Cultura
Le due anime del Maestro
Le due anime del Maestro
L’eleganza italiana
la profondità mitteleuropea
Uno stile inconfondibile, aristocratico e luminoso
Uno stile inconfondibile, aristocratico e luminoso
subito vengono in mente quei luoghi dove tante volte l’abbiamo visto e sentito portato in trionfo dagli applausi del pubblico: Vienna, Berlino, Salisburgo, Milano, Lucerna, Torino con il «suo» Lingotto (che senza di lui non sarebbe mai nato), e i tanti altri teatri piccoli e grandi in Italia e in Europa: sempre con quella figura svelta, fragile negli ultimi anni ma sempre aristocratica e discreta: sul podio saliva solo per dirigere, per ringraziare il pubblico preferiva stare in mezzo all’orchestra, accennando un inchino mentre vibrava nervosi colpetti della bacchetta sulla gamba destra. Il suo amore per la musica usciva dai confini della musica stessa per divenire una forza di umanità e civiltà: con la sua passione per i giovani ha fondato in tutta Europa orchestre giovanili che in pochi anni suonavano come, se non meglio, di quelle professionali; fare di più per la musica, sollevarla al livello culturale che le compete, questo era il suo credo: di qui i programmi tematici di musica letteratura e pittura, di qui il prodigarsi per la musica moderna, in particolare Schoenberg, Berg e Webern e in Italia soprattutto Luigi Nono.
Ma oggi, saputo della scomparsa, preparata dalle notizie sempre meno aperte alla speranza, dietro il suo nome fanno ressa le musiche che ci ha regalato e soprattutto il suo stile: risultante di anime diverse, la prima quella di una visione luminosa della musica come costruzione nitida, sciolta ed elegante, lungo l’ideale di un suono «italiano» riferibile a Cantelli e a Toscanini. Di qui il suo meraviglioso Rossini, già scrostato del romanticismo da un Vittorio Gui, ma con Abbado portato a un rapimenti ritmico, a una specie di estasi panica regolata al millimetro dalla fermezza del suo polso; di qui anche la purezza del suo Mozart, l’eleganza del fraseggio, per me legata a un magnifico Flauto magico nel Teatro di Modena. Di qui ancora Schubert, grazie a interpretazioni memorabili negli ultimi anni, in particolare la sinfonia Incompiuta, che colpiva per il colore scuro e la presaga malinconia.
Ma in Abbado c’era pure un’altra anima, maturata a Vienna alla scuola di Hans Swarowsky, anche questa penetrata a fondo nella cultura mitteleuropea, con la profonda comprensione di autori come Bruckner, Brahms e Mahler, tutta interiorità senza pesantezze retoriche. Nel melodramma italiano tutti hanno ancora memoria del suo Simon Boccanegra alla Scala di Milano con la regia di Strehler: un raro incontro di gestualità e visualità, ricavato dalla partitura musicale. Ma Abbado riusciva anche a essere superiore a regie meno felici, come quella di un Fidelio al Teatro di Modena: per me dal punto di vista della musica, il migliore che abbiamo mai ascoltato e resta un mistero la forza interiore che ha avuto per saper dirigere in quel modo uno spettacolo che dal punto di vista scenico non era alla sua altezza. Sarà davvero difficile dover rinunciare ad ascoltarlo ancora.
Giorgio Pestelli