Cultura
Le tre strade
di fronte
al premier
Renzi è debole. Può sembrare forte – e, com’è accaduto ieri, raggiungere disinvoltamente i propri obiettivi – perché i suoi avversari sono debolissimi. Ma la sua è una forza relativa: vale il proverbio medievale «beati monoculi in terra caecorum» - nella terra dei ciechi, beato chi ha un occhio.
Renzi è debole, innanzitutto, perché è un primo ministro non eletto e si appoggia su un Parlamento del quale la Corte Costituzionale ha messo in questione la legittimità. È debole poi perché, malgrado l’approvazione della legge elettorale, non potrà andare alle urne fin quando o non sarà giunta in porto pure la riforma del Senato (e ci vorrà ancora del tempo); oppure non sarà riuscito a estendere il nuovo sistema di voto anche al Senato com’è oggi (e non sarebbe operazione semplice).
In mancanza di queste condizioni, le elezioni con ogni probabilità produrrebbero una maggioranza alla Camera ma non al Senato. E il gioco tornerebbe così al punto di partenza. Renzi è debole, in terzo luogo, perché, forzando forzando, prima ha rotto con Berlusconi, e poi si è alienato la minoranza del suo stesso partito. E sì, lo abbiamo visto e lo abbiamo già detto, queste opposizioni sono deboli, divise, incapaci di proporre un’alternativa plausibile. Se si mettono di traverso tutte insieme, però, il parlamento diventa davvero difficile da governare.
Il presidente del Consiglio può rimediare alla propria fragilità politica in un solo modo: continuando a darsi da fare e portando risultati a casa. Fino al prossimo voto, sarà come una bicicletta: resta in piedi finché pedala. È stato così finora – e Renzi, che lo sa benissimo, dall’inizio della sua avventura non ha mai smesso di pedalare, o per lo meno di gridare ai quattro venti che stava pedalando. Continuerà a essere così anche nei prossimi mesi. Ma dove può mai dirigersi un ciclista debole, il cui principale punto di forza è rappresentato dalla debolezza ancora maggiore dei ciclisti concorrenti?
Le direzioni possibili, mi pare, sono tre. La prima va proprio verso il completamento della revisione istituzionale, ossia la riforma del Senato. Dopo le elezioni regionali Renzi potrà percorrerla o cercando di ricostruire l’accordo con Berlusconi in una sorta di «Nazareno 2.0» – anche se non si capisce bene quale tipo di contropartita politica possa offrirgli –, oppure ripristinando la sintonia con la sinistra del suo partito. O ancora, infine, forzando la mano da un lato e dall’altro, come ha fatto ieri. Che Renzi dia priorità al Senato è la soluzione più logica e forse anche la più probabile. Ha il vantaggio di portare a un referendum, il che al premier certo non dispiace. Come tutti i gesti autolesionistici, però, il «suicidio» del Senato resta un atto contro natura, e non è affatto detto che proprio su questo punto #lasvoltabuona non porti dritto in un burrone.
Ma come, si dirà, ancora riforme istituzionali! E quando mai si affronteranno i nodi economici? Quella dell’economia è la seconda strada che Renzi potrebbe imboccare – che moltissimi, insistentemente, gli chiedono d’imboccare, anche per approfittare della congiuntura internazionale favorevole. È una strada a tal punto impervia, però, da essere con ogni probabilità impercorribile. I vincoli interni ed esterni restano assai stretti. E poi, ancora una volta, pesa proprio la debolezza politica del governo, che è lecito dubitare sia in grado di raccogliere una maggioranza parlamentare intorno a provvedimenti economici incisivi – ossia, se incisivi, e tanto più quanto saranno incisivi, controversi e dolorosi.
La terza e ultima via, aperta dal divorzio breve, prevede che si punti sui temi eticamente sensibili. È una via che non costa soldi, e che non di rado in altri paesi governi di sinistra impossibilitati a muoversi sul terreno dell’economia hanno percorso – si pensi soprattutto a Zapatero in Spagna, ma anche, più di recente, alla presidenza Hollande in Francia. È una via, inoltre, lungo la quale in questo parlamento non sarebbe affatto impossibile raccogliere una maggioranza. Anche questa ipotesi presenta però delle controindicazioni: accenderebbe lo scontro ideologico su un terreno che finora il Presidente del consiglio ha mostrato di non voler radicalizzare; allontanerebbe Renzi dall’elettorato moderato al quale ha più volte dato mostra di esser molto interessato; metterebbe in pericolo la maggioranza coi centristi; e, soprattutto se la si somma a una politica economica poco efficace, potrebbe finire per rivitalizzare una destra al momento agonizzante.
Sarà interessante osservare verso quale di queste direzioni comincerà adesso a pedalare il governo. Fermo restando, naturalmente, che in questo contesto precario e popolato di debolezze conteranno tantissimo le opportunità politiche, positive e negative, che dovessero presentarsi. A cominciare dai risultati delle elezioni regionali.
Giovanni Orsina