Cultura
La terapia dell’orto
per una nuova vita
Parco di Monza. Alla Cascina Frutteto che anticamente forniva le cucine della Villa Reale dei ragazzi portano dell’insalata appena colta.
«A parte gli asparagi coltiviamo di tutto, ed è tutto biologico. Adesso abbiamo zucchine, cavoli, alcune varietà di pomodori, coste, carote...», spiega Maurizio Ferrandina, terapista della riabilitazione psichiatrica e occupazionale che coordina il gruppo di ortoterapia formato da 15 ragazzi e 35 volontari (quasi tutti pensionati brianzoli) presso la Scuola Agraria del Parco di Monza (fondata nel 1902; circa 1800 studenti seguono ogni anno i corsi di formazione per giardinieri, arboricoltori, ortoterapisti etc).
Ferrandina entra in una stanza della cascina dove, tra cartoni e vari arnesi, ha la sua scrivania. Sul piano scorgo delle cesoie. Domando: non è rischioso far usare certi attrezzi a giovani che arrivano dai Servizi di salute mentale, dai Tribunali e dal carcere minorile? «Vuole che mandi a tagliare le rose con le forbicine da unghie? Non tratto nessuno come uno scemo», ribatte.
«L’operatore che decide di attuare seriamente una riabilitazione con un percorso di ortoterapia deve far usare tutti gli attrezzi, dal rimorchio alla motosega, assumendosene responsabilità e rischi. Problemi? Solo una volta. Avevo chiesto forse troppo a una persona. Lui si è arrabbiato, mi voleva schiaffeggiare. Sono intervenuti gli altri del gruppo e l’hanno bloccato». Racconta degli orti (2 spazi, in tutto 800 metri quadri offerti dalla Scuola) e di come le strutture sanitarie che inviano i giovani versano ai partecipanti un piccolo compenso mensile.
Chi è il più bravo? «Il gruppo. Sono molto affiatati», sorride. In tempi di assurdi boschi verticali e orti sui terrazzi, di giardinieri star e altre futilità a Cascina Frutteto si respira ben altra aria: davvero la natura - un giardino, uno spazio coltivato - può essere un prezioso complemento alle cure per i portatori di handicap fisici o psichici. Welfare verde. L’esperienza dei giardini terapeutici (gli «healings gardens» nati negli Usa) e decine di ricerche internazionali hanno da tempo dimostrato i benefici di queste terapie.
«Ma sfatiamo il detto “zappa che ti passa”!», sottolinea l’agronoma Carla Schiaffelli, responsabile a Monza della formazione. Occorrono progetti seri e operatori che devono avere sia competenze agronomiche che saper gestire disagio e disabilità, insegnare a vangare e capire cosa si nasconde dietro un silenzio.
Proprio per divulgare queste esperienze alla scuola di Monza, pioniera in Italia anche nei corsi per ortoterapisti (sempre più richiesti da coop sociali, ospedali, case di riposo per anziani) lo scorso gennaio è nata l’Associazione italiana ortoterapia (www.assiort.it), presidente lo psichiatra veronese Alessandro Castellani, vicepresidente la psicologa Roberta Ottolini. Dalla teoria alla pratica. E’ la storia di Maurizio Ferrandina, 52 anni, diplomato in Agraria, studente di Medicina («Non sono riuscito a laurearmi lavorando; ho seguito un corso di terapista») che, prima di arrivare a Monza, per anni ha operato all’Istituto dei tumori di Milano.
«Là non c’erano né giardini né terrazzi. Giravo per vari reparti; con i ragazzini trapiantati di midollo e gli amputati facevo terapie di supporto. Grazie alla prof Gemma Martino - grande donna - ho trovato dei mondi. Non importa il ruolo ma essere in contatto diretto con i pazienti». Quando scopre che alla Scuola Agraria si tengono corsi per ortoterapisti Ferrandina s’iscrive; e oggi non solo insegna ma oltre al gruppo di Monza lavora anche con i malati psichiatrici degli ospedali di Sesto, Vaprio e Trezzo d’Adda.
«L’orto», spiega, «è una tecnica come la musica o l’ippoterapia. L’importante non è la bontà dell’insalata ma riannodare fili che si sono interrotti». Da 2 anni la mensa della Scuola d’Agraria compra quei buoni ortaggi, ma per i suoi ragazzi Maurizio Ferrandina vuole il futuro. A Villa Reale fervono i lavori: sarà la prestigiosa sede di rappresentanza dell’Expo 2015 su «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Nessun orto è più in tema di quello dei 15 giovani e 35 volontari nel vicino Parco. Ma, finora, nessuno li ha coinvolti.
Chiara Beria
Di argentine