Cultura
Erdogan e i conti con la storia
Papa Francesco non passerà di certo alla storia come maestro di sottigliezze e di prudenze clericali, ma per il suo modo estremamente diretto di formulare forti principi e nette valutazioni senza troppo timore per le possibile conseguenze.
Questa volta è toccato alla questione armena, un tema già in passato affrontato dalla Chiesa con periodiche commemorazioni delle vittime delle stragi del 1915, ma mai con un riferimento esplicito e pronunciato in pubblico al termine «genocidio», bensì - come fece nel 2001 Papa Woityla in occasione di una visita in Armenia - con espressioni quali «massacro» e «annientamento».
Questa volta, invece, Papa Bergoglio non solo ha usato il termine, ma ha detto che il genocidio armeno è stato il primo del XX secolo, mettendolo sullo stesso piano di quelli attuati da nazismo e stalinismo.
Il governo turco ha immediatamente reagito richiamando «per consultazioni» il proprio ambasciatore presso la Santa Sede e convocando il nunzio apostolico ad Ankara per manifestare fortissime rimostranze per una dichiarazione che viene definita priva di equilibrio e soprattutto unilaterale nella misura in cui il Papa avrebbe preso in considerazione solamente le vittime cristiane del periodo di scontri e massacri che si scatenarono in Anatolia nel corso della Prima Guerra Mondiale.
La Turchia infatti, anche se non può negare i fatti (fra l’altro provati nei processi intentati nel 1919-20, sulla base del Trattato di Pace, da corti marziali turche), vorrebbe contestualizzarli nel quadro di più complesse vicende. Un po’ come, da parte serba, cercare di interpretare il genocidio a Srebrenica come uno degli episodi del feroce conflitto bosniaco fra serbi, musulmani e croati.
Ma non si tratta della storia di cento anni fa, bensì del presente. Erdogan non difende certo i massacratori di allora (fra l’altro, nazionalisti e tutt’altro che islamisti) ma - respingendo l’offesa alla nazione turca - ci tiene a impugnare la bandiera di un nazionalismo che rimane forte anche nelle correnti più liberali, dove non si nega la storia, ma si respinge un termine che accomunerebbe i turchi ai peggiori responsabili, nella storia, di quella atroce disumanità che consiste nello sterminare un gruppo umano in quanto tale.
E nemmeno Papa Francesco parla in sede storica, dato che le sue parole si riferiscono esplicitamente al presente («anche oggi…»), e in particolare ai cristiani perseguitati e massacrati in Medio Oriente.
Quella di Bergoglio è una presa di posizione che è legittima in sede storica e anche comprensibile, da parte di un Pontefice, nel clima creato dall’attuale atroce ondata di persecuzioni anticristiane da parte del jihadismo sunnita. Ma non ci si può nascondere, al di là di un «incidente diplomatico» in sé superabile, la possibilità che Erdogan ne tragga occasione per compiere un ulteriore passo nella fusione fra nazionalismo turco e islamismo, fra l’altro con ripercussioni anche per i cattolici turchi, che potrebbero vedere aumentare le attuali restrizioni di tipo legale e burocratico cui sono sottoposti ma soprattutto correre il rischio di emarginazione come «antinazionali».
La questione del genocidio armeno rimane comunque attuale, e potrebbe essere consegnata alla storia soltanto se la Turchia si rivelasse capace di chiudere, con generosità e autocritica, una disputa nominalistica e di riconoscere quel grande crimine innegabilmente commesso cento anni fa. Ma non sarà certo Erdogan a compiere questo passo.
Roberto Toscano