ebook di Fulvio Romano

giovedì 16 aprile 2015

I tre aspetti cruciali del caso Google

LA STAMPA

Cultura

i tre aspetti cruciali

del caso google

La Commissione Europea accusa Google di pratiche anti-competitive e subito scatta la tentazione di ridurre tutto a contrapposizioni tanto semplici quanto fuorvianti, come «Usa contro Europa» o «innovatori contro conservatori».

Partiamo dalla prima iper-semplificazione: secondo alcuni, l’Europa, avendo perso la partita nel mercato, starebbe cercando di contrastare il potere economico americano a colpi di sentenze. Insomma, si starebbe seguendo la via giudiziaria per riequilibrare la bilancia digitale transatlantica dei pagamenti, nettamente a favore degli Usa. Opinione in astratto plausibile non fosse che tra i critici più rumorosi di Google ci sono grandi aziende americane come Microsoft e TripAdvisor. Così come nel febbraio 2009 era stata Google ad appoggiare la Commissione Europea quando quest’ultima indagava Microsoft. Faglie profonde, dunque, attraversano la stessa industria digitale americana.

La seconda falsa contrapposizione, con forti connotati moralisti, è tra «innovatori» da una parte – oggi Google, ma domani, chissà, Uber o altro servizio digitale – e «conservatori» dall’altra. I «conservatori», incapaci di affrontare gli «innovatori» sul campo, non saprebbero far altro che invocare leggi o sentenze a loro tutela.

Da una parte è certamente vero che in Europa (Italia inclusa) non pochi imprenditori iniziano a prendere sul serio la rivoluzione digitale solo quando costretti, ovvero, solo quando un colosso – tipicamente americano – gli entra in casa. Non sarebbe positivo tutelare chi per stupidità o per pigrizia ha ignorato la più profonda trasformazione tecnologica del secolo.

Tuttavia, la facile contrapposizione innovatori-conservatori si smonta nel momento in cui prendiamo atto che tra i critici di Google (come in passato tra i critici di Microsoft) ci sono anche aziende altamente innovative, di certo non caratterizzate da inerzia o da mancanza di creatività.

La vicenda deve quindi venir letta in altro modo. In particolare, occorre essere consapevoli che la rivoluzione digitale, come tutte le rivoluzioni, sta riscrivendo le mappe del potere. Innanzitutto, la mappa del potere economico, ma anche le mappe del potere politico, militare e culturale.

La riscrittura in ambito economico deve avvenire consentendo a tutte le aziende di giocare una partita con regole certe e, soprattutto, uguali per tutti.

Tre aspetti in particolare devono valere indipendentemente dall’indirizzo del quartier generale dell’azienda: anti-trust, fiscalità e tutela dei dati personali.

Se ieri la Commissione ha fatto un primo passo, tutto da confermare, relativamente al primo punto, riguardo a fiscalità e tutela dei dati personali, invece, le disparità tra aziende sono ancora molto forti.

Sulla fiscalità, il dibattito è molto accesso in tutta Europa, col Regno Unito a muoversi per primo, con la recente entrata in vigore del Diverted Profit Act; la strada, però, per mettere tutte le aziende sullo stesso piano fiscale appare ancora accidentata.

Riguardo ai dati personali, la libertà di manovra concessa alle aziende americane grazie all’accordo «Safe Harbor» del 2000 mette le aziende europee in una condizione di oggettivo svantaggio competitivo. Data la crescente rilevanza economica (e non solo) dei dati personali, il tema dovrà inevitabilmente tornare all’attenzione dei tavoli transatlantici.

Dopo aver agito su questi tre aspetti cruciali, ovvero, dopo aver livellato per bene il campo da gioco, a quel punto che vinca davvero – nel rispetto delle regole – chi innova, chi è più bravo a stare sul mercato, chi meglio interpreta le potenzialità della rivoluzione digitale.

Juan Carlos De Martin