ebook di Fulvio Romano

domenica 5 gennaio 2014

Se la Befana non viene di notte...

LA STAMPAweb

Cultura

Se la Befana

non vien di notte

La storia della Freccia Azzurra, raccontata da Rodari

nell’Italia povera di 60 anni fa, torna attuale in tempi di crisi:

oggi come allora serve il carburante della generosità

Questa è la storia di un libro nato due volte. La prima, nell’Italia di sessant’anni fa. Si erano appena accesi i primi televisori, e l’inverno era piombato di colpo sull’Europa, con temperature siberiane, bufere di neve, gelo e tempeste. Genova, sotto tanta neve, era irriconoscibile. C’era parecchia neve anche dentro questo libro. L’aveva scritto un trentenne di Omegna, cittadina sul Lago d’Orta: un figlio di fornaio diventato maestro di scuola e giornalista. Appena sposato, aveva cominciato a scrivere una storia ambientata nella notte dell’Epifania. Aveva fatto cadere sulle pagine tanta neve e tanta magia dell’infanzia, evocando l’atmosfera di una notte d’attesa: la «dodicesima notte» da Natale, a cui Shakespeare intitolò una commedia. Antiche leggende dicono che nel buio, tra il 5 e il 6 gennaio, si mettono a parlare le civette e tornano i morti.

E poi, da lontano, arriva una vecchia povera e brutta a cavallo di una scopa: bisogna lasciare puliti i camini, un paio di arance sul tavolo, e andarsene a letto presto.

In quell’Italia dei primi Anni Cinquanta, con l’ombra della guerra alle spalle, il giovane scrittore di Omegna raccontò una Befana burbera e un po’ taccagna. Scontenta di sfidare la tramontana e rischiare l’osso del collo sulle tegole gelate, ma soprattutto non più disposta a lavorare gratis: «Tua madre – dice seccata a un bambino che chiede in regalo un treno elettrico – non aveva soldi per pagare: voleva lasciarmi un vecchio orologio in cambio del treno, ma io non posso vedere gli orologi perché fanno passare il tempo troppo in fretta. Le ho anche ricordato che mi deve pagare ancora il cavalluccio dell’anno scorso e la trottola di due anni fa». Decide così, questa Befana in tempo di crisi, di lasciare a mani vuote i bambini segnati nella lista «poveri». Saranno i giocattoli stessi a ribellarsi, a commuoversi e a sfidare la Befana capitalista e avara. Scappando in massa dalla bottega, si auto-consegneranno ai bambini: bambole, marionette, soldatini, in una gara di generosità, andranno incontro – gratis – a chi li desidera. Perché una crisi economica può negare tutto, ma non la magia dell’infanzia, non la generosità: i giocattoli lo capiscono, e per questo sentono «un grande freddo al cuore». Loro sanno, molto più di noi, che «non scaldano mica soltanto le stufe e i termosifoni. Ci sono tante cose che scaldano: le parole gentili, per esempio, e magari anche tre marionette attaccate al loro filo».

Questo libro, pubblicato in prima edizione nel 1954 con il titolo Il viaggio della Freccia Azzurra, fu ripubblicato dopo dieci anni da Editori Riuniti in versione definitiva, con il titolo La Freccia Azzurra. Lo amo per tanti motivi: anche perché dentro c’è un bambino che aspetta tre marionette e ha il mio stesso nome improbabile, Paolo Di Paolo.

Nel 1964, a Gianni Rodari, che nel frattempo era diventato famoso, sembrò che quella storia funzionasse ancora. Dopotutto, l’Italia non era cambiata troppo: stava meglio, sì, nel pieno del Boom, ma nomi di bambini nella lista «poveri» c’erano ancora. Alla radio, dieci anni prima, spopolava il Quartetto Cetra; adesso c’erano Gianni Morandi e Love Me Do dei Beatles. C’erano pure molti televisori in più. A inizio gennaio ’54, sulla Stampa, un giornalista invitava i lettori a non avere paura della televisione: «l’ipnosi della tv non è un male cronico, ma una febbre passeggera». Capitava, sempre su questo giornale, di leggere storie incredibili, come quella di uno sposo in viaggio di nozze che si era perso per le vie di Roma: «non ebbe l’ardire di comunicare alla moglie il proprio proposito» di andare a vedere Roma-Napoli, uscì solo dall’albergo e non ritrovò più la strada. Sembra una fiaba. Storie come quella di un bimbo che deve nascere il giorno della Befana, ma c’è troppa neve e la futura mamma vive in un cascinale, il medico o una levatrice non possono raggiungerla. Allora lei si mette in viaggio, arriva a piedi a un casello ferroviario, il casellante chiama il capostazione e fa fermare apposta al casello l’ET 375 diretto a Livorno, per far salire la donna. Il «vispo maschietto di tre chili e mezzo», nato il giorno della Befana del ’54, sappia che a permettergli di nascere è stato un treno magico.

Come la Freccia Azzurra, che nel libro di Rodari sfida la neve con un combustibile tutto speciale: la generosità. Non doveva essersi ancora esaurito, dieci anni dopo, e il treno poteva ancora carburare. I giornali, come dieci anni prima, sapevano raccontare le cattive notizie, che sono sempre una valanga, ma anche le buone. Poi, negli anni, le hanno perse di vista. Il giorno dopo la Befana del ’64, invece, aprendo la Stampa, nella storica rubrica «Specchio dei Tempi» trovavi una signora che chiedeva ai cacciatori di risparmiare il passero Matteo, che lei aveva accudito nell’estate precedente e poi lasciato in libertà. «Ti ringrazio, caro Specchio, ti ringrazio di esistere e di permettere a tante persone di parlare al cuore degli uomini». Un gruppo di ragazze, quello stesso giorno, chiedeva allo Specchio di far avere ai bambini di Longarone, dove il disastro del Vajont aveva causato quasi 1500 morti, una somma di denaro raccolta, in vestiti o giocattoli: «È poca cosa perché il nostro stipendio da operaie non ci permette spese eccessive, ma quel poco è dato con tutto il cuore».

D’altra parte, le tre marionette del libro di Rodari, quando si accorgono di non avere un cuore, se lo fanno disegnare da un pastello rosso: se avessimo il cuore, non avremmo così freddo. «Battevano i denti tanto forte che nel loro scompartimento nessuno riusciva a dormire». Ecco fatto, annunciò il pastello rosso: «Ora sentiamo un bel calduccio dappertutto – dissero le Tre Marionette – com’è bello avere il cuore».

Nello «Specchio dei Tempi» di oggi si avverte spesso un gran battere di denti. Legittimo: difficoltà, lamentele, denunce, brutti episodi, in un tempo tutt’altro che facile. Ma non possiamo rischiare che alla Freccia Azzurra, anche nel più cupo degli anni, manchi quel carburante speciale. La parola «cuore», in tanta sfiducia e disincanto, suona sempre più impronunciabile. Ma facciamo almeno una cosa, in silenzio. Stanotte, aspettando la Befana, imitiamo le Tre Marionette. «Si guardarono orgogliosamente il petto, per assicurarsi che i cuori fossero ancora là. Altroché se c’erano: rossi come ciliegie e caldi come stufette». Ci sono?

Paolo Di Paolo