Italia
La prossima frontiera del premier
Disinnescare la mina-Consulta
Renzi teme che la Corte diventi una “terza Camera”
Renzi teme che la Corte diventi una “terza Camera”
Dal suo studio a Palazzo Chigi, fino all’ultimo ha istintivamente digitato, spedito sms ai ministri amici e ai deputati dal “naso fino”: «Secondo te, come finisce?», «stiamo sopra o sotto 340?». Matteo Renzi è fatto così. Prepara gli eventi-clou con una adrenalina e una cura per il dettaglio inimmaginabili per chi lo osserva in tv. Studiata anche la sua assenza dall’aula per tutta la discussione di una legge che gli stava tanto, ma tanto a cuore. Anche ieri, con scelta originale, Renzi non si è fatto vedere, evitandosi insulti politici ravvicinati e lasciando il campo a battute come quella di Renato Brunetta, che lo ha evocato con un «caro presidente del Consiglio, che non c’è», locuzione ripresa peraltro dal detestato Tonino Di Pietro.
Certo, ieri pomeriggio non era più in gioco l’approvazione o meno della legge elettorale, evento oramai scontato, ma la prima, vera votazione a scrutinio segreto presentava una incognita: quanti deputati del Pd e della maggioranza avrebbero votato contro l’Italicum la legge-Renzi? II dissenso, ben celato, avrebbe fatto scendere il consenso parlamentare del governo sotto la quota di sicurezza di 316, quella della maggioranza assoluta degli aventi diritto a Montecitorio? E così, quando sul tabellone della Camera è apparso il dato, «favorevoli 334», il presidente del Consiglio ha esultato, notando subito che pur davanti ad una copiosa dissidenza, irripetibile in quelle dimensioni, il governo si è dimostrato autosufficiente anche dal no della minoranza Pd.
Ma a caldo, come dopo il primo voto di fiducia della scorsa settimana. Renzi si è “tenuto”, si è imposto di non maramaldeggiare, non infierire sui perdenti e ha diffuso uno dei tweet più sobri della sua vita, vista la posta in palio: «Impegno mantenuto, promessa rispettata. L’Italia ha bisogno di chi non dice sempre no. Avanti, con umiltà e coraggio#lavoltabuona. Nessuna evocazione dei gufi e persino un auto-invito all’umiltà che in uno scritto di Renzi rappresenta un unicum davvero significativo. Anche perché, per il premier, si tratta di una giornata importante: è definitivamente legge, una riforma che potrebbe presto regalargli un Parlamento a sua dimensione. Ma Renzi è uno che ricarica subito le munizioni per il giorno dopo. Davanti allo sciopero generale di tutti i sindacati della scuola previsto per oggi, il premier ha iniziato una “ritirata” tattica e soltanto nelle prossime ore calibrerà dove concedere e dove tenere nel provvedimento sulla buona scuola in discussione in Parlamento. E presto deciderà cosa cambiare della riforma istituzionale. Ma in queste ore per la prima volta è venuto in superfice una nuova questione di prima grandezza, da affrontare e da risolvere con la massima delicatezza. La recente sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni ha proposto il tema della Consulta come “terza Camera”. Una terminologia che a Palazzo Chigi si guardano bene dall’usare ma che rischia di riproporsi clamorosamente per l’Italicum, Tra le prerogative del futuro “Senato” c’è anche, su richiesta da parte dei “senatori”, la possibilità di investire la Corte Costituzionale per un esame retroattivo delle leggi elettorali. Dunque anche dell’Italicum. Ecco perché a palazzo Chigi cominciano a valutare con la massima attenzione l’elezione di ben tre giudici (su 15) della Consulta, in programma fra due mesi. In quella occasione, con il consueto quorum qualificato, bisognerà sostituire due giudici di “destra” e uno di “sinistra”, ma dati i rapporti di forza si potrebbe arrivare ad una tripartizione. Una partita, quella di una Consulta non ostile, che Renzi vuole giocare senza scoprirsi ma con determinazione.
fabio martini