Economia
Lavoro, crescita, flessibilità
Il modello Italia fa proseliti
La Francia parla con accento italiano», ha scritto ieri l’agenzia francese Afp. Il titolo certificava l’interessata attenzione di Francois Hollande - e del suo governo rimpastato dopo la batosta elettorale alle amministrative - per la parabola euroriformista di Matteo Renzi. Parigi è alla ricerca di margini di spesa. Insegue fra le pieghe dei trattati Ue un metodo per finanziare riforme, crescita e lavoro, il triangolo che può vincere la crisi e l’onda populista. Proprio come Roma, con cui pare tentata di elaborare un inedito patto di flessibilità europea. Tutti i segnali dicono che il modello di Renzi suscita interesse. E fa proseliti.
Il premier ha incassato l’appoggio di Frau Merkel - che lo ha spronato ad andare avanti e fare i compiti a casa -, quindi quello del presidente americano, Barack Obama - «colpito» dalla volontà di rinnovamento. A sentire Hollande sembra poi che adesso il contagio e l’Italia siano due parole nuovamente abbinate: però non quando si parla di crisi finanziaria, quando si parla di un nuovo metodo per l’intervento sull’economia e sui conti pubblici. La formula appare dalle parole pronunciate ieri da Pier Carlo Padoan alla fine del primo giorno di lavori dei ministri Ecofin ad Atene. «Ci sono margini nelle regole europee che legano lo sforzo per le riforme strutturali alla possibilità di modulare i tempi di aggiustamento (di bilancio) e non la sua direzione, che non deve mutare». Serve «una nuova agenda dell’Unione economica» che coniughi «l’importantissimo» aggiustamento fiscale con la crescita. Si tratta di essere seri sulle riforme e ragionare sul debito con Bruxelles. Non sul deficit, come si sente dire spesso. I francesi sperano che funzioni.
Sembrano tentati di avanzare in tandem coi cugini d’oltralpe, anche se Padoan rifiuta l’idea di un fronte dei paesi deboli contro i forti nell’Eurozona. Non ci sono richieste formali. Il tema è la flessibilità costruttiva, non la rottura degli schemi. Manuel Valls, nuovo premier socialista francese, afferma che «bisognerà convincere l’Europa che il nostro contributo a competitività e crescita deve essere tenuto da conto nel valutare il rispetto dei nostri impegni». Hollande lancia il suo slogan: «Rinforzare l’economia francese è il miglior modo di riorientare l’Europa».
Un problema è che non ci sono soldi, nei forzieri di Parigi come in quelli italici. Il secondo è che i sommovimenti euroscettici e populisti, qui come altrove, rendono necessaria un’invenzione che consenta di tornare a correre. Lunedì si è saputo che il 2013 francese è finito con un deficit del 4,3%, due decimi oltre le previsioni. Anche il debito sfora il 93,5% del pil. L’obiettivo negoziato con Bruxelles di un ritorno sotto il 3% nel 2015 si allontana paurosamente. Così Hollande e Valls sono a un bivio. Negoziare con l’Ue (all’italiana o con l’Italia) o sotterrare le ambizioni di ripresa?
La risposta è nella domanda, per Parigi e Roma, e per Londra che ha tempi più lunghi per curarsi (2017), ma parte da un deficit al 5,3%. Bisogna persuadere Bruxelles allo scambio, spingere per barattare interventi virtuosi con un allentamento della presa sui conti. Si può fare? Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha detto ieri «che è nell’interesse di tutti avere una Francia forte» e lo è anche «che la Francia rispetti i suoi impegni di riequilibrio e riforme». Tiene la linea. E quando gli si chiede dell’Italia, «dice data la somiglianza delle domande, la risposta non può essere diversa», oltretutto Parigi ha già avuto due rinvii. Dietro le quinte c’è movimento. Una fonte Ue ammette contatti continui fra Bruxelles e il Tesoro: «Ci sono margini, piccoli». Non sulla clausola di investimenti che è considerata archiviata. Non sul disavanzo. Dunque sulla «modulazione», quanto fare e quando, invece di «se» farlo. La trattativa passa da qui, a patto che il Def (che arriva entro il 10) abbia numeri e contenuti convincenti.
Bruxelles sosterrà le capitali se le capitali sapranno sostenersi. E se le riforme saranno vere, pure Berlino potrebbe alla fine accettare. Per Renzi (e per Hollande) sarebbe un trionfo. Non facile. Ma qual è l’alternativa?
marco Zatterin