Italia
Civati, addio al Pd di Renzi
“Non sosterrò più il governo”
“Tanto i democratici sono già un gruppo misto”. E al Senato sarà battaglia
“Tanto i democratici sono già un gruppo misto”. E al Senato sarà battaglia
Pippo Civati se ne va. Mette fine così a un lungo disagio che dura dall’inizio della legislatura, condito di distinguo e fiducie non votate. Ieri l’epilogo, con il deputato lombardo che lascia partito e gruppo parlamentare, iscrivendosi al misto: «Non sentirò grande differenza - ha spiegato - perché il Pd sembra già un grande gruppo misto con tutti gli ingressi che ci sono stati».
La black list delle rivendicazioni di Civati è lunga. Va dall’Italicum che «ha sbranato la rappresentanza in nome di una governabilità molto artificiosa» alla mancanza di convergenza con la politica economica del governo: «Penso - ha spiegato - che siamo di fronte ad un modello sociale che non regge più. Possibile che del reddito minimo ne parli solo Grillo? Sull’innovazione siamo sicuri che abbiamo fatto bene?».
Ma l’aspetto più critico è quello del rapporto con Matteo Renzi, col quale sei anni fa diede vita alla corrente dei «piombini», giovani del Pd che s’erano riuniti a Piombino col sogno di prendersi Paese e partito. Una Leopolda insieme, la prima, poi strade separate. Con Civati che rimprovera al premier l’avvicinarsi alla destra, mentre Renzi replica accusandolo di settarismo. «Io lascio il Pd - ha motivato ieri Civati - perché non sostengo più il governo Renzi. Non avrei mai lasciato il Pd a freddo se non per questo motivo. Ora Renzi si è tolto un fastidio».
Un po’ tutta l’area ex Ds gli ha chiesto di ripensarci, a partire dal ministro Martina e da Matteo Orfini che ha portato i suoi giovani turchi in maggioranza, fino ad alcune anime critiche come Bindi e d’Attorre. Il benvenuto in minoranza gliel’ha dato Nicola Fratoianni, capogruppo di Sel, che ha preannunciato la nascita di un nuovo soggetto politico: «Civati ha fatto una scelta che è frutto di una lunga accumulazione di distanze dal Pd, che sono vicinanze con Sel. Siamo pronti a dare vita al più presto a una forza politica in grado di dare voce alle tante alle tante resistenze di chi non crede che al Pd non ci sia alternativa». Ma il punto politico dell’addio in solitaria di Civati è tutto riflesso sull’altro ramo del Parlamento.
Lì, sulla carta, la maggioranza può contare su 172 voti, ma l’ultimo censimento disponibile dell’area critica, quello effettuato in occasione del voto sull’Italicum a Palazzo Madama, ha restituito un totale di 22 senatori della minoranza Pd che in quell’occasione non parteciparono al voto. A questa platea parla l’iniziativa portata avanti dalla senatrice Lucrezia Ricchiuti che insieme a un gruppo di ex del M5S sta lavorando alla costituzione di un gruppo autonomo che, nelle speranze dei promotori, dovrebbe fungere da polo attrattivo verso quell’area. Per ora i senatori a lui più vicini come Mineo e Lo Giudice negano di voler allargare la faglia e annunciano la loro permanenza nel Pd, ma lo stesso capogruppo Zanda ieri sembrava ben consapevole della probabilità molto alta che da quel crinale venga giù una frana. “Ci sono 22 senatori - spiegava ieri Mineo - che vogliono sapere dal presidente del Consiglio e segretario del Pd, come intende procedere su scuola, Rai e Bicameralismo. Siamo un’area molto consistente, che intende dire la sua, far pesare le proprie richieste e senza la quale non c’è maggioranza. Spetta a Renzi convincerci».
@unodelosBuendia
FRANCESCO MAESANO