Italia
A Termini va in scena tra i passeggeri la “globalizzazione dell’indifferenza”
Per far scoppiare le bolle di sapone dell’indifferenza si può anche iniziare da una domanda: la differenza fra emigranti e rifugiati. Il luogo giusto per porla è la stazione Termini, che per tutti i rifugiati arrivati in Italia è stata almeno per una notte albergo, pensione, locanda, ristorante e spesso anche toilette. I binari sono a pochi metri, migliaia di viaggiatori passano, alcuni guardano. In pochi vedono le lunghe file di disperati abbandonati sui marciapiedi a malapena avvolti in un sacco a pelo.
I viaggiatori passano oltre, correndo dietro la tirannia degli orari delle stazioni, il treno da prendere al volo, il genitore o il figlio in arrivo. Chiusi nella loro bolla di sapone di benessere, molti di loro nulla sanno né vogliono sapere.
Qual è la differenza tra rifugiato e emigrante? La metà fa scena muta o risponde in modo imbarazzato. Non c’è distinzione di età o di aree di provenienza: gli accenti hanno le cadenze del nord e del sud, i volti appartengono a giovani e meno giovani.
Finché si tratta di descrivere gli emigranti è facile, basta rispondere con un semplice «quelli che emigrano». Sono i rifugiati il problema.
Un trentenne dall’aria palestrata risponde con fare sicuro: «Il rifugiato? È quello che arriva senza permesso di soggiorno. E poi si associa a persone che lo portano a fare cose irregolari che faceva nel suo Paese». Una coppia di ventenni freschi di fidanzamento si tiene mano nella mano: «Oddio... queste domande esistenziali!», esclama lei. «Non so proprio la differenza», conferma lui. Una mamma e un figlio ci pensano su un istante, poi scuotono la testa: «Non saprei proprio...». Una studentessa prova a servirsi della scorciatoia: «L’emigrante è quello che emigra? E il rifugiato è quello che si rifugia?» Un gruppo di cinque ragazze in partenza per il mare fa quello che può. «I rifugiati sono quelli che scappano dalla legge?». L’ultimo tentativo è con due ragazze. Rispondono in tono più sicuro. «Il rifugiato? È chi si rifugia in un Paese per diverse cause, potrebbe essere ricercato», spiega. E l’altra: «Rifugiarsi: cioè trovare un luogo in cui si è sicuri». In un certo senso ha ragione. Peccato che la realtà sia tanto lontana dalle sue parole.