per Sellerio una serie di racconti del giovane Montalbano. E per quest’anno può bastare, no?».

Maurizio Assalto


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Strata: universitari in pensione a 67 anni, tranne produttori di soldi e pubblicazioni....

LA STAMPA

Cultura

università

e pensione

La soluzione a cui si è arrivati sull’età (68 anni) di pensionamento dei docenti universitari nell’ambito del decreto PA è soddisfacente», recita il Ministro Giannini e aggiunge «viene incontro alle specificità del settore». Ci preme sottolineare che la più importante specificità del mondo della ricerca riguarda il creare conoscenza e che in tutto il mondo questa creatività spesso persiste a lungo. Negli Usa e in altri Paesi, la discriminazione in base all’età è illegale come quella basata sul colore della pelle o sul sesso e la si fa con un’intelligente valutazione del merito. Il ricercatore incrementa il suo stipendio dai fondi che ottiene e deve versare al Dipartimento una percentuale dei finanziamenti che gli consentono di occupare spazi, e usufruire di servizi. In questo modo lavorerà finché è in grado di procurarsi finanziamenti.

In Europa l’età della pensione è intorno ai 65-67 anni, ma coloro che sono produttivi e ottengono prestigiosi finanziamenti continuano il loro lavoro. L’Italia ha sempre fatto eccezione con un pensionamento a 75 anni ridotto poi a 72 (Mussi) e 70 (Gelmini). Penso che il modello europeo posizionato sui 67 anni, dal quale si è distaccato il Regno Unito, sia il più adatto per il nostro Paese, ma introducendo l’obbligo per le Università di recuperare quei docenti che hanno importanti finanziamenti e presentano ottime pubblicazioni. Un tetto del 5-10% rispetto al numero dei docenti di ogni Dipartimento proteggerebbe dagli abusi. Lo spazio lasciato vuoto dovrebbe essere riempito da giovani ricercatori. Se reclutati su base meritocratica si potrebbe intravedere l’inizio di un vero cambiamento. Per questo sarà importante il ruolo dell’ANVUR. Questa mia proposta illustrata al Forum Università e Ricerca del Pd nel 2010 fu disapprovata da tutti i 44 docenti intervistati dalla rivista Campus Pro del 23/7/2010 e l’allora Presidente del Forum Maria Chiara Carrozza, poi diventata Ministro, la lasciò cadere nel vuoto. Forse è l’ora di prenderla in considerazione e chiedere un parere al mondo extra-universitario. L’Università deve creare conoscenza non soltanto trasmetterla.

Professore Emerito, Università di Torino

Piergiorgio Strata


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Ponente ligure, minime tra 18 e 20, massime tra 24,5 e 26 gradi...


Piemonte, massime tra i 29,6º di Cuneo e i 32,8º di Torino...

Temperature osservate

CapoluogoMinima (°C)
30/07/2014
Massima (°C)
30/07/2014
Minima (°C)
31/07/2014
Massima (°C)
31/07/2014
Grafico
TORINO13,529,315,732,8vai
BIELLA14,925,017,230,5vai
VERCELLI14,523,615,531,4vai
NOVARA15,622,516,629,3vai
VERBANIA13,724,415,930,8vai
CUNEO13,430,017,529,6vai
ASTI15,124,415,630,5vai
ALESSANDRIA15,324,315,230,8vai

mimime tra 15,2º e 17,5º

Temperature osservate

CapoluogoMinima (°C)
30/07/2014
Massima (°C)
30/07/2014
Minima (°C)
31/07/2014
Massima (°C)
31/07/2014
Grafico
TORINO13,529,315,7-vai
BIELLA14,925,017,2-vai
VERCELLI14,523,615,5-vai
NOVARA15,622,516,6-vai
VERBANIA13,724,415,9-vai
CUNEO13,430,017,5-vai
ASTI15,124,415,6-vai
ALESSANDRIA15,324,315,2-vai