Le chiamano “lepri”. Sono le tre regioni che quest’anno dovrebbero correre più delle altre e trainare il Paese fuori dalla crisi spingendo la ripresa. Sono Lombardia, Emilia e Piemonte. Quest’anno il loro prodotto interno crescerà dell’1-1,2%, contro lo 0,7% della media nazionale e lo 0-0,1 di tutte le regioni meridionali, e questo esclusivamente grazie al consolidarsi delle esportazioni, che secondo le ultime stime Unioncamere-Prometeia saliranno in media del 3,7% contro il magro +0,2 per cento dell’anno passato.
La chiave di volta sta tutta nei settori trainanti del made in Italy. Che oggi, a cinque anni dall’avvio dell’ultima crisi economica globale, non sono più tanto moda, design ed agroalimentare, comparti che pure mostrano buona salute e annunciano un 2014 ancora positivo, ma sempre di più meccanica e componentistica. Il mix delle nostre esportazioni negli ultimi anni è cambiato radicalmente a tutto vantaggio delle imprese, anche piccole e medie, che hanno saputo specializzarsi, che sono riuscite a fare un vero e proprio salto di qualità. E a lavorare con le rispettive filiere francesi o tedesche come si trattasse di un unico grande distretto industriale. Spiega Patrizio Bianchi, uno dei massimi esperti di politica industriale ed assessore al lavoro e formazione dell’Emilia Romagna: «Ormai la divaricazione tra le imprese che esportano e quelle che vivono di mercato interno è nettissima. E quelle che esportano sono in prevalenza imprese meccaniche, che producono macchinari o componenti. Soprattutto destinati alla Germania. Dopo dieci anni di euro è avvenuto quello che tutti ci aspettavano: c’è stato un aggiustamento strutturale delle produzioni in funzione del cambio delle produzioni dei nostri partner».
In questi anni si è andato così consolidando un «asse centrale» che parte dalla valle del Reno, dal sud della Germania, e che arriva sino all’Emilia, poi coinvolge Milano e Torino, e quindi si allarga al sud della Francia, a Tolosa dove c’è il cuore dell’industria aerospaziale europea. «In quest’area - precisa Bianchi - le nostre esportazioni di macchine e componenti sono aumentate tantissimo negli ultimi tempi».
Il rovescio della medaglia, a fronte di questo compattamento del cuore industriale dell’Europa, è che tutte le periferie sono più lontane. Ancora più in affanno e in crisi. «I numeri nazionali presi in assoluto non dicono più nulla – spiega l’economista emiliano -. Basta vedere la Francia, dove l’area che va da Tolosa a Lione cresce moltissimo mentre tutta la parte centrale del paese resta indietro. Come in Germania, dove l’asse del Reno cresce molto, a cominciare dal Baden Wurttenberg, mentre le zone dell’Est restano indietro. Oppure come in Italia, dove la ripresa è tirata da Lombardia ed Emilia con una sponda in Piemonte, mentre le altre regioni sono ancora ferme». Ne esce un paese, il nostro più degli altri, «spaccato in due, che da un lato ha bisogno ancora di tanta cassaintegrazione mentre dall’altro non trova dipendenti a sufficienza. Che criminalizza l’euro, oppure che senza l’euro non potrebbe crescere; che demonizza la Germania mentre un’altra parte senza questa stessa Germania non avrebbe da lavorare a sufficienza».
«Le imprese che lavorano molto con l’export già nel 2012 e nel 2013 andavano bene – spiega Giovanni Foresti, responsabile analisi territoriale del Servizio studi di Intesa Sanpaolo -. Certo ora che anche l’Europa si sta risollevando andranno ancora meglio. Solo a novembre l’export verso la Germania è salito del 2,4 % dopo il meno 1,6 dei 10 mesi precedenti: un dato molto rilevante per noi. Quest’anno a riprendere a livello mondiale sarà soprattutto la domanda di prodotti elettrotecnici e meccanici, fenomeno che favorirà in particolare le imprese lombarde e piemontesi, che oggi sono le più internazionalizzate, con una presenza più diffusa anche nei mercati emergenti che sono quelli che comunque cresceranno di più». Anche l’Emilia andrà «molto bene», come il Veneto, e scendendo più a sud c’è la Toscana col «distretto della pelle di Firenze, grazie alla presenza di tutte le grandi maison francesi».
Le previsioni stilate di recente da Unioncamere-Prometeia aiutano a guardare alle prossime settimane con un po’ di ottimismo in più: il pil della Lombardia quest’anno crescerà dell’1,2%, quello dell’Emilia dell’1, +0,9 il Piemonte e +0,8 la triade Veneto, Friuli e Trentino. Le esportazioni di beni verso l’estero salirà del 4,1% in Emilia e Veneto e del 4,4% in Lombardia ed in parallelo aumenteranno anche gli investimenti fissi (-5,3% di media nazionale nel 2013, +2,5% quest’anno) con punte del +3,9% in Lombardia e del +3,2 in Emilia. Quanto basta per smuovere in queste aree anche l’indice degli occupati, che salirà dello 0,4% (ancora in Lombardia ed in Emilia) mentre continuerà a calare in Liguria ed in tutto il meridione.
Oltre alla meccanica, se si resta all’Emilia Romagna, va bene il food, ma anche il distretto della ceramica. Che è però in questi anni produce sempre meno piastrelle e sempre più materiali speciali con una fortissima componente di innovazione, dal rivestimento degli scafi delle navi da turismo alle pareti intere. «Parliamo di processi nuovi – sottolinea Bianchi – di tecnologie che ti consentono di portare il prodotto ceramico ovunque». In Lombardia, invece, sempre molto forte - secondo l’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo - si conferma il distretto aeronautico di Varese.
«Certo c’è la Germania, ma non trascuriamo Stati Uniti e Far East», racconta il presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi, imprenditore reggiano a capo della Comer Industries, azienda specializzata nel campo della meccatronica. «E’ l’America la vera locomotiva e se la Germania tira è anche grazie agli Usa ed al loro +4,1% di crescita del 2013». «Dopo sei mesi molto faticosi, dalla metà 2013 in avanti il nostro comparto ha ripreso un certo ritmo chiudendo poi l’anno in lieve rimonta sul 2012. Ed ora il 2014 si presenta abbastanza positivo: solo per stare al distretto reggiano il portafoglio ordini è già consistente e c’è chi parla di un 2014 in crescita del 6-8%. Qualcuno azzarda anche le due cifre». Anche la sua Comer mostra buona salute: «Siamo collegati al mondo – spiega Storchi – l’85% della nostra produzione è destinata all’export ed anche il restante 15% che vendiamo in Italia va su macchine che poi vengono esportate». Insomma, fatti i debiti scongiuri, almeno «il primo semestre dell’anno - assicura - dovrebbe essere positivo per l’intero settore, poi bisogna vedere. Siamo in Italia…. ci si può aspettare di tutto».
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Paolo Baroni