ebook di Fulvio Romano

giovedì 7 maggio 2015

Il prof renziano pentito

LA STAMPA

Italia

Il prof renziano pentito

“Ci ricatta con le assunzioni”

Precario da undici anni, nel 2014 aveva votato Pd

Il professor D., che l’altro giorno ha scioperato dopo aver disertato le manifestazioni precedenti, non è un gufo, un rosicone, uno sciacallo, un avvoltoio, un uccellaccio del malaugurio. Non è un sindacalista, un parruccone o un professorone di quelli odiati a Palazzo Chigi. Piuttosto un professorino da 1360 euro al mese, precario da dodici anni negli istituti tecnici, che, dopo una fuggevole infatuazione grillina, alle Europee aveva votato il Pd, convinto proprio dalla scelta del premier di puntare sulla «buona scuola». Oggi non lo rifarebbe. La sua storia spiega bene l’umore tratteggiato ieri da Mario Rossi-Doria su «La Stampa» in un articolo che il prof D. ha letto e condiviso. Lui, quarantenne single liberal, antropologicamente elettore tipo del Pd renziano, ne è deluso perché «la buona scuola si è rivelata pessima».

Il prof D. è uno di quelli della classe di concorso A019: discipline giuridiche ed economiche per le superiori. Comincia a insegnare dopo aver ottenuto l’abilitazione con il concorso bandito nel 1999 e concluso con gli orali nel 2001. Un anno nelle graduatorie pugliesi senza alcun incarico, poi il trasferimento a Milano e la prima chiamata per una breve supplenza a Milano. A fine giugno il contratto finisce e si torna disoccupati, in attesa della lotterie delle supplenze di settembre. Da allora ha insegnato a Ivrea, Cologno Monzese, San Donato Milanese, Bollate, Abbiategrasso e in diverse scuole di Milano. Alcune supplenze annuali, altre frazionate con brevi contratti, interruzioni e proroghe. In 12 ha contato undici scuole, una novantina di classi, oltre duemila studenti diversi. E due giorni di assenza.

Insomma, se c’è uno che non dovrebbe temere una buona scuola che premia il merito, questo è proprio il prof D. Invece sciopera contro. «Quest’anno non lo avevo mai fatto - racconta - perché non era ancora chiaro il progetto del governo, volevo vederci chiaro. Così ho letto le linee guida, mi piaceva l’idea della consultazione. Ma presto ho capito che era un bluff».

E quando il piano si è delineato, la sua contrarietà è aumentata, anche se il prof D. potrebbe beneficiare delle assunzioni di massa. «I criteri non sono ancora chiari, ma non mi piace che si mettano le assunzioni e la riforma in un unico calderone, come se fosse uno scambio, un ricatto». Non gli piace l’aumento del potere dei presidi al limite dell’arbitrio, il fatto che i benestanti possano finanziarsi le proprie scuole, il lungo tirocinio gratuito dei ragazzi nelle aziende. Più in generale una certa idea competitiva della scuola: tra pubblico e privato, tra istituti, persino tra colleghi, «mentre si dovrebbe incentivare la collaborazione didattica che è insufficiente».

Nelle scuole in cui ha insegnato, il prof D. ha lasciato buoni ricordi, tanto che i presidi, quando si libera un posto, lo richiamano. E oltre alle attività canoniche, viene scelto (e si fa carico) anche di ruoli, tipo tutor e coordinatore di classe, tutt’altro che remunerativi ma pieni di responsabilità nella gestione dei rapporti tra genitori e prof. Dunque non avrebbe che guadagnarci da una scuola meritocratica. «Infatti non accetto che si dica che chi contesta la riforma è automaticamente contro il merito e per la mediocrità. Il problema è chi stabilisce il merito, chi lo amministra. E come».


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