Cultura
Prove
di alleanze
all’ombra
del Colle
Sarà per via dell’imprevedibile (almeno nelle dimensioni di questi giorni) successo di Berlusconi al suo ennesimo ritorno in campo, ma attorno ai 5 stelle si registrano strani movimenti. Il corteggiamento di Mdp e altri pezzi di sinistra, compresa la parte di Campo progressista di Pisapia non ancora rassegnata all’accordo con Renzi, punta a rendere più esplicita la disponibilità di Di Maio, al momento solo intuibile, a un’alleanza di governo post-elettorale, e a capire se e a quali condizioni potrebbe veramente realizzarsi. L’intervista che pubblichiamo oggi in cui il candidato-premier di M5s fa un’inattesa apertura all’Europa, oltre a essere una novità, sembra un altro passo in quella direzione.
Per tutto il largo fronte - dai cattolici tradizionali alla Scalfaro o democratici alla Rosi Bindi, al centro tecnocratico stile Monti, alla sinistra post-comunista di Bersani, alla sinistra-sinistra - che nel ventennio berlusconiano viveva di antiberlusconismo e in quell’ambito trovava le ragioni di una fragile unità, tendere un filo verso i 5 stelle, sempre che questi siano disposti a raccoglierlo, potrebbe rappresentare un’alternativa all’inevitabile - come ora viene descritto, nel caso dalle urne di primavera non esca una maggioranza - ritorno alle larghe intese tra Pd e Forza Italia.
Si tratterebbe, non di delineare subito un accordo, per il quale Grillo, Casaleggio e Di Maio non sarebbero pronti, ma di inaugurare un confronto, magari sorvegliato dal Quirinale, simile a quello che nella Prima Repubblica serviva ad ammorbidire la cortina di ferro stesa per ragioni interne e internazionali attorno al Pci; oppure, più di rado e sempre senza successo fino all’arrivo di Berlusconi, a tentare di scongelare a destra i voti parlamentari del Msi. Nel primo caso, grazie anche al comune lavoro e alle radici piantate all’epoca della Costituente, l’asse trasversale tra il partito di Togliatti e Berlinguer e parti consistenti di tutte le forze che stavano al governo divenne un’architrave dell’intero edificio repubblicano, fondato sul consociativismo, a dispetto di un anticomunismo più declamato che praticato. Tal che, dopo De Gasperi, e con pochissime e limitate eccezioni, per più di trent’anni quasi tutti i governi democristiani, fino a quelli di solidarietà nazionale 1976-’79 che lo ebbero come alleato, cercarono sempre di stabilire buoni rapporti con il Pci. Cosa che fece anche Spadolini, primo presidente laico del Consiglio, all’inizio degli Anni Ottanta, e subito dopo non volle fare Craxi, teorico, nel periodo della presidenza socialista, delle maggioranze delimitate di pentapartito e di una competizione dura con i comunisti, volta a farne emergere le ambiguità para-sindacali e le difficoltà ad accettare pienamente il rapporto con la modernità capitalistica e industriale dell’Italia. Ciò finì col destabilizzare l’assetto consolidato, ancorché instabile, della Prima Repubblica, malgrado la sorda opposizione di mezza Dc, e ne accelerò la crisi con conseguenze che poi portarono alla caduta del sistema nel fatale 1993.
Può bastare, questo, a immaginare che adesso, al tramonto della Seconda Repubblica - e alla vigilia di un passo verso l’ignoto, dato che tutti prevedono che la nuova legge elettorale non darà vita ad alcuna solida maggioranza - si apra (o si riapra, dato che fu Andreotti a inventarlo) un secondo forno a 5 stelle, per far fuori insieme i dioscuri del patto del Nazareno Renzi e Berlusconi? Si sa, ragionare su quel che è già accaduto, spesso è utile. Ma paragonare quel passato, che tanti oggi cominciano a rimpiangere, con l’incerto presente attuale, è impossibile: troppe cose sono cambiate. E tuttavia colpisce che già in vista del ritorno del proporzionale, e senza ancora averne misurato gli effetti nel voto, certi meccanismi politici si ripropongano, come se nulla fosse.
Marcello Sorgi