Cultura
Se la Germania
di Angela
dimentica
Thomas Mann
«L’alternativa è netta: non l’Europa deve diventare tedesca, ma la Germania deve diventare europea.
«E’ questo l’approdo del germanesimo che Thomas Mann ha continuato a rivendicare per sé, scorgendone in prospettiva un «nuovo inizio», dopo la rovina del folle dominio nazista». Così Giorgio Napolitano ha sintetizzato le intenzioni di Thomas Mann, nella presentazione della nuova edizione dei suoi «Moniti all’Europa», opportunamente ripresa sulla Stampa.
Il guaio è che oggi la Germania «diventata europea» rischia di ritornare ad essere un problema per l’Europa stessa, in modo inatteso. Una parte della popolazione dopo una lunga fase di (apparente) soddisfatta integrazione europea, se ne sta estraniando. O più semplicemente coltiva un’idea diversa di Europa in cui collocare la Germania.
Merita di essere ricordato che lo stesso Mann, nelle sue Considerazioni di un impolitico del 1918, aveva descritto con impressionante efficacia e condiviso la contrapposizione anzi la incompatibilità della Germania con l’Europa, con l’Occidente. Aveva coniato l’espressione di «sgermanizzazione» per stigmatizzare le conseguenze della imminente occidentalizzazione e democratizzazione della Germania sconfitta. Certo: lo scrittore tedesco avrebbe poi tempestivamente modificato la sua posizione a favore della democrazia di Weimar ma significativamente non avrebbe mai fatto un’abiura radicale delle sue Considerazioni. Lì infatti ci sono le radici del suo tormentato germanesimo e dell’inestricabile groviglio di bene e male della natura tedesca che ritorna – con sottile metamorfosi – anche in alcuni passaggi dell’analisi de La Germania e i Tedeschi del 1945-47 . Qui troviamo espressioni molto forti che rivelano tutta la carica di coinvolgimento dell’autore: «quando si è nati tedeschi si ha a che fare con il destino tedesco e con la colpa tedesca»; «il concetto tedesco di libertà fu sempre rivolto soltanto all’esterno, intendeva il diritto di essere tedesco, solo tedesco, nulla di diverso»; «l’idea di libertà tedesca è etnica e antieuropea».
Sono frasi molto dure con le quali però paradossalmente la tesi della «sgermanizzazione» si trasforma in autocritica positiva. La sgermanizzazione infatti segnala il congedo definitivo da ogni aspirazione o velleità egemonica politico-culturale che era implicita nell’idea stessa del Reich tardo-ottocentesco, prima ancora che culminasse nella hybris del Terzo Reich. La sgermanizzazione diventa così il compimento della sua «lunga via verso l’Occidente» se non addirittura il ritrovamento della «via verso se stessa», per usare le parole della storico Heinrich August Winkler. Ma c’è di più. La nuova Germania integralmente occidentalizzata ed europeizzata trova il suo definitivo compimento con la riunificazione del 1990 e con il ruolo autorevole svolto nella formazione e gestione dell’Unione Europea. Il sogno di Thomas Mann sembra realizzato.
Mai poi si mette in moto un processo imprevisto, che cambia profondamente la situazione. Sono tre gli elementi di questo processo: la Germania assume a livello europeo una controversa posizione «egemonica» che crea tensioni, dissensi, conflitti con contraccolpi interni. Una parte consistente di tedeschi vede la propria condizione insidiata da paesi inaffidabili e inadempienti ai loro obblighi e ne diffida apertamente. Considera intollerabile le politiche di accoglienza messe in atto verso migranti e profughi, percepiti come grave minaccia alla propria integrità culturale e identitaria nazionale. Da ultimo cresce l’insofferenza verso la «memoria della colpa tedesca» quale è coltivata dalla cultura ufficiale.
Di tutte queste insofferenze è sintomo il successo del movimento nazionalpopulista Alternative für Deutschland che sta dando uno scossone all’intero sistema politico-culturale tedesco . Delicata è la questione della «memoria della colpa». Alle parole di Jürgen Habermas - «chi vuole impedirci di arrossire di vergogna con un’espressione vuota come “ossessione della colpa” e che vuole riportare i tedeschi a una forma convenzionale della loro identità nazionale distrugge l’unica base attendibile del nostro lagame con l’Occidente» - si risponde con «basta con la cultura della colpa». E’ una delle tesi del libro di Rolf Peter Sieferle, Finis Germania vicino agli ambienti di Alternative für Deutschland . Non intende assumere una posizione «negazionista» dei crimini nazisti in particolare dell’Olocausto, ma parla di un «mito di Auschwitz». E quindi della sgermanizzazione in atto, ovviamente intesa in senso negativo.
Come e perché si sia arrivati a questa congiuntura, apparentemente in modo inatteso, dovrà essere motivo di riflessione non solo per i tedeschi. I «Moniti all’Europa» sono una buona occasione, ma rimane l’esigenza di identificare i motivi specifici e inediti della situazione attuale, che troppo genericamente ci si limita a chiamare populismo.