Italia
Dall’eterna fuga dalla vecchiaia
allo slalom tra le carrozzine
Berlusconi alla Baggina? Se è vero che il leader di Forza Italia dovrà scontare la sua pena occupandosi d’anziani disabili, non c’è dubbio che si tratta di un evidente contrappasso per chi ha fatto del corpo lo strumento principale della propria ascesa politica, il simbolo incarnato di una giovinezza senza età e senza mende.
V’immaginate Silvio che si occupa di pannoloni e di cateteri, che spinge carrozzine, che aiuta, come se fosse una badante moldava, una signora con le stampelle a salire le scale o imbocca una nonna inabile? Vecchio tra i vecchi, lui che è ricorso al lifting, si è trapiantato i capelli, ha ritardato in ogni modo il decadimento fisico del corpo, nascondendo sino all’altro ieri le rughe dietro il cerone e il trucco d’abili estetiste. Una condanna maliziosa, dunque, per un settantenne fidanzato con una ventinovenne, una sorta di «memento mori» che dovrebbe servire a rieducare il condannato ad un rapporto più corretto con le persone e con le cose. Chissà se i giudici che pensano di affidarlo ai servizi sociali hanno letto «La forza del carattere» di James Hillman, per cui la senilità non è un accidente o una dannazione ma piuttosto il momento culminante della vita, in cui il carattere si compie e si conferma.
Secondo lo psicanalista junghiano invecchiare non è tanto un processo fisiologico, quanto una vera e propria «struttura estetica» cui siamo chiamati al culmine della nostra esistenza. Ma per fare questo, dice Hillman, bisogna coltivare il proprio carattere, plasmarlo con metodo e costanza. In verità, questo nutrimento progressivo della propria senectute Silvio Berlusconi nel corso della sua esistenza non sembra averlo perseguito. In lui l’età è sempre stata una continua fuga all’indietro, un arretramento verso età precedenti, via via che entrava in quella della maturità, e poi nell’inarrestabile vecchiaia. Vecchio non ha mai voluto esserlo, e anche adesso che lo è per l’anagrafe, il leader di Forza Italia fa fatica a dichiararlo. Semmai in lui prevale il complesso di Peter Pan, quello dell’eterno ragazzo, che, come ha sottolineato Francesco M. Cataluccio in «Immaturità» (Einaudi), appare proprio all’inizio del Novecento. Alla Baggina, o in altro ospizio milanese cui verrà destinato, Berlusconi saprà cavare dal proprio irresistibile repertorio attoriale l’ennesima maschera, che si calerà sul viso, perché, più ancora che il giovane svolazzante di J. M. Barrie, Silvio è un eterno Zelig, un camaleonte che cambia sempre aspetto pur restando sempre se stesso. Tuttavia, al contrario del personaggio interpretato da Woody Allen, che non ha in sé una vera personalità, e perciò può assumere quella di coloro che lo circondano, Berlusconi di personalità ne ha troppa, e con quella seduce gli astanti attraverso l’irresistibile simpatia, il carisma trasformistico che lo fa essere giovane con i giovani, vecchio con i vecchi. Racconterà barzellette, farà battute, scherzerà e di sicuro farà divertire gli anziani ricoverati, perché sa benissimo che tra di loro ci sono molti dei suoi spettatori di trent’anni fa, allevati attraverso trasmissioni come «Colpo grosso» di Smaila, oggi come oggi i suoi unici elettori sicuri. Siatene certi, non se li lascerà scappare, alla faccia di chi vuole impedirgli di fare campagna elettorale. Anche nel luogo dell’addio la sua maschera avrà stampato un sorriso sul volto, dato che il sole in tasca, celebre slogan del suo successo d’imprenditore televisivo, non brilla più. Vecchi sono sempre gli altri.
Marco Belpoliti