ebook di Fulvio Romano

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lunedì 6 agosto 2018

Il Tempo della Settimana

LA STAMPA

Cuneo

il tempo

FULVIO ROMANOSi attenua
l’ondata di caldo

Come già avvenne nel 2017, anche quest’anno le temperature dei primi cinque giorni di agosto hanno rivaleggiato con quelle, bollenti, dell’indimenticabile estate del 2003, quando fu registrato un record che fino ad oggi era rimasto «imbattuto».
Sabato le massime di Asti Tanaro hanno raggiunto i 36,7° e ovunque nel Nord Ovest le temperature medie sono state «africane», andando dai 27 fino ai 30 gradi di alcune stazioni dell’Arpa delle pianure orientali! 
Si tratta di valori eccezionali causati specialmente dagli elevati ed afosi dati notturni, che in molti siti piemontesi e della Valle d’Aosta sono stati da record assoluto. Questa settimana in cui cade San Lorenzo (venerdì prossimo) sarà invece di svolta. Tutto lascia intravedere temperature ancora calde ma meno aggressive, già a partire dalla giornata odierna.
L’anticiclone, finora dominante, concede spazio alla ripresa dell’Atlantico e delle sue ondate perturbate. Le nuvole e i temporali, da qui a giovedì cominceranno a investire anche le pianure, dal pomeriggio e fino a notte inoltrata. L’estate, che supera a San Lorenzo la metà del suo percorso tra il solstizio di san Giovanni e l’equinozio autunnale di San Michele, ritorna nella norma.
Le piogge temporalesche, che per tradizione segnavano il tempo dopo Ferragosto, porteranno alla vigna e alle colture l’acqua benefica di metà stagione.
Più sole venerdì e soprattutto sabato, Domenica più isolati e modesti i rovesci, che tuttavia riprenderanno pieno vigore dal lunedì della prossima settimana.
romano.fulvio@libero.it 


domenica 7 febbraio 2016

In quota previsti 40 centimetri di neve ( da LA STAMPA di stamattina)

LA STAMPA

Cuneo

Il tempo

In quota previsti
40 centimetri di neve


Fulvio Romano

Dopo che per 3 giorni (sui primi 5 di febbraio) Cuneo è stata, con una punta oltre 19 gradi, la città più calda del Piemonte, potrebbe diventare in queste ore la più fredda e nevosa del Nord Ovest. Le previsioni, man mano che si avvicina la perturbazione atlantica, si fanno più precise su tempistica e quantità di precipitazioni sulla Granda. L’area depressionaria si piazzerà sul Golfo ligure e di lì investirà di pioggia e neve, a tratti veri e propri rovesci, la pianura cuneese e soprattutto le Alpi Marittime e Liguri. I fenomeni, iniziati nella notte, si intensificheranno in mattinata, prima sotto forma di pioggia rada e quindi nevischio e poi neve intensa, per raggiungere il culmine tra le 11 e le 18, ora in cui - insieme alle prime schiarite - le temperature precipiteranno in pianura sotto gli zero gradi. Otto-dieci ore di maltempo che dovrebbe accumulare in pianura 20-25 millimetri d’acqua, quanto mai benvenuta dopo 101 giorni di siccità. Uno strato bianco potrebbe interessare gli altipiani di Cuneese e Monregalese. La quota neve sarà variabile a seconda dei luoghi, ma potrebbe scendere sotto 700-650 metri e rimanervi a causa del gelo. Per le piste di sci e le alte Alpi le previsioni sono di 40 centimetri di neve fresca. Migliora domani, ma martedì è ancora previsto maltempo.
romano.fulvio@libero.it 


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lunedì 1 febbraio 2016

Il Tempo della Settimana. Dai 20 gradi a neve e pioggia nel weekend

LA STAMPAweb

Cuneo

Dai 20 gradi
a neve e pioggia
nel weekend

Per la tradizione popolare è a seconda del tempo che farà tra oggi e domani che si decide quanto ancora durerà l’inverno. Il folklore alpino attribuiva all’Orso della Candelora questo compito. Se al suo risveglio dal letargo avesse trovato bel tempo l’inverno sarebbe durato ancora per altri 40 giorni. Nel caso di nuvole, pioggia o neve sarebbe stata invece ormai primavera. Questa logica contraddittoria dell’Orso sembra in procinto di avere una verifica nel tempo previsto per i prossimi giorni.
La settimana inizia con vivaci soffioni di Foehn che precipitano dalle creste alpine riscaldando la pianura, fino anche a 20 gradi di temperatura massima. Un tempo più che primaverile, che sembrerebbe sancire la stranezza di una stagione che non ha eguali, se non in quella del 1989-1990. Tra mercoledì e giovedì saranno le nuvole a prevalere. Un fronte sorvolerà le Alpi ma con scarsi effetti se non qualche goccia sulle province ad Est confinanti col Levante ligure e ancora, forse, qualche vento secco sui fondovalle. Tornerà quindi il sereno, ma con temperature in netto calo, fino a sabato.
Tra sabato sera e domenica è in procinto di arrivare la prima perturbazione decisamente invernale, interrompendo la siccità in pianura e portando neve sull’arco alpino Nord ma anche su Marittime e Liguri. 

Fulvio Romano





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lunedì 28 dicembre 2015

A Capodanno con il gelo arriva la neve (Il Tempo della Settimana)

LA STAMPA

Cuneo

A Capodanno
con il gelo
arriva la neve

Insieme all’anno finirà anche questo lungo periodo di alte pressioni, siccità e inversioni termiche. La previsione di un cambio del tempo, tanto atteso, è ormai comune a tutti i modelli meteorologici. Diversa soltanto la valutazione del freddo (gelido nel Nord Ovest) e soprattutto della neve: sul quando e se solo in montagna o anche in pianura.
Le nebbie persistenti nelle combe - con invece altipiani, colline e montagne al sole - dureranno soltanto fino a domani.
Tra martedì e mercoledì un primo flusso perturbato occidentale porterà nuvole e forse qualche prima debole nevicata sulle Alpi Marittime e Cozie, con fiocchi possibili sino ai fondovalle nella prima mattinata di mercoledì. Il freddo di buriana comincerà invece a fluire da Est da giovedì per poi raffreddare drasticamente le temperature di Piemonte e Vallée nelle zone a ridosso delle Alpi, il Cuneese in particolare. In poche ore le temperature dovrebbero crollare di sei-sette gradi: nel fine settimana si prevedono valori minimi di 7-9 gradi al di sotto dello zero e oltre -10° in quota.
La prima vera neve è attesa già nella notte di Capodanno un po’ su tutto l’arco alpino meridionale, mentre tra sabato sera e domenica mattina i fiocchi potrebbero arrivare anche in pianura sul Basso Piemonte.
Fulvio
Romano

lunedì 30 novembre 2015

Il Tempo della Settimana

LA STAMPA

Cuneo

Nebbia in pianura
ma l’inverno
tarda ad arrivare

«Santa Bibiana, quaranta dì e ’na smana»: così recitava un antico detto della civiltà contadina, attribuendo al 2 dicembre l’impegnativo ruolo di «marcatore» del clima della nuova stagione. Soltanto a Sant’Antonio abate, il 17 gennaio, avrebbe potuto cessare il «comando» di Bibiana, permettendo un cambio del tempo. Mercoledì 2 e per tutta questa settimana, l’inverno arretrerà sul Nord Ovest, ricacciato indietro da una nuova avanzata dell’alta pressione atlantico-subtropicale, che allontanerà nuvole e piogge, riportando invece nebbie sulla Pianura padana e tepori da inversione termica sulle Alpi.
Cieli sereni e temperature in aumento, quindi, sugli altipiani e in montagna, con lo zero termico che progressivamente salirà fin oltre i 3000 metri di quota, con danno per la neve caduta o «sparata» sulle piste dagli addetti delle stazioni sciistiche, approfittando dei geli dei giorni scorsi.
Al contrario, soprattutto da giovedì, le nebbie oscureranno la bassa pianura, mentre un’offensiva perturbata prevista per venerdì si esaurirà sui contrafforti alpini settentrionali. Fine settimana senza nubi, ma con valori termici in calo, forse in vista di un’offensiva perturbata che qualche modello meteorologico pronostica per l’Immacolata.

Fulvio Romano

giovedì 3 settembre 2015

Tra i disperati del moscato dove comandano i caporali

LA STAMPA

Italia

Contratti fittizi e lavoratori sottopagati



(nota del blogger: il paradosso è che il collaboratore de La Stampa minacciato probabilmente - se ha il contratto tipo dei collaboratori- prende ancor meno dei migranti sfruttati: circa 10 euro a pezzo che, vedendo il tipo di servizio-coprono alcune ore di lavoro)


Ma ecco il servizio :

Io contratto. Io prende sei euro l’ora. Cooperativa pagare contributi. No capisce. No parla italiano». A dirlo è Stevo, macedone che aspetta il pulmino in piazza Unione Europea alle 6.15. Roman, bulgaro verrà caricato poco dopo le 7.20 davanti allo stadio di Canelli. Janko, romeno, il passaggio per la vigna lo aspetta alle 7.25 sulla provinciale che porta a Santo Stefano Belbo. Un mantra imparato a memoria da ripetere ai giornalisti, ai Finanzieri, ai carabinieri, all’Ispettorato del lavoro. C’è qualcosa di diverso in questa vendemmia del moscato. C’è molta più tensione. Ci sono i caporali arrabbiati perché manca la manodopera e le forze dell’ordine, così come i giornalisti, ficcano un po’ troppo il naso. Sono passati 12 mesi dall’ultima raccolta delle uve. Dalle scene di braccianti caricati all’alba su vecchi pulmini e scaricati all’imbrunire. Prima l’appuntamento, per regolari e irregolari, era in piazza Unione Europea tra le 6 e le 7,30. Ora i punti di carico si sono moltiplicati per complicare il lavoro a chi deve fare i controlli. Gli appelli si devono fare in pochi minuti perché la strada per i vigneti è da imboccare il prima possibile senza lasciare tracce. 
Alle 7,10 di ieri circa una cinquantina di braccianti cammina in fila indiana lungo la massicciata della ferrovia dismessa che attraversa Canelli. Silenziosi camminano a passo spedito per raggiungere il piazzale dello stadio comunale. L’appello si fa in meno di 5 minuti. La «padrona» urla i cognomi. I contadini hanno fretta di partire con i loro vendemmiatori in affitto. Alle 7.20 il parcheggio è vuoto e della conta non una traccia. Al cimitero, dall’altra parte della città, la scena è simile. Poi alle 8, quando tutti gli «assunti» sono al lavoro, i capi delle coop - difficile stabilire se quelle regolari - vanno a caccia di chi non ha contratto. Di altre mani a cui affidare i forbicioni. Basta avere una zaino sulle spalle, gli abiti sdruciti ed il volto da migrante per essere fermati. Una stretta di mano e una firma su un contratto che vorrebbe sbiancare, ma solo ingrigisce, il lavoro nero. 
È questo il trucco usato dalle coop spietate: far firmare un contratto senza orario o giornate prestabilite: un mese di collaborazione per la vendemmia. In busta paga, poi, ci finiscono 4 o 5 giorni, 40 o 50 ore lavorative: il resto tutto in nero, pagato in contanti una volta scesi dal furgone all’imbrunire. C’è chi si accontenta di 3 euro, chi ne vuole 4 e chi non scende sotto i 5, poco sotto i 6,04 euro l’ora netti da contratto regolare. A fare il prezzo della fatica è il contratto firmato dalla coop con i contadini. «Posso farti 600 euro ad ettaro - propone un presidente di coop se ti spacci per vignaiolo - Tutto in nero. Con la fattura ne voglio 1000». Per vendemmiare un ettaro di moscato in un giorno servono 10 uomini pronti a lavorare anche 10 ore senza sosta. La coop deve pagare il pulmino e un po’ di tasse, ma soprattutto ci vuole guadagnare ed ecco come i famosi «Io contratto, io 6 euro l’ora» diventano paghe da fame. «I macedoni ci odiano, ci trattano come bestie», dicono i bulgari. «I bulgari sono mezzi zingari che non sanno lavorare», urlano i macedoni. L’odio monta. La sera scorrono fiumi di birra da discount e qualche zuffa non è merce così rara. 
RICCARDO COLETTI


domenica 8 febbraio 2015

Il Tempo e i dati della nevicata(da La Stampa)

LA STAMPA

Cuneo

Torna il sole
più caldo
in montagna


Dopo quattro giorni e quattro notti di nevicate, a tratti miste a pioggia ma quasi ininterrotte, il sole torna oggi sul Cuneese e la Granda e promette di restarvi a lungo. 
La rimonta dell’alta pressione riporterà inizialmente le foschie sulle piane basse e i noti fenomeni di inversione termica, ma da questa sera saranno i secchi venti di Foehn a rialzare qua e là le temperature fino all’alba di domani. Penetrano sul Piemonte dalla barriera alpina settentrionale e dovrebbero investire anche il Cuneese ripulendo il cielo, abbattendo l’umidità ma lasciando poi campo a temperature gelide in pianura. 
Infatti da domani si estenderà il dominio dell’anticiclone delle Azzorre che, svanito l’effetto dei venti di caduta, provocherà quel «tappo pressorio» che, se aumenterà le temperature in quota, porterà le colonnine in pianura abbondantemente sotto lo zero, con gelate aggravate dalla copertura nevosa del terreno. 
Mentre questo quadro meteo promette di durare almeno fino a metà febbraio, si fanno i conti statistici delle 96 ore di nevicate provocate dal ciclone perturbato che ha insistito così a lungo sul mar Ligure. La durata dei fenomeni è da record: una tale insistenza dei fiocchi, più o meno acquosi, la si ricorda soltanto per la nevicata di 69 ore del gennaio-febbraio 1902, oppure per i 120 centimetri caduti, in 72 ore, dal 22 al 25 marzo del 1754. 
Quest’anno a Cuneo si sono misurati «soltanto» 83 cm in 96 ore, anche se la neve al suolo è poi calata a 50-60. Eccezionale lo strato accumulato ai 1875 metri della pista del Pancani a Limone: 271 cm al suolo, di cui 190 in questo evento. È la zona in cui, grazie all’esposizione verso il mar Ligure, è nevicato di più. 
Altrove, nelle valli vicine, l’apporto è di circa 100- 110 cm o poco più, mentre sugli altipiani ci si attesta sugli 85 cm, scesi a una cinquantina per la pioggia e il peso.
romano.fulvio@libero.it 

Fulvio Romano

lunedì 8 dicembre 2014

Tra stanotte e domani arriva la neve (La Stampa)

LA STAMPA

Cuneo

Tra stanotte
e domani
arriva la neve

Fulvio Romano

La svolta invernale arriverà tra oggi e domani, proprio in occasione dell’Immacolata. Un antico detto diffuso tra Provenza e Piemonte sanciva la ritualità stagionale di questa data, dedicata alla Madonna d’Avvento»: «Madòna d’Avént, pieuva e vent, tira ’l tò bônèt fin-ai dent». E saranno - a quanto pare- i rovesci di pioggia e di neve a far «calare i berretti fino ai denti», ad esclusione di Biellese e Verbano.
Protagonisti della prima comparsa in scena dell’inverno 2014-15 saranno infatti i rèfoli gelidi e i primi fiocchi che cadranno, se non alle quote più basse, almeno sugli altipiani del Cuneese. Un vortice di bassa pressione alimenterà nevicate improvvise dapprima su quote medio alte dell’arco alpino meridionale-centrale, quindi - nella notte e nel mattino di domani- sui fondovalle e su quote di alta pianura, attorno ai 400-500 metri.
Il maltempo, previsto solo a Sud del Po, non durerà molto, ma potrà provocare problemi alla circolazione, visto che la quantità prevista è di una ventina di millimetri di acqua, con temperature via via al ribasso, fino a valori sotto lo zero. Il freddo, anche sotto norma di alcuni valori, sarà poi, con il cielo sereno, il protagonista del resto della settimana.



domenica 13 luglio 2014

Quella "generazione Telemaco" già così pronta a lasciare Itaca ...

LA STAMPA

Italia

Piccoli geni italiani crescono

ma hanno già le valigie in mano

I 90 diciottenni più talentuosi riuniti dalla Normale di Pisa

parlano di lavoro, politica, informazione e tempo libero

C’è un’Italia nuova, una «generazione Telemaco», ha ricordato una settimana fa il premier Matteo Renzi nel presentare le linee guida del semestre italiano davanti al Parlamento Europeo. La «generazione Telemaco» esiste davvero e si sta preparando a conquistare il suo posto nella vita ma non è detto che quel posto sia in Italia. Siamo entrati nel corso di orientamento universitario organizzato dalla Normale di Pisa e ospitato all’Accademia dei Lincei per i migliori cervelli della leva del 1996 e dintorni, quelli che in gran parte il prossimo anno supereranno con lode la maturità. Sono novanta in totale, scelti sulla base dei voti ma anche della regione di appartenenza per offrire quest’opportunità ai ragazzi di tutt’Italia e di un’autodescrizione in mille caratteri. «In questo modo abbiamo capito chi aveva quel guizzo che volevamo», spiega il direttore del corso, Fabio Beltram.

Sono i cervelli migliori, quelli che in gran parte perderemo: dei cinque disposti a farsi intervistare solo una ha detto che vorrebbe restare, gli altri sono stati più netti, hanno precisato che la loro vita è all’estero anche se l’Italia è il Paese più bello del mondo. Sono ragazzi disincantati, privi di confini ma anche di illusioni. Non leggono i giornali perché preferiscono usare il loro tempo libero per prepararsi a superare i test necessari per entrare nelle università straniere. Ma sono informatissimi comunque, e aspettano Renzi al varco se non dovesse mantenere le sue promesse. Come ogni buona generazione-Telemaco deve fare.

flavia amabile

venerdì 11 luglio 2014

Dal Bicameralismo perfetto al Senati delle autonomie: da un'anomalia all'altra...

LA STAMPA

Cultura

Linizio

di una nuova

transizione

Perduto e ritrovato nel giro di poche ore, l’accordo che consentirà lunedì di far approdare nell’aula di Palazzo Madama il testo della riforma del Senato non sarà storico (troppe volte l’aggettivo è stato usato a vanvera).

Ma questo testo è certamente rilevante, anche se occorrerà aspettare la fine del primo giro di votazioni per valutarne in pieno la portata. Dopo tanti fallimenti (sono trenta e più anni che si parla di cambiare la Costituzione) l’intesa tra centrosinistra, centrodestra e Lega, pur destinata a scontare una folta pattuglia trasversale di dissidenti, con tutti i limiti possibili rappresenta un’applicazione del metodo costituente, quello con cui, quasi settant’anni fa, partiti di diverse o opposte tradizioni e culture politiche cercarono e trovarono un compromesso sul testo della Carta che oggi si cerca di rinnovare.

In tempi in cui la politica è ridotta com’è ridotta, non è poco. A risultato raggiunto, se davvero ci si arriverà – non va dimenticato che questa è la prima di quattro letture, da svolgersi a intervalli non inferiori a tre mesi –, Renzi incasserà la maggior parte del merito, ma tutti i contraenti del patto, Berlusconi, Alfano, Salvini, i centristi delle diverse sponde, ne ricaveranno un vantaggio in termini di credibilità e di ruolo politico.

La lunga transizione degli ultimi vent’anni si era infatti arenata sulla convinzione sbagliata che ognuno potesse farsi la Costituzione da solo. Dopo la fine della Prima Repubblica e la nascita della Seconda con i referendum elettorali del 1991 e ’93, tutti i tentativi di incontro, le commissioni bicamerali, i patti segreti provati e riprovati nel corso di due decenni erano miseramente falliti. Il risultato era stato che, prima il centrosinistra, con la raffazzonata riforma del Titolo V (poteri esclusivi delle regioni) nel 2001, e poi il centrodestra con la Devolution (versione assai approssimativa del federalismo chiesto dalla Lega) nel 2006, si erano fatti ciascuno la propria riforma. Un fallimento dopo l’altro e una quantità di conflitti istituzionali finiti sulle scrivanie dei giudici della Corte Costituzionale erano stati i soli effetti di quest’anomala stagione riformatrice.

Per ritentare, e costringere forze politiche ormai incapaci di costruire relazioni politiche, neppure normali, ma minimamente serie, ci voleva Renzi, con la sua voglia di cambiare e la sua volontà di ferro. Ma prima ancora, va ricordato, c’era voluto Napolitano. Quando un sistema politico giunto all’impotenza e non in grado di eleggere la carica più alta dello Stato s’era rivolto a lui, poco più d’un anno fa, per chiedergli la disponibilità ad accettare un secondo mandato, l’anziano Presidente aveva posto una sola condizione: si facciano le riforme, e se non si fanno, il primo a dimettermi sarò io. Ciò che è accaduto dopo è dipeso da questo.

Non siamo tuttavia alla fine della transizione. Siamo purtroppo nuovamente all’inizio. La riforma del bicameralismo era indispensabile per cercare di avvicinare l’Italia a tutte le democrazie moderne in cui i meccanismi istituzionali funzionano più rapidamente e con più efficacia del nostro. Ma il problema, è inutile nasconderselo, non era solo la ripetitività del lavoro di due Camere che facevano esattamente le stesse cose. Piuttosto che le facevano con due maggioranze differenti e, nei fatti, spesso opposte: tal che il governo che proponeva ai deputati un certo provvedimento sapeva che a un sì eventuale o condizionato della Camera sarebbe corrisposto poco dopo un no secco del Senato, o viceversa.

Da questo punto di vista, va detto, la riforma che sta per essere votata non dà affatto la garanzia di fornire una soluzione al problema. Perché, è vero che il compito di dare la fiducia ai governi e di affrontare la gran parte delle materie legislative sarà riservato ai deputati; ma è altrettanto vero che sui testi più delicati i senatori avranno il diritto di contestare, richiamandole e discutendole autonomamente, le decisioni appena prese dai loro colleghi di Montecitorio, che dovranno a loro volta riconfermarle con nuove votazioni se non vorranno accettare le richieste di modifiche avanzate dalla Camera alta. Inoltre, con l’elezione indiretta dei senatori da parte dei consigli regionali, e con la distribuzione proporzionale dei seggi tra tutte le Regioni, ciò che prima era possibile (ma è sempre accaduto), le maggioranze diverse tra Camera e Senato, diventa sicuro. Avremo, anzi, un Senato a maggioranze variabili, politiche e geografiche, in cui le appartenenze politiche si mescoleranno, chissà come, alle radici locali e ai caratteri personali. In altre parole, usciamo da un’anomalia – il bicameralismo perfetto – per infilarci in un’altra, che non a caso doveva chiamarsi Senato delle autonomie, al plurale. Che Dio ce la mandi buona.

Marcello Sorgi


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giovedì 10 luglio 2014

Il segnale d'allarme dei mercati (Franco Bruni )

LA STAMPA

Prima Pagina

Il segnale

d’allarme

dei mercati

A volte sembra che il dibattito economico italiano ed europeo dia per scontato che la crisi globale che ha colpito il mondo sette anni fa sia finita. Che sia rimasta solo l’ombra: una crescita lenta e diseguale e troppa disoccupazione. Un’ombra che potremmo cacciare con una spinta alla domanda, meno rigore, qualche riforma ovvia.

Anche se in diversi Paesi e per certi aspetti la ripresa è evidente, lo strascico della crisi è purtroppo ben più di un’ombra.

È logico che sia così, visto ciò che ha causato la crisi: cioè anni di eccesso di indebitamento pubblico e privato, un po’ in tutto il mondo, debito in gran parte diretto a mascherare l’inefficienza delle pubbliche amministrazioni e di molte imprese e banche, nonché a coprire gli squilibri nella distribuzione dei redditi e nella gestione dei bilanci delle famiglie.

Nelle economie avanzate, in particolare, il declino tendenziale della produttività e la cattiva allocazione delle risorse, datano da molto prima dello scoppio della crisi. Il debito cresceva per nascondere il malfunzionamento delle economie, per far sembrare sereno un sentiero di crescita che invece non era sostenibile.

Se questo è stato il guaio, non se ne esce in fretta, perché occorre correggere insieme le due malattie collegate: l’eccessivo indebitamento e l’inefficienza dell’economia. Ridurre l’indebitamento significa far scarseggiare il credito, cioè rendere più difficile la riorganizzazione economica. Un dilemma per risolvere il quale non ci sono scorciatoie: occorre un lungo e rigoroso sforzo di equilibrio acrobatico per riprendere una crescita sostenibile con meno debiti.

Per ora la crisi ha visto i debiti continuare a crescere. Nelle economie avanzate, in rapporto al Pil, i debiti, pubblici e privati, sono passati dal 240% del 2006 al 275%, nonostante la faticosa frenata dei deficit del fisco di alcuni Paesi. Nelle economie emergenti l’aumento del debito è ancora più forte: anche la loro crescita, che per un po’ era sembrata il nuovo motore dell’economia mondiale, appare oggi meno sostenibile, più instabile, squilibrata e artificiosa, sostenuta da precari boom finanziari.

L’eccesso di debito frena gli investimenti e con essi la buona crescita. Inoltre il debito rende vulnerabile ogni avvio di ripresa: basti pensare che cosa succederebbe se i tassi di interesse controllati dalle banche centrali cominciassero ad aumentare per avvicinarsi alla normalità. Ma i tassi mantenuti bassi così a lungo creano una «trappola della liquidità», dove basta si diffonda il timore di un loro rialzo perché crollino le borse, i cambi delle valute si scompaginino, gli operatori finanziari rischino la crisi. Un rischio accresciuto dal fatto che lunghi periodi di liquidità sovrabbondante e pressoché gratuita incentivano speculazioni azzardate. Quasi come prima della crisi del 2007, oggi sono tornate a ridursi molto le differenze fra i rendimenti di investimenti finanziari che hanno rischi diversi. Quando i tassi non riflettono i rischi sembra che questi siano spariti, che tutto sia tranquillo, che ci sia «grande moderazione», come è stato chiamato il periodo dell’economia mondiale precedente la crisi. Se i mercati stessero esagerando, se si sentissero troppo al sicuro, più di quanto vorrebbero le stesse banche centrali? Sarebbe di nuovo la quiete prima della tempesta.

E’ vero: molte banche si sono irrobustite, hanno aumentato il capitale e ridotto l’indebitamento. Ma ciò è costato un razionamento del credito che ha sfavorito anche gli impieghi più innovativi e preziosi per la crescita. Inoltre, soprattutto in Europa, la fragilità di molte banche, di varia dimensione, è ancora evidente sia nell’ammontare inadeguato del loro capitale che nel rischio dei loro impieghi. L’applicazione dei criteri per valutare i rischi bancari è ancora diversa nei vari Paesi, e la fiducia dei mercati ne soffre, scossa com’è anche dall’emergere di scorrettezze clamorose nel comportamento di alcuni intermediari. Potrebbero diffondersi, più o meno giustificatamente, voci su difficoltà di una o più banche, qua e là nel mondo, anche di dimensioni rilevanti. I mercati potrebbero diffondere il panico e mettere di nuovo alla prova la stabilità finanziaria mondiale.

Ce n’è abbastanza perché l’Ue smetta di guardarsi l’ombelico baloccandosi coi falsi dilemmi fra regole e flessibilità, fra rigore e crescita, mentre non è nemmeno in grado, per esempio, di avviare sul serio l’armonizzazione delle tassazioni nazionali di imprese e banche. Deve sbrigarsi a coordinare e assistere il processo di profonde riforme strutturali che, in modi diversi, è necessario in tutti i Paesi membri per aumentare la loro produttività e competitività. Le iniziative di Bruxelles devono inoltre subito far fare un salto di qualità alla solidità dell’economia europea, mettendo in comune risorse più consistenti per finanziare progetti coordinati di investimento e per accantonare quanto serve a rassicurarci contro i rischi finanziari globali che potrebbero ripresentarsi. Deve rilanciare la concertazione mondiale per migliorare la regolamentazione finanziaria e coordinare le politiche monetarie. La diagnosi della salute delle banche, con cui si avvierà l’unione bancaria europea, non deve lasciar adito a dubbi di sincerità e devono rapidamente aumentare i fondi che, in modo solidale, sono disponibili per capitalizzare meglio le banche e facilitarne la ristrutturazione. I cittadini europei devono sentire che l’Europa è consapevole, oltre che delle opportunità, dei rischi di un mondo dove nessuno dei suoi Paesi potrebbe farcela da solo.

Franco Bruni


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martedì 1 luglio 2014

Ma come funziona il semestre europeo? E quali poteri avrà Renzi?

LA STAMPA

Italia

Come funziona il semestre

e quali poteri ha la Presidenza

Un compito di proposizione e mediazione tra i vari Paesi

e L’Italia è presidente dell’Unione, e lo sarà per i prossimi sei mesi. Un’opportunità vera o solo un’altra parata? «Una volta era meglio, ma anche oggi non ci si può lamentare. Sino al 2009, ovvero sino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha riformato l’Unione europea e i suoi poteri, essere presidente di turno voleva dire avere titolare del banco in tutte le principali riunioni del Consiglio, l’organo in cui sono rappresentati i governi nazionali. Poi le cose sono cambiate. Il Consiglio Europeo in cui siedono i capi di stato e di governo - cioè tutti i Merkel, Hollande e Renzi d’Europa - è condotto da un presidente dotato di un mandato quinquennale, in questo momento il fiammingo Herman Van Rompuy. E anche i Consigli Esteri e l’Eurogruppo hanno un loro apposito nocchiero, attualmente la britannica Ashton e l’olandese Dijsselbloem». r E allora cosa resta
al presidente di turno?
 «Restano tutte le altre riunioni ministeriali, dall’Ecofin allo Sport, passando per Interni, Giustizia e Industria, che si tengono regolarmente fra Bruxelles e Lussemburgo. Ad esempio, il consiglio dei ministri dell’Ambiente nei prossimi sei mesi sarà pilotato dal ministro dell’Ambiente italiano. E così via». t Che significa, in concreto? «Il presidente prepara l’agenza, dunque stabilisce quali provvedimento debba essere discussi e quanto. E’ lui che deve portare al compromesso in genere necessario, lui che media fra le parti e chiude le discussioni sui vari dossier. E’ arbitro e motore delle decisioni, un ruolo molto delicato che richiede capacità, esperienza e senso negoziale. Può essere come il mossiere al Palio, è lui che decide quando si parte. Una buona presidenza si valuta anche dal numero, e dalla qualità, dei provvedimenti che vengono adottati o ben impostati nel semestre di mandato». u Sotto la luce della ribalta e dietro le quinte, no? «La procedura europea prevede che ogni dossier, prima di arrivare in Consiglio, venga discussa dai rappresentanti permanenti nell’ambito del Coreper, organo che riproduce a livello di sherpa e la formazione del Consiglio stesso. Nei prossimi sei mesi saranno gli italiani a condurre le danze, loro a cercare di accelerare i provvedimenti più importanti, loro a portare i partner verso l’intesa possibile». i Finisce qui? «No, nient’affatto. La presidenza è una passerella importante per i paesi. Anzitutto, il premier e i ministri diventano interlocutori del parlamento europeo, l’uno per il programma, gli altri per i loro singoli dossier. In secondo luogo, c’è la prassi di organizzare riunioni informali del Consiglio nel paese della presidenza. Il governo italiano ha deciso di puntare sull’Expo di Milano per ospitare queste riunioni, dunque la città lombarda vedrà arrivare i ministri dell’Ecofin come degli esteri». o Un occasione per farsi
un poco di pubblicità?
 «Anche questo. Nel corso del semestre si organizzano mostre, eventi, spettacoli, e sagre popolari. Per noi si va dall’infinito di Pistoletto nel palazzo del Consiglio al torneo di calcio dei club di tifosi italiani a Bruxelles che si giocheranno in settembre la Coppa della presidenza in concomitanza col passaggio delle Frecce Tricolori. Il programma è ancora da definire con precisioni. Anche in questo, c’è un poco di Italia e, comunque, tutto quanto fa spettacolo..» p E’ una stagione dura? «I semestri vengono attribuiti sulla base del calendario e di un meccanismo legato alla rotazione alfabetica dei nomi dei Paesi. L’Italia capita in un momento particolare, comincia con la nuova legislatura del parlamento Ue e nella fase di designazione dei nuovi vertici europei. Oltretutto, essendo la seconda metà dell’anno, il regno dura solo cinque mesi, perché in agosto è tutto fermo. Difficile in questa fase chiudere molti capitali, ma sarà importante vedere cosa sarà avviato. Soprattutto, come promette il premier Renzi, sul fronte della crescita e dell’occupazione». a Come è andata in passato? «Questa è la dodicesima presidenza italiana dal 1959. Due volte è cambiato il governo durante il semestre, nel 1968 e nel 1996. Una presidenza storica fu quella del 1990, in cui il presidente del Consiglio Andreotti attirò la britannica Thatcher in un vero e proprio trappolone politico e spianò la strada verso il varo del progetto di moneta unica che sarebbe stato varato l’anno dopo a Maastricht. Fu un colpo davvero basso. Ma senza, oggi, potremmo anche non avere la moneta unica».

a cura di

Marco Zatterin

sabato 7 giugno 2014

Vodafone: è l'Italia il paese più spione d'Europa

LA STAMPA

Prima Pagina

Rapporto Vodafone

È l’Italia

il Paese

più “spione”

d’Europa

La Vodafone, svela in un suo rapporto, nel 2013 ha ricevuto 605.601 richieste di accesso ai suoi tabulati telefonici da parte delle autorità giudiziarie italiane. Un record, tra i 29 Paesi serviti dall’azienda britannica. La Francia ne ha chiesti tre, il Belgio due. Tante anche le richieste di intercettazioni: 140.557 nel 2012, contro, ad esempio, le 2760 della Gran Bretagna.


“Telefoni, dai governi controlli diretti”

Il documento di Vodafone: in Italia boom di verifiche, ma solo su richiesta della magistratura

La coincidenza, se davvero è solo una coincidenza, è quanto meno curiosa. Un anno fa – grazie alla talpa Snowden e al giornale Guardian – gli americani scoprivano che il grande fratello non è solo un libro e un format tv. E che le loro vite digitali sono ben monitorate dall’Nsa, l’agenzia di sicurezza nazionale. Sono passati dodici mesi di dibattito globale e, ieri, anche a noi italiani è toccata una sorpresa. È tutta in un numero: 605.601. In un anno, nel 2013, le autorità italiane hanno chiesto 605.601 volte a Vodafone di avere accesso ai tabulati dei suoi utenti. Più di qualunque dei 29 Paesi serviti dall’azienda britannica. A una media di 1.659 richieste al giorno, compresi festivi.

E il record è pure provvisorio, perché riguarda solo uno dei quattro principali gestori italiani. In proiezione, contando anche gli altri, si può immaginare una cifra tre volte superiore.

La notizia arriva da un rapporto proprio di Vodafone, che ha svelato i dettagli sulle attività di sorveglianza telefonica negli Stati raggiunti dalle sue reti. Nelle pagine dedicate all’Italia scopriamo anche il numero di intercettazioni telefoniche condotte nel nostro Paese: ben 140.557. Questo dato si riferisce però al 2012, riunisce tutti gli operatori e – in realtà – era già pubblico: Vodafone l’ha pescato da una relazione del Ministero della Giustizia.

Così, a far discutere sono soprattutto loro: i “metadati”. Quelli al centro dello scandalo “datagate” di Snowden, le tracce lasciate sui tabulati da ogni nostra chiamata o sms. Numeri, date, minuti di conversazione, localizzazione di chi chiacchiera. Non i contenuti delle telefonate (o sarebbero intercettazioni), ma comunque dati sensibili e privati.

La buona notizia è che avviene tutto alla luce del sole, anzi della legge. Per sbirciare nei tabulati, le autorità devono muovere una richiesta formale e serve sempre l’ok di un giudice. Le informazioni devono essere utili per un’indagine in corso e – almeno a quanto ne sappiamo oggi – non vengono raccolte “a tappeto”.

Certo è che oltre 600 mila richieste, per un operatore che in Italia ha circa 30 milioni di schede “sim” attive, sono un bel numero. Gli esperti spiegano: fare confronti con gli altri Paesi è fuorviante, perché ogni nazione ha leggi e procedure diverse. Ma tra gli oltre 600 mila tabulati richiesti dai pm italiani e i tre della Francia o i due del Belgio passa comunque una differenza abissale. Che salta all’occhio.

Tra quelli serviti da Vodafone, l’unico Paese che si avvicina è la Tanzania, ma siamo ancora lontani: 98.765 richieste di metadati. Numeri elevati anche per la Spagna – 48.679 – e per Malta, che ha una popolazione di soli 420 mila abitanti ma ben 3.773 domande all’attivo.

Peggio va nei Paesi che possono invece saltare il passaggio della richiesta formale. È l’altra grande rivelazione fatta ieri da Vodafone: in circa sei di quelle 29 nazioni esistono cavi segreti, per ascoltare le telefonate dei cittadini in modo diretto. Senza bisogno di permessi. Una forma di intercettazione continua e, quella sì, a tappeto.

In quali Paesi corrano questi cavi non è dato sapere, perché sul punto l’azienda – per evitare ritorsioni ai dipendenti – ha deciso di mantenere il segreto. Ma restringere il campo non è difficile. In nove dei 29 Stati serviti da Vodafone è vietato rivelare qualunque informazione sulle intercettazioni. Questi Paesi sono Albania, Egitto, Ungheria, India, Malta, Qatar, Romania, Sudafrica e Turchia.

stefano rizzato


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lunedì 27 gennaio 2014

Le giornate della Merla portano neve...

LA STAMPA

Cuneo

Le giornate

della merla

portano neve

La tradizione contadina usava un racconto per spiegare i tardivi ritorni del freddo invernale. L’arroganza della Merla, che il 28 aveva osato già cantare la primavera, fu punita da Gennaio nei tre giorni seguenti (ottenuti da Febbraio, che invece, prima, di giorni ne aveva 31) con un gelo rimasto da allora proverbiale. E i «Dì ’d laMerla» sembrano quest’anno in grado di portare la neve in pianura, grazie ai flussi nord atlantici raffreddati da contributi che spirano dall’Artico. Passate le tiepide giornate di Foehn, trascorsi i primi due giorni della settimana con nuvole sulle Alpi, fiocchi su Alto Verbano e Ossola ma quasi sereno altrove, sarà il mercoledì a portare una spruzzata bianca su Vallée e Piemonte, fin dalla mattinata. L’ accumulo più importante, 20cm, tra entroterra ligure e Cuneese specie nella serata-nottata di mercoledì. I fiocchi nella notte si sposteranno tra Biella e Novara, concedendo nella mattina seguente una breve tregua. Da venerdì saranno le piogge a prevalere su gran parte della regione, mentre sul Basso Piemonte è prevista neve ma a quote più alte, sopra i 500 mt. E non sarà finita, perché la perturbazione si attarderà sul Nord Ovest sabato e domenica, con piogge sparse che diventeranno neve a quote di alta collina, grazie ai flussi più temperati in arrivo dal mar Ligure.

Fulvio Romano

domenica 5 gennaio 2014

Rusconi: Matteo, di' qualcosa di europeo..!

LA STAMPA

Cultura

Matteo, di’ qualcosa di europeo

Dopo anni di retorica europeista è arrivato un generalizzato risentimento anti-europeo, perché la dura realtà sociale ed economica viene da molti imputata univocamente «all’Europa» o a «Bruxelles». Le elezioni europee ci piomberanno addosso interamente strumentalizzate in questo senso e si sovrapporranno fatalmente alle elezioni italiane.

Sintomatica è la mossa di Forza Italia, disposta a trattare le proposte elettorali di Renzi solo a patto che si arrivi ad un election day che faccia coincidere le consultazioni nazionali con quelle europee. E’ una mossa insidiosa. La possibilità di sfruttare tempestivamente il crescente malumore anti-europeo porterà Berlusconi a non insistere troppo sui dettagli del nuovo sistema elettorale - pur di sfruttare l’occasione a proprio vantaggio. In questa direzione si muoverà lo stesso Grillo dietro la cortina fumogena delle sue aggressive esternazioni.

Il Pd è molto debole sulle questioni europee. Renzi ribadisce genericamente la possibilità di «sforare il vincolo del 3% del rapporto tra deficit e Pil» come se fosse una bazzecola. Sulla politica dell’euro, sul ruolo delle istituzioni europee si sentono solo affermazioni benevolmente generiche. Come pure sulla Germania, la nazione che di fatto è in grado di determinare l’orientamento europeo. In proposito Renzi non ha mai detto nulla di significativo e soprattutto di comunicativamente efficace - come ci si attenderebbe dal suo stile mediatico. In realtà sull’Europa e sulla Germania non si possono fare battute. Occorre un discorso articolato e convincente per l’elettorato del Pd che è molto perplesso. Non mi è chiaro se Renzi è in grado di farlo.

Nell’area di maggioranza, tutte le proposte avanzate per rimettere in moto la politica e l’economia nazionale danno per acquisito e immutabile il quadro contestuale europeo così come è oggi, con i suoi vincoli. In questa ottica si muove il governo di Enrico Letta preoccupato innanzitutto di dimostrare la sua lealtà europea. Dopo le contraddittorie e velleitarie mosse dell’ultimo Mario Monti, travolto poi dai suoi stessi errori, l’Italia non ha una linea profilata e attiva sulle questioni europee. Per la stampa tedesca l’unico «italiano» che conta è Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea. Ma lo scrive con ambivalenza.

Sin tanto che le cose staranno così, l’Italia non uscirà mai dalla sua posizione marginale sulle questioni europee. Manca un discorso pubblico adeguato. Su questo punto l’offensiva comunicativa di Renzi è assente. Ma non può non sapere che l’anti-europeismo (comunque declinato) sarà uno dei motivi dominanti della prossima campagna elettorale.

Essere anti-europei oggi è sin troppo facile, mentre ribadire le ragioni dell’Unione europea è diventato molto impegnativo, perché non può coincidere con la semplice accettazione dello status quo. Anche i critici più benevoli non possono negare che sono emersi «errori di costruzione», in parte risalenti agli stessi Trattati di Maastricht che esigono di essere corretti - senza sfasciare tutto come temono i tedeschi.

Occorre reinterpretare criticamente la fortunata affermazione di Angela Merkel, con la quale la cancelliera ha vinto le ultime elezioni tedesche e continua a condizionare i partner europei - «se fallisce l’euro, fallisce l’Europa». E’ una tesi efficace che ha tuttavia il sottinteso non detto che l’euro di cui parla la Merkel, l’euro che non deve fallire, è quello che segue puntigliosamente le regole, le norme e i vincoli che hanno funzionato sinora. Esasperano le differenze, anziché promuovere convergenze solidali - come era stata la promessa della moneta unica. Ostacolano ogni proposta correttiva e soprattutto ogni forma di allentamento del cosiddetto «rigore» (eurobonds, iniziative sospette della Bce ecc.) con il ricatto che altrimenti tutto si sfascia.

Su tutto questo vigila la Germania della cancelliera Merkel che, preservando legittimamente il suo efficiente sistema produttivo, gode di uno straordinario consenso popolare e del sostegno delle sue autorevoli istituzioni (dalla Corte costituzionale alla Bundesbank). La Germania oggi è un’autentica fortezza democraticamente fondata. Contro questo paradosso non sta in piedi nessuna facile demagogia anti-tedesca.

E’ in grado Renzi di affrontare questa problematica e di spiegarla agli elettori del Pd? A questo proposito il partito democratico potrebbe fruttuosamente stabilire rapporti di lavoro con la socialdemocrazia tedesca, che con la formazione della Grande Coalizione ha conquistato una posizione molto importante. Certo: la coalizione guidata dalla cancelliera Merkel è fondata sullo «scambio politico» per cui la Spd può dedicarsi alla realizzazione di una coraggiosa politica sociale interna purché non interferisca con la linea politica del rigore per quanto riguarda l’Europa e «la difesa dell’euro», nel senso appunto inteso dalla Merkel. Ma molti socialdemocratici nutrono forti critiche verso questa linea. Condividono molte idee e proposte che possono essere sostenute anche dal Pd: dal «fondo salva-stati» dotato di maggiori poteri e ancorato al Parlamento europeo, a modifiche dello statuto Bce perché si avvicini al modello della Federal Reseve americana, e altre proposte in tema di fiscalità, riforma bancaria ecc.

Ma al di là delle singole proposte, occorre ricreare convergenze tra le grandi forze progressiste europee per uscire dallo stallo politico in cui si è cacciata l’Unione europea. Scongiurare che il prossimo Parlamento europeo venga paralizzato dalla presenza chiassosa e irresponsabile di forze ostili alla rifondazione di un’Europa che ha il coraggio di apprendere dagli errori che hanno portato alla sua crisi attuale.

Gian Enrico Rusconi


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sabato 23 novembre 2013

La parentopoli che uccide il Paese...

LA STAMPAweb

Italia

La parentopoli e il grande deficit

Biglietti clonati per finanziare un fondo nero di quasi 70 milioni che i partiti avrebbero usato come un bancomat, forti di un patto bipartisan che nessuna amministrazione ha fino ad oggi sciolto. E’ il sistema Atac, l’azienda di trasporto pubblico romana, sull’orlo del fallimento con un buco che sfiorerebbe 1,2 miliardi di euro. Grazie anche a 854 assunzioni per chiama diretta. Una vera parentopoli, con mogli, figli e generoni dei big della politica capitolina. Un’azienda con 250 amministrativi di troppo mentre mancano autisti, meccanici e controllori. E così ogni giorno il 40% dei bus resta fermo in deposito e quelli che girano cadono a pezzi. [P. R.]

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martedì 10 settembre 2013

Sorgi: Verso il disastro...

LA STAMPA

Italia

Il rebus della maggioranza alternativa

La crisi di governo temuta ed esorcizzata tante volte negli ultimi giorni è tornata ad aleggiare pesantemente ieri pomeriggio.

E le ventiquattro ore di sospensione delle ostilità - decise a tarda sera dopo il pomeriggio di guerriglia procedurale nella giunta per le elezioni del Senato tra il centrodestra, da una parte, e Sel e 5 stelle dall’altra, con il Pd in mezzo - sono l’ultima remota possibilità per cercare un compromesso e tentare di salvare Letta e le larghe intese. Sul salvataggio di Berlusconi, infatti, non scommette più nessuno: lui stesso, l’interessato, punta solo a un allungamento dei tempi, sperando che l’intreccio tra il nuovo giudizio della corte d’appello di Milano, annunciato per il 19 ottobre, l’inevitabile successivo ricorso per Cassazione che i suoi legali proporranno, nonché il pronunciamento della Corte europea per i diritti dell’uomo a cui s’è rivolto, producano un’inestricabile matassa giudiziaria e un rinvio sine die della condanna che lo riguarda.

Una pura illusione, stando all’atteggiamento con cui gli esponenti di M5s e il presidente Stefano (Sel) della giunta del Senato si sono presentati a Sant’Ivo alla Sapienza (nello stesso luogo in cui vent’anni fa Giulio Andreotti fu mandato a processo per mafia), obbligando il Pd a schierarsi con la linea dura che voleva arrivare subito, già nella prima seduta della giunta, a bocciare la relazione del Pdl Augello, favorevole a coinvolgere la Corte costituzionale nel riesame della legge Severino e ad aspettare la Corte europea prima di decidere.

Alla fine di un duro braccio di ferro s’è deciso di aspettare fino a stasera. Ma al di là della battaglia procedurale, politicamente il quadro è chiaro. La maggioranza Pd-Sel-5 stelle, con l’aggiunta solo leggermente più incerta di Scelta civica, manifestatasi contro Augello per bocciarlo, sarà la stessa che si raccoglierà a favore della decadenza di Berlusconi da senatore, non appena un nuovo relatore sarà nominato e la procedura potrà essere conclusa. Tempo previsto, al massimo, un mese, ma c’è chi pensa o dice anche una settimana.

Prima ancora, forse già stanotte, al più tardi domani, se la votazione della giunta avrà l’esito annunciato, il Cavaliere aprirà la crisi. Si vedrà allora se la nuova coalizione che ha preso corpo contro Berlusconi sarà in grado di esprimere un nuovo governo, che difficilmente, avendo una maggioranza diversa da quello attuale, potrebbe essere guidato da Letta. O se invece, malgrado gli sforzi di Napolitano per evitarle, si andrà a nuove elezioni. Un disastro.

Marcello Sorgi

lunedì 9 settembre 2013

Liberato Domenico Quirico de La Stampa

Siria, liberato il giornalista de La Stampa Domenico Quirico

L'inviato di guerra era stato rapito il 9 aprile scorso e da cinque mesi si aspettava il suo ritorno a casa. Il direttore de La Stampa Mario Calabresi: "Telefonata commovente di Emma Bonino e Enrico Letta"

Il giornalista de La Stampa Domenico Quirico è stato liberato. Rapito lo scorso 9 aprile mentre si trovava in Siria, è atterrato all’aeroporto di Ciampino a Roma dopo la mezzanotte del nove settembre. “Chiedo scusa”, ha detto nella prima telefonata al direttore Mario Calabresi, “per avervi fatto preoccupare ma questo è il mio giornalismo. “E’ stata una terribile esperienza, cinque mesi sono lunghi ma ce l’ho fatta. Mi sembra di essere stato su Marte, adesso sono tornato sulla terra e ho appreso alcune notizie di come si e’ evoluto il mondo. Chiedo scusa ma tu – ha detto ancora Quirico a Calabresi – sai qual e’ la mia idea di giornalismo, di andare dove la gente soffre e ogni tanto tocca soffrire come loro”

Emozionato il direttore de La Stampa Mario Calabresi: “Erano esattamente cinque mesi”, ha commentato su Twitter, “che aspettavamo questa notizia. Ho ricevuto una commovente telefonata di Emma Bonino”. A inizio agosto un cauto ottimismo delle autorità italiane aveva fatto sperare che il giornalista potesse tornare in Italia nelle settimane successive. 

“La notizia”, ha commentato il ministro degli esteri,”mi riempie di grande gioia e di soddisfazione. Il mio pensiero va prima di tutto ai parenti che potranno finalmente riabbracciare Quirico dopo tanti mesi e numerosi momenti di ansia”. E ha aggiunto “Il mio ringraziamento va a chi ha contribuito al felice esito della vicenda. La liberazione del giornalista è anche una bellissima notizia per tutti i rappresentanti dei media che rischiano la vita sui fronti di guerra per raccontare la verità in situazioni estreme”. A commentare con soddisfazione anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il primo ministro Enrico Letta. “Non abbiamo mai perso la speranza”, ha aggiunto il premier.  

Chi è Domenico Quirico
62 anni, inviato di guerra, è da molto tempo in prima linea nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, di cui è un grosso conoscitore e a cui nel 2011 ha dedicato un libro: “Primavera araba“. Nell’agosto 2011 nel tentativo di arrivare a Tripoli, durante la rivolta anti-Gheddafi in Libia, fu rapito insieme con due colleghi del Corriere della Sera e uno di Avvenire. Durante il sequestro fu ucciso il loro autista, i reporter sono stati liberati solo due giorni dopo.

Quirico ha seguito tutte le vicende africane degli ultimi vent’anni, dal Ruanda al Congo, alla Somalia. Negli ultimi anni si è dedicato alla guerra in Mali, è stato in Somalia e ora era la quarta volta che si trovava in Siria.

E’ “uno di quei giornalisti – si legge sul sito del suo giornale – per cui ha ancora senso consumare le scarpe per andare alla ricerca non solo di una notizia, ma di qualcosa da raccontare ai lettori di oggi e alle generazioni future, con una promessa: parlare solo di ciò che conosce e ha visto con i propri occhi”.

Il rapimento
L’inviato de La Stampa Domenico Quirico era sparito lo scorso 9 aprile in un vero e proprio “buco nero” della Siria in guerra. Con una lunga esperienza in teatri di guerra e scenari ad altissimo rischio, sembrava esser stato risucchiato nella regione tra Homs e Damasco.

L’ultimo contatto con lui si è avuto il 6 giugno, quando è riuscito a chiamare per pochi istanti la moglie dopo 58 giorni di silenzio in cui si era temuto il peggio. Quirico aveva probabilmente telefonato da Qusayr, cittadina roccaforte dell’insurrezione a ridosso del confine libanese e a sud-ovest di Homs, successivamente espugnata dalle forze del regime del presidente Bashar al Assad. Le informazioni rese note da La Stampa dalla fine di aprile si erano limitate a dire che Quirico era entrato in Siria all’inizio di quel mese dalla frontiera libanese. Altre fonti ben informate avevano in seguito affermato che il giornalista italiano aveva passato il confine con lo storico e arabista belga Pierre Piccinin, anch’egli liberato. Piccinin in passato aveva già accompagnato Quirico nel nord della Siria e risultava anch’egli scomparso dall’inizio di aprile.

Quirico non era entrato con visto concesso dal regime di Damasco, ma era dovuto passare tramite i valichi informali tra i due Paesi, controllati da contrabbandieri ma ormai anche da milizie non sempre organiche col variegato fronte dei ribelli locali che lottano contro il presidente Bashar al Assad.

Dopo alcuni giorni di attesa, il primo allarme era stato lanciato lunedì 15 aprile quando era stata allertata l’unità di crisi della Farnesina, che ha subito iniziato le ricerche. Il 18 maggio era intervenuto sulla scomparsa anche il presidente siriano che, in un’intervista al quotidiano argentino Clarìn, aveva fatto sapere di non avere informazioni su Quirico. Il primo giugno le figlie del giornalista, Eleonora e Metella, avevano pubblicato un videomessaggio per chiedere notizie sul padre. Un appello alla liberazione era arrivato anche da Papa Francesco, che il 2 giugno ha chiesto la liberazione di tutti gli ostaggi presi in territorio siriano.

mercoledì 31 luglio 2013

Quanto pesa il silenzio di Renzi...

LA STAMPA

Italia

Quanto pesa il silenzio di Renzi

Magari è solo l’ennesimo effetto collaterale di un dibattito interno oltremodo avvelenato: ma nella ridda di polemiche e commenti intorno alla posizione che il Pd dovrebbe tenere in caso di conferma della condanna di Silvio Berlusconi, c’è un silenzio che colpisce.

È quello di Matteo Renzi, oggi il leader più popolare – e domani forse il segretario – del Partito democratico. Che pensa della vicenda? Cosa crede che il suo partito debba fare? E anzi: cosa farebbe lui nei panni di Guglielmo Epifani?

Dall’interno del Pd si sono levate, in questi giorni, diverse voci: quella di chi ritiene che non si possa restare alleati di governo con un leader definitivamente condannato, quella di chi replica che la situazione giudiziaria del Cavaliere era nota e quindi è ipocrita fingere di cadere dalle nuvole, quella – infine – di chi sostiene che l’atteggiamento dei democratici debba dipendere ed esser proporzionato alla «qualità» della reazione del Pdl. Già, ma che pensa – e perché non parla – il leader che tra quattro o cinque mesi potrebbe essere alla guida del partito e deciderne tattica e strategia?

Da un paio di settimane – come è noto – Matteo Renzi è in silenzio stampa, e ancora ieri ha argomentato questa scelta con qualcuno dei suoi che lo sollecitava a riprendere la battaglia: «Vivo questo momento con grande distacco... Mi hanno accusato di pugnalare alle spalle Letta, proprio io che ho detto sempre lealmente le cose in faccia. Se mai decideranno di fare il Congresso, fissandone regole e data, dirò quel che penso su tutto: dal governo a Berlusconi. Ma fino a quel momento, tolgo loro l’alibi per attaccarmi: sto zitto e lavoro per Firenze».

È una scelta, una linea: discutibile, naturalmente. Perché – è chiaro – una cosa è una moratoria alle dichiarazioni intorno agli F35 e alla legge elettorale, oppure sul finanziamento ai partiti o le regole per le primarie, mentre altro – tutt’altro – sono la curiosità e perfino il diritto degli iscritti e degli elettori democratici a sapere che linea avrebbe assunto – in un tornante politico così delicato – un Pd a «trazione renziana». Avrebbe chiesto a Letta di interrompere la sua esperienza di governo, in caso di condanna confermata a Berlusconi? Oppure avrebbe tirato dritto per la strada decisa in aprile?

Impossibile saperlo. E al di là del momentaneo vantaggio che Renzi potrebbe trarre dal tacere (non alimentare polemiche e non farsi nuovi nemici, né a destra né a sinistra...) il suo silenzio sottrae al dibattito un importante elemento di conoscenza e orientamento: pur se è vero che su Berlusconi e i suoi guai il pensiero del sindaco di Firenze è sufficientemente noto. Infatti, ha più volte spiegato che avrebbe votato contro l’ineleggibilità del Cavaliere, perché le leggi non si possono applicare a intermittenza o secondo la convenienza. E più in generale, ben prima dell’inizio del suo polemico silenzio stampa, spiegava: «Io ho sempre sognato di battere Berlusconi alle elezioni, e ho sempre detto di volerlo mandare in pensione non in galera».

Si può, allineando queste dichiarazioni, immaginare in che trincea Renzi-segretario calerebbe il «suo» Pd, in caso di condanna confermata per il Cavaliere? Molto probabilmente non aprirebbe la crisi di governo, ma voterebbe per la sua decadenza da senatore. Oppure no, tutto il contrario: via dal patto col «Caimano» e di corsa verso altre soluzioni o, forse, addirittura verso nuove elezioni... Difficile dire. E così, l’iscritto-elettore democratico resta col dubbio, azzarda ipotesi, propone scommesse. Noi diremmo: assurdo, ci vuole chiarezza. E invece, magari, il silenzio e l’attenzione che quel «mutismo» oggi determina, sono un altro piccolo colpo di un leader che si conferma imbattibile sul terreno della comunicazione...

Federico Geremicca

mercoledì 26 giugno 2013

Gramellini: io Ruby, tu Idem...

LA STAMPA

Prima Pagina

Io Ruby, tu Idem

La ministra Idem si è dimessa: non sopportava di restare in un governo sostenuto da Berlusconi. A parte gli scherzi, fino a pochi anni fa una doppia mazzata come quella di ieri avrebbe creato sconquassi umorali nel Paese. Il politico italiano più conosciuto nel mondo condannato a sette anni e interdetto dai pubblici uffici per reati odiosissimi. Una ministra della Repubblica costretta ad andarsene a casa (pardon, in palestra) per avere evaso le imposte sugli immobili. E invece, se si escludono i giornalisti, i politici e le tifoserie strette, l’impressione è che ormai questi eventi scivolino addosso agli italiani senza lasciare altra impronta che un sospiro di fastidio misto ad assuefazione. L’assillo economico ha scompaginato le priorità, persino quelle dell’ira. Chi non dorme la notte per un mutuo da pagare o un figlio da occupare non riesce a eccitarsi per delle partite di giustizia e potere che si dipanano in un altrove da cui non pensa di poter trarre benefici concreti.

Le crisi economiche spolpano la democrazia perché riducono drasticamente l’interesse dei cittadini per la cosa pubblica. Il vero confine, oggi, non è più fra chi sta con i magistrati e chi no, ma fra chi crede ancora nel futuro e chi no. Per rimanere in ambito femminile, Ruby e Idem turbano i sonni degli italiani molto meno di Iva. Esiste solo una donna che potrebbe svegliarci da questo incubo e si chiama Speranza. Ma per ora rimane lì, muta. In attesa che la politica posi i codici dei penalisti e le calcolatrici degli economisti per darle finalmente la parola.

Massimo Gramellini


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